Harris Thomas - Il silenzio degli innocenti

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Il silenzio degli innocenti: краткое содержание, описание и аннотация

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Hannibal Lecter è una psichiatra geniale, un uomo colto e raffinato, un perfetto gentiluomo dotato di un sottile senso dell'umorismo. Ha un unico difetto: è un pericoloso psicopatico e un feroce assassino. Quando Clarice Starling, brillante allieva della Sezione Scienza del Comportamento dell'Fbi, si reca a visitarlo nel manicomio criminale dove è rinchiuso, il dottor Lecter, attratto dalla ragazza e spinto dal desiderio di entrare nella sua personalita, decide di aiutarla. Clarice vuole da lui elementi utili alla cattura di Buffalo Bill, il "mostro" che terrorizza l'America. Ma il prezzo della collaborazione di Lecter è uno scambio perverso: le consegnerà Buffalo Bill solo se Clarice accetteràa di svelargli i suoi ricordi più tormentati.

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«Molto superficialmente. Perché?»

«Sto indagando sulla morte di Fredrica Bimmel. Lei chi è, scusi?»

«Jack Gordon.»

«Ha conosciuto Fredrica Bimmel quando lavorava per la signora Lip-pman?»

«No. Era alta e grassa? Forse l'ho vista, ma non ne sono sicuro. Non volevo essere scortese... dormivo... La signora Lippman aveva un avvocato, devo avere il suo biglietto da visita da qualche parte, vedrò di trovarlo. Le dispiace entrare? Ho un freddo tremendo, e il mio gatto scapperà fuori fra un secondo. Filerà come una fucilata prima che riesca a bloccarlo.»

Gumb andò alla scrivania con avvolgibile nell'angolo più lontano della cucina, l'aprì e guardò in un paio di ripiani. Clarice Starling varcò la soglia e prese il taccuino dalla borsa.

«Quella storia orribile» disse Gumb mentre frugava nella scrivania. «Rabbrividisco ogni volta che ci penso. Stanno per arrestare qualcuno, secondo lei?»

«Non ancora, ma stiamo lavorando. Signor Gordon, lei è venuto ad abitare qui subito dopo la morte della signora Lippman?»

«Sì.» Gumb si chinò sulla scrivania, voltando le spalle a Clarice. Aprì un cassetto, vi frugò.

«È rimasto qui qualche documento? Qualche documento della sua attività?»

«No, niente. All'FBI hanno qualche idea? La polizia di qui fa una grande confusione. Hanno una descrizione, o magari le impronte digitali?»

Dalle pieghe della vestaglia di Gumb, sul dorso, uscì una falena testa-di-morto. Si fermò al centro della schiena, più o meno nel punto corrispondente al cuore, e si assestò le ali.

Clarice lasciò ricadere il taccuino nella borsetta.

Jame Gumb. Grazie a Dio ho l'impermeabile aperto. Devo uscire di qui e trovare un telefono. No. Lui sa che sono dell'FBI, se lo perdo di vista un attimo la ucciderà. Le sparerà alle reni. Lo troveranno e gli piomberanno addosso. Il suo telefono. Non lo vedo. Non è in questa stanza, devo chiedere il telefono. Devo stabilire la comunicazione e poi agire. Costringerlo a stendersi con la faccia a terra e aspettare la polizia. Ecco quello che devo fare. Lui si sta voltando.

«Ecco il numero» disse Gumb. Aveva in mano un biglietto da visita.

Devo prenderlo? No.

«Bene, la ringrazio. Signor Gordon, potrei fare una telefonata?»

Nel momento in cui lui posò il biglietto da visita sul tavolo, la falena spiccò il volo. Gli passò sopra la testa e si posò tra loro, su un pensile sopra il lavello.

Gumb la guardò. Quando si accorse che la visitatrice non la guardava, che non distoglieva gli occhi da lui, comprese.

I loro occhi s'incontrarono. Ognuno dei due seppe chi era l'altro.

Jame Gumb inclinò leggermente la testa. Sorrise. «Ho un telefono in dispensa. Vado a prenderlo.»

No! agisci. Clarice prese la pistola, con un movimento fluido che aveva eseguito quattromila volte, e tutto fu come doveva essere: una solida presa a due mani, la concentrazione più assoluta sul mirino e sul centro del petto dell'uomo. «Fermo.»

Gumb sporse le labbra.

«E adesso alzi le mani. Lentamente.»

Fallo uscire, e tieni il tavolo tra di voi. Fallo passare dall'ingresso principale. Ordinagli di sdraiarsi a faccia in giù sulla strada e mostra il distintivo.

«Signor Gub... signor Gumb, lei è in arresto. S'incammini lentamente davanti a me, ed esca.»

E lui, invece, uscì dalla stanza. Se si fosse portato la mano alla tasca o l'avesse tesa all'indietro, se Clarice avesse visto un'arma, forse avrebbe sparato. Ma lui uscì semplicemente dalla stanza.

