Robert Wilson - Il silenzio delle vittime

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Un mattino di una torrida estate sivigliana i coniugi Vega vengono trovati morti nella loro casa di Santa Clara, la città-giardino costruita nei primi anni Cinquanta dagli americani nella città andalusa. Malgrado ogni indizio sembri indicare un patto suicida, l’ispettore Javier Falcón è tutt’altro che convinto. Dalle indagini sull’attività di Rafael Vega, un costruttore di successo, emergono ambigui legami con la mafia russa. E i primi interrogatori rivelano che la comunità dell’esclusiva Santa Clara nasconde disperazione, fallimenti ed enigmi inconfessati. Fra i primi a parlare vi sono Marty Krugman, architetto americano che lavorava con Vega, e la bellissima moglie Madeleine. Si sono trasferiti lì, stando alle loro dichiarazioni, per sfuggire all’America del dopo 11 settembre, ma il loro passato sembra nascondere ben altre motivazioni. Un altro vicino chiamato in causa è l’attore Fabio Ortega, la cui stella si è offuscata dopo che il figlio è finito in galera per un delitto infamante. Sotto il caldo impietoso dell’Andalusia l’elenco delle morti misteriose si allunga. E dopo che una nuova pista sembra portare Falcón a un giro di pedofili che si credeva debellato, seguiamo col fiato sospeso l’ispettore mentre collega indizi e fili in apparenza irrilevanti e ricostruisce un complicato intrigo che lo costringe a confrontarsi con le atrocità della psiche umana.

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«Così mi ha detto Lobo. Potrei imbastire una storia per Ortega, dire che sono stato fatto provvisoriamente responsabile del Grupo de Menores in attesa che arrivi un sostituto di Montes…»

«Tanto per cominciare non sarebbe possibile», obiettò Ramírez.

«E poi lo potrei persuadere a fissare un incontro con i russi.»

«E lui le crederebbe?»

«Be’, no, ma lo farebbe comunque e, una volta saputo il luogo dell’incontro, potrei comunicarvelo di nascosto.»

«Non sono nemmeno sicuro che questa roba fantasiosa vada bene per un film di quart’ordine.»

«L’incontro avverrebbe in un garage in mezzo al deserto. Io arrivo con Ortega e ci sediamo davanti a un fusto di benzina in attesa dei russi. Si sente una macchina a una certa distanza e poi ci raggiungono Ivanov e Zelenov. Da quello che mi dicono si capisce che non credono nemmeno a una parola della mia storia. Proprio quando stanno per sghignazzarmi in faccia, la porta del garage viene sfondata e arrivate voi e li fate fuori tutti.»

«Perfino i miei bambini si inventerebbero qualcosa di meglio.»

«Forse, invece di farvi arrivare col mitra spianato, potremmo pensare a qualcosa di più raffinato. La porta del garage viene sfondata, questo è inevitabile, succede sempre così, ma voi vi limitereste a tenerli sotto tiro mentre io li disarmo. Poi la saracinesca principale si alza e fuori è tutto un lampeggiare di auto della polizia… anche questa è una cosa immancabile. Una delle auto fa marcia indietro, i russi sono ammanettati e mentre vengono spinti dentro la macchina, si girano e vedono noi due che diamo grandi pacche sulle spalle di Ortega e gli stringiamo la mano. Immediatamente pensano che Ortega li abbia venduti. Non sono ancora arrivati alla Jefatura che già è presente il loro avvocato, lo stesso che era nella cassetta trovata alla finca di Montes. Quattro ore dopo sono già fuori. Stacco sulla casa di Ortega, con Ignacio alla scrivania che ascolta Julio Iglesias sul suo impianto stereo meraviglioso, gli occhi chiusi finché un rumore strano glieli fa spalancare e… orrore, due spari con il silenziatore, fiori di sangue sullo sparato della camicia bianca, la faccia sfracellata.»

«E il pubblico che va a bersi una birra ancora prima dei titoli di coda», commentò Ramírez.

Cristina Ferrera si affacciò nella stanza per salutare.

«Dobbiamo parlare», disse Falcón.

Cristina Ferrera si ritirò nella sala operativa, Ramírez andò a chiudere la porta.

«Anche lei, Policía Ferrera», disse Falcón e Ramírez lo scrutò con attenzione.

Sedettero intorno alla scrivania.

«Noi qui siamo la voce dell’esperienza», cominciò Falcón, «e lei, Policía Ferrera, è la voce della moralità.»

«In qualità di suora mancata?»

«Ormai sei qui», le disse Ramírez, «perciò chiudi il becco e ascolta.»

«Credo abbiate capito che si vuole insabbiare tutto quanto», disse Falcón. «Si metterà tutto a tacere sui crimini commessi alla finca di Montes, perché la Jefatura teme un attacco da parte dei politici. I nostri capi credono che un grave scandalo, in cui sarebbero trascinati importanti personaggi pubblici, possa causare un crollo della fiducia nelle istituzioni delle quali si deve assolutamente difendere la dignità e l’integrità. Noi tre sappiamo che quanto avveniva alla finca di Montes è un’azione criminale grave e che i perpetratori dovrebbero essere svergognati davanti alla società e portati davanti alla giustizia. Il Comisario Lobo mi ha detto che tutto quanto succedeva alla finca sarà documentato. Non mi ha garantito che sarà divulgato, ha solo cercato di placare la mia indignazione assicurandomi che nessuno degli individui coinvolti se la caverà senza danno. Soffriranno tutti per la perdita di posizione sociale, di dignità e di ricchezza.»

«Ho già le lacrime agli occhi», disse Ramírez. «E la stampa?»

«Virgilio Guzmán mi ha detto che il suo giornale non ne farà cenno a meno che non lo faccia prima qualche altro mezzo di comunicazione