Mi sedetti. La aprii. Ne bevvi un sorso. Ora andava meglio. Maledizione a Doakes, comunque. Forse dovrei darne una anche a lui. Magari gli darebbe una calmata, si rilasserebbe e lascerebbe perdere la faccenda. Dopotutto, io e lui stiamo dalla stessa parte, no?
Bevvi. Rita comparve con indosso un paio di pantaloncini scoloriti e un top bianco con un piccolo fiocco di raso intorno al collo. Dovevo ammettere che era davvero carina. Sapevo scegliere bene i miei travestimenti. «Sai’», esordì, scivolandomi accanto sul divano, «è bello vederti così, all’improvviso.»
«Sicuro», dissi.
Reclinò la testa di lato e mi guardò con un’espressione buffa. «È stata dura al lavoro?»
«Una giornataccia», risposi, e giù un altro sorso. «Ho dovuto lasciar andare un cattivo elemento. Cattivo davvero.»
«Oh.» Si incupì. «Perché non… voglio dire, non potevi…»
«Avrei voluto», replicai. «Ma non ho potuto.» Alzai la lattina alla sua salute. «Questioni politiche.» Ne mandai giù ancora un po’.
Rita scosse il capo. «Non riesco proprio ad abituarmi all’idea che… voglio dire, dal di fuori sembra tutto così sbrigativo. Trovi il tipo che non va e lo mandi in prigione. Ma la politica cosa c’entra? Nel senso… che cosa ha fatto?»
«Ha dato una mano a uccidere dei ragazzini», spiegai.
«Oh», esclamò lei, scioccata. «Mio Dio, devi fare qualcosa.»
Le sorrisi. Perdiana, aveva visto giusto. Diavolo di una donna. Non avevo appena detto che sapevo scegliere bene? «Hai messo il dito nella piaga», sospirai, e le presi la mano per guardare quel dito. «Qualcosa la posso fare. E anche piuttosto bene.» Le diedi un buffetto, rovesciando solo qualche goccia di birra. «Sapevo che avresti capito.»
Lei sembrava confusa. «Oh», disse. «Che tipo di… Che cosa farai?»
Bevvi di nuovo. Perché non dirglielo? Mi sembrava che si fosse già fatta una certa idea. Perché no? Feci per aprire la bocca ma non riuscii a pronunciare neppure una sillaba sul Passeggero Oscuro e sul mio innocuo hobby: Cody e Astor si precipitarono di corsa nella stanza e, non appena mi videro, si bloccarono. Guardarono prima me, poi la loro madre.
«Ciao, Dexter», fece Astor e diede una gomitata al fratello.
«Ciao», disse lui, lento. Non era un chiacchierone. In effetti non aveva mai parlato granché. Povero ragazzo. La storia di suo padre l’aveva sconvolto. «Sei ubriaco?» mi domandò. Per lui era già molto.
«Cody!» esclamò Rita. Le feci un cenno scherzoso e fissai il ragazzino.
«Ubriaco?» borbottai. «A me?»
Lui annuì. «Già.»
«Certo che no», affermai con sicurezza, cercando di darmi un contegno. «Forse sarò un po’ brillo, ma non è la stessa cosa.»
«Oh», fece lui e la sorella si intromise: «Resti a cena?»
«Mi sa che devo andare», risposi. Rita mi posò con fermezza una mano sulla spalla.
«In questo stato non puoi andare da nessuna parte», disse.
«In che stato?»
«Brillo», rispose Cody.
«Non sono brillo», insistetti.
«Hai detto di sì», ribatté Cody. Non ricordavo l’ultima volta in cui l’avevo sentito pronunciare quattro parole di seguito, e ne fui orgoglioso.
«L’hai detto tu», aggiunse Astor. «Hai detto che non eri ubriaco, solo un po’ brillo.»
«Ho detto questo?» Entrambi annuirono. «Oh! Be’, allora…»
«Be’, allora», concluse Rita, «immagino che ti fermerai a cena.»
Be’, allora. Immagino di sì. Ne sono quasi certo, in effetti. So che a un certo punto andai al frigorifero a prendere un’altra birra light e mi accorsi che erano scomparse. Un po’ più tardi ero di nuovo seduto sul divano. C’era la tivù accesa e stavo cercando di capire che cosa dicessero gli attori e perché una folla invisibile l’avesse scambiata per la battuta più spassosa di tutti i tempi.
Rita si lasciò cadere accanto a me sul divano. «I ragazzi dormono», disse. «Come va?»
