Il grande cassetto centrale, che pareva il punto logico da cui iniziare le ricerche, si aprì facilmente, e anche all’interno regnava l’ordine. Buste, carta da lettere, scatoletta dei francobolli, tutto a posto. Più in fondo s’intravedeva un oggetto di maggior interesse e cioè un libretto degli assegni, e fin dal primo rapido sguardo alle matrici compilate con cura, Casey capì che Darius Brunner aveva usato la penna con facilità. Sebbene fosse di misura commerciale, il libretto concerneva ovviamente il suo conto corrente personale, e la maggior parte delle matrici si riferiva a conti, ad assicurazioni e così via; in più ve n’erano alcune intestate ad Arvid Petersen che, come Casey ricordava d’aver letto sui giornali, era il domestico. Non poche matrici si riferivano a enti definiti “opere di beneficenza”, mentre a quelle che portavano il nome della signora Brunner e di Phyllis era aggiunta la parola “personale”. Casey esaminò ogni matrice, ma non gli riuscì di trovarne intestate a Lance Gorden. O questi riceveva uno stipendio annuo oppure veniva pagato con gli assegni adibiti alle spese d’ufficio.
Era ormai giunto alle ultime due matrici, quando notò qualcosa di un certo interesse. Gli ultimi assegni scritti da Brunner portavano entrambi la data del suo ultimo giorno di vita. Il primo della somma di cinquemila dollari, era intestato a Phyllis, e nel leggere Casey ebbe un sorriso amaro. La ragazza non aveva certamente comunicato al padre l’uso che intendeva fare di quel denaro. Aveva forse inventato una malinconica favola, dichiarando di essere ridotta al solo visone dell’anno prima, o era davvero tanto facile spillare denaro a Brunner? Prima o poi glielo avrebbe chiesto. Passato all’ultima matrice, vide che rappresentava una strana somma, e cioè milleduecento ottantasette dollari e quaranta cents, pagati personalmente a un certo Carter B. Groot.
Fu la parola “personale” a richiamare la sua attenzione. Una somma di quel genere faceva pensare al saldo di un conto, eppure tutti gli altri assegni erano stati accuratamente specificati. Perché quell’eccezione? Casey riandò con la mente a tutti i nomi che la stampa aveva collegato con Brunner: Petersen, Huntly, Gorden, ma nessun Carter Groot. Forse era una pista, forse no, ma in quel momento non ebbe il tempo di decidere. Oltre la porta dello studio aveva afferrato l’inconfondibile rumore di una chiave infilata nella serratura, e trascorse appena un attimo fra il momento in cui lui spense la luce e quello in cui si apri la porta esterna.
Balzato prontamente dietro l’uscio dello studio, Casey tendeva l’orecchio verso le voci. Prima due e subito dopo una terza. La prima era maschile e, mentre si apriva la porta dell’ingresso, stava dicendo: — Ora accendo, è buio pesto qua dentro. Sei sicura di voler rimanere, Alicia? Tanto varrebbe che tu aspettassi a casa mia.
I nervi di Casey si tesero. Aveva riconosciuto la voce di Lance Gorden, e non faceva parte dei suoi programmi per la giornata imbattersi nel suo avversario in quelle circostanze. Non aveva previsto che il funerale di Brunner sarebbe terminato così in fretta.
Intanto una voce di donna rispondeva: — Non c’è ragione perché io non rimanga. Non sono una bambina, Lance.
— Hai però passato ore molto angosciose.
— Sto benissimo. Dopo tutto, bisogna saper affrontare anche le situazioni più sgradevoli. Tanto vale che cominci subito.
In quella voce, nuova per Casey, vibravano accenti forti: dominio di sé, educazione e forza. Aveva già una mezza idea sull’identità della donna, quando un terzo personaggio entrò in scena, confermando i suoi sospetti.
— Ma come, signora Brunner, intendete rimanere qui?
— Sì, Petersen, per qualche tempo.
— Voglio esprimervi tutto il mio cordoglio…
— Capisco, Petersen, e vi ringrazio. I vostri fiori erano bellissimi.