Lo sentì scendere in fretta la scala della cantina. Girò intorno al tavolo e arrivò alla porta in cima ai gradini. Era sparito, e la tromba delle scale era illuminata e vuota. Una trappola. Lei era un bersaglio facile in quel punto.

Poi dalla cantina giunse un urlo, sottile come un foglio di carta.

La scala non era sicura... non era sicura, ma Clarice Starling era arrivata

a un momento decisivo.

Catherine Martin urlò di nuovo. La sta uccidendo... Clarice Starling si decise a scendere comunque, con una mano sulla ringhiera, il braccio proteso, la pistola appena al di sotto della linea della visuale, il piano inferiore che balzava al di sopra del mirino, poi il braccio che si muoveva seguendo la testa, mentre cercava di coprire le due porte l'una di fronte all'altra e aperte in fondo alla scala.

Le luci brillavano nella cantina. Non poteva varcare una porta senza voltare le spalle all'altra. Doveva fare in fretta, girare a sinistra verso l'urlo. Entrò nella camera della segreta, superò la soglia e spalancò gli occhi. L'unico posto per nascondersi era dietro il pozzo. Girò di sbieco intorno alla parete stringendo la pistola con entrambe le mani, a braccia tese, esercitò una leggera pressione sul grilletto, girò intorno al pozzo. Dietro non c'era nessuno.

Un grido salì dal pozzo come uno sbuffo di fumo. Poi un guaito. Un cane. Si avvicinò con gli occhi fissi alla porta, si affacciò all'apertura. Vide la ragazza, rialzò lo sguardo, guardò di nuovo in basso e disse ciò che le avevano insegnato a dire per tranquillizzare l'ostaggio.

«FBI. È salva.»

«Salva un corno, MERDA, lui ha una pistola. Mi tiri fuori. MITIRIFUORI.»

«Catherine, andrà tutto bene. Non gridi. Sa dov'è lui?»

«MI FACCIA USCIRE, NON MI FREGA NIENTE DI DOV'È LUI. MITIRIFUORI!»

«La tirerò fuori. Stia calma. Mi aiuti. Stia zitta, così potrò sentire. E cerchi di far star zitto il cane.»

Clarice era trincerata dietro il pozzo e teneva di mira la porta. Il cuore le batteva forte, il suo respiro faceva volar via la polvere dalla pietra. Non poteva lasciare Catherine Martin per chiedere aiuto quando non sapeva dove fosse Gumb. Si accostò alla porta e si riparò dietro lo stipite. Riusciva a vedere al di là della base della scala, e una parte del laboratorio.

Doveva trovare Gumb, o accertarsi che fosse fuggito, oppure avrebbe dovuto portare Catherine fuori di lì. Erano le uniche possibilità. Lanciò una rapida occhiata alle sue spalle, dentro la camera della segreta.

«Catherine. Catherine. C'è una scala a pioli?»

«Non lo so. Quando sono rinvenuta ero quaggiù. Lui calava un secchio con uno spago.»

A una trave del muro era imbullonato un piccolo argano a mano. Ma non

c'era corda sul rullo.

«Catherine, devo trovare qualcosa per tirarla fuori. È in grado di camminare?»

«Sì. Non mi abbandoni.»

«Dovrò lasciare questa camera per un minuto.»

«Carogna maledetta, se mi lascia quaggiù, mia madre la farà a pezzi...»

«Catherine, stia zitta. Voglio che taccia, così potrò sentire. Se vuole salvarsi stia zitta, ha capito?» Poi, a voce più alta: «Gli altri agenti arriveranno da un momento all'altro, quindi taccia. Non la lasceremo certo lì sotto».

Gumb doveva avere una corda. Dov'era? L'unica cosa era andare a cercarla.

Clarice Starling attraversò di corsa l'atrio delle scale arrivò alla porta del laboratorio... la porta era il posto peggiore, doveva entrare in fretta e muoversi avanti e indietro lungo il muro più vicino fino a quando avesse visto tutta la stanza, con le forme riconoscibili che galleggiavano nei serbatoi di vetro. Era troppo tesa per sgomentarsi. Attraversò il laboratorio, passò oltre le vasche, i lavelli, la gabbia, le falene che volavano. Le ignorò.

Si avvicinò al corridoio in fondo. Sfolgorava di luce. Il frigorifero si mise in funzione dietro di lei; si girò acquattandosi, alzò il cane della Ma-gnum, allentò la pressione. Proseguì nel corridoio. Non le avevano insegnato a sbirciare. Doveva sporgere la testa e la pistola contemporaneamente, ma tenendosi bassa. Il corridoio era vuoto. In fondo, lo studio era un mare di luce. Avanzò quasi correndo oltre la porta chiusa, fino all'entrata dello studio. La stanza era tutta bianca, con i pannelli di quercia bionda. Era difficile valutare la situazione dalla soglia. Doveva assicurarsi che ogni immagine riflessa fosse l'immagine di un manichino, che l'unico movimento negli specchi fosse il suo.

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