«Splendidamente», risposi. «Se solo riuscissi a capire che cosa c’è di così divertente.»
Rita mi mise una mano sulla spalla. «Ci sei stato proprio male, vero? A lasciar andare quel cattivo elemento. I bambini…» Mi venne vicino e mi abbracciò, posando la testa sulla mia spalla. «Sei così buono, Dexter.»
«No, non è vero», replicai, domandandomi perché dicesse una cosa tanto insolita.
Rita si tirò su e mi guardò negli occhi. «Ma tu lo sei, e sai di esserlo. » Sorrise e mi rimise la testa sulla spalla. «Penso che… che è stato carino che tu sia venuto qui. A trovarmi. Quand’eri di cattivo umore.»
Stavo per spiegarle che non era proprio così, ma poi mi venne in mente: ero venuto qui perché mi sentivo cattivo e basta. Chiaro, era solo per logorare Doakes e spingerlo ad andarsene, dopo la mia terribile frustrazione per non poter giocare con Reiker. Ma dopotutto era stata un’ottima idea, no? Cara vecchia Rita. Era molto calda e aveva un profumo delizioso. «Cara vecchia Rita», dissi. La strinsi a me più forte che potei e posai la guancia sul suo viso.
Restammo in quella posizione per qualche minuto, poi Rita si alzò e mi afferrò la mano. «Dai», sussurrò. «Andiamo a letto.»
Obbedii e quando mi accasciai sul lenzuolo, lei scivolò al mio fianco ed era così bella e calda, così accogliente e il suo profumo così buono che…
La birra è davvero stupefacente, non trovate?
Mi svegliai con l’emicrania e un profondo senso di nausea e di confusione. Avevo la testa appoggiata su un lenzuolo rosa. Le mie lenzuola, quelle in cui mi svegliavo ogni giorno nel mio letto, non avevano quel colore né quel profumo. Il materasso sembrava troppo grande per essere quello del mio modesto lettino estraibile ed ero abbastanza certo che anche il mal di testa non fosse uno dei soliti.
«Buon giorno, tesoro», disse una voce da qualche parte, al fondo del letto. Mi girai e vidi Rita in piedi che mi guardava con un sorrisetto appagato.
«Ung», risposi gracchiando come un rospo e la testa mi fece ancora più male. Ma il mio dolore doveva avere qualcosa di divertente, perché il sorriso di Rita si allargò.
«Stavo pensando di farti prendere un’aspirina», fece. Si piegò in avanti e si strofinò sulla mia gamba. «Mmm», sussurrò, poi andò in bagno.
Mi alzai. Doveva esserci stato un clamoroso equivoco, pensai, e la testa prese a pulsarmi più forte. Chiusi gli occhi, respirai profondamente e attesi la mia aspirina.
Mi ci sarebbe voluto un po’ prima di abituarmi alla vita normale.
Invece, stranamente, non mi ci volle molto. Scoprii che se riuscivo a limitarmi a una o due birre, potevo rilassarmi quel tanto che bastava a confondermi con la fodera del divano. Dopo il lavoro non erano poche le sere della settimana in cui, sempre con il fedelissimo sergente Doakes alle costole, mi fermavo a casa di Rita, giocavo con Cody e Astor e, quando i ragazzi erano a letto, mi sedevo con lei sul divano. Quando arrivavano le dieci mi avviavo alla porta. Sembrava che Rita si aspettasse che la baciassi prima di andarmene; mi ero organizzato in modo da farlo proprio sulla soglia, sotto gli occhi di Doakes. Utilizzai tutte le tecniche che potei prendendo spunto dai tanti film che avevo visto, per la gioia di Rita.
A me piace la routine e aderii a tal punto ai nuovi ritmi che quasi cominciai a crederci anch’io. Erano così noiosi da mettere a dormire il mio vero io. Lontano, sul sedile posteriore dei più oscuri recessi di Dexterlandia, potevo ancora udire il Passeggero Oscuro russare dolcemente; agli inizi la cosa mi spaventava un po’ e mi faceva sentire solo. Ma non cambiai linea e trasformai le mie visite a Rita in una specie di gioco, verificando ogni volta fino a che punto potevo spingermi; sapevo che Doakes mi stava guardando e speravo che cominciasse a stupirsi, almeno un po’. Le portai fiori, dolci, pizza. Ci baciavamo sempre più fuori dalla soglia, incorniciati dal vano della porta, per fornire al sergente il miglior quadretto possibile. Mi rendo conto di quanto la scenetta fosse ridicola, ma era l’unica arma di cui disponevo.
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