Seguì un silenzio imbarazzato, di quei silenzi che implicano come non esistano parole adeguate di fronte alla morte.
Fu Petersen a romperlo: — Provvederò alla colazione.
— Grazie, non ho fame.
— Capisco, ma dovete mangiare, signora. Preparerò subito qualcosa.
— Ha ragione, Alicia — fu pronto a intervenire Gorden. — Io non posso rimanere, perché devo consultarmi di nuovo con il tenente Johnson, ma tu cerca di riposare. Ti telefonerò appena mi sarà possibile.
A giudicare dal rumore della porta che si apriva e si richiudeva, queste parole dovevano essere state l’addio di Gorden, e Casey ne provò un gran sollievo. Udì i passi del domestico avviarsi verso la cucina e gli parve che trascinasse i piedi, come se fossero indolenziti per avere seguito il funerale con un paio di scarpe nuove. Appiattendosi contro la parete e spiando attraverso la fessura tra l’uscio dello studio e l’intelaiatura, gli riuscì di scorgere di sfuggita la schiena dell’uomo, le sue spalle e un ciuffo di capelli brizzolati. Non appena Petersen fu sparito, nulla si frapponeva tra lui e la porta, eccettuata la figura profumata della signora Brunner.
Aspettò che anche lei si muovesse, che si avviasse in qualsiasi direzione che non fosse quella dello studio, ma ancora una volta la fortuna non gli arrise. Preceduta dalla sua ombra, si avvicinò e si fermò sulla soglia, fissando l’oscurità in silenzio. Era troppo vicina perché Casey potesse vederla chiaramente, ma la luce della lampada del corridoio illuminava il suo profilo classico. Bellissima, di una bellezza fuori del comune, la signora Brunner non assomigliava alla figlia. L’effetto di insieme, in Phyllis, vivace e colorito, a volte perfino aggressivo, nella madre era invece di calma, eleganza e dignità. Indossava un abito di velluto nero, e al collo portava una collana di perle. L’espressione impassibile del suo viso era certamente frutto di intere generazioni abituate a dominarsi. Per la prima volta dall’inizio di quell’incubo, Casey fu conscio di un’.atmosfera di tragedia e dovette lottare contro il folle impulso di uscire dal nascondiglio per dire alla signora Brunner che sua figlia non era morta, che stava bene ed era al sicuro. Ma poi? La domanda ebbe l’effetto di una doccia gelata.
Aveva perso il senso del tempo: in quello stato di tensione i secondi parevano ore, ma finalmente la donna si mosse e, immersa in chissà quali pensieri, tornò lentamente sui suoi passi. Casey attese ancora, sempre in ascolto, finché non ritenne possibile un tentativo di fuga, e allora uscì da dietro la porta e attraversò il corridoio illuminato con la rapidità concessagli dalle sue gambe malferme. Soltanto quando fu in strada respirò a pieni polmoni.
Leta Huntly abitava in un minuscolo appartamentino nella Diversey Street, poco lontano dalla Sheridan Road.
L’alloggio al terzo piano guardava sul retro e dava su uno stretto vicolo di dubbia pulizia e su un fazzolettino di prato che a volte era verde, ma non certamente nel mese di novembre. Veniva definito uno studio in quanto il letto era truccato da divano, la tavola truccata da scrivania, e la cucina si chiudeva come un armadietto. Lindo, pulito e dall’aria molto utilitaria, come la stessa signorina Huntly, che si truccava da segretaria efficiente. Mentre Casey entrava nella stanza, tutto ciò attirò la sua attenzione, perché gli parve avere un preciso significato. Se la signorina Nardis, nell’ufficio di Gorden, era stata esatta nelle sue poche velate allusioni riguardo ai rapporti di Leta Huntly con Darius Brunner, questi doveva essere stato un uomo di gusti semplici e dalle poco visibili manifestazioni di generosità.
— Assicurazione? — ripeté Leta con tono freddo. — Non m’interessa…
— Non sono qui per fare una polizza — intervenne prontamente Casey. — Rappresento la Società di Assicurazioni Midwest e vorrei rivolgervi alcune domande.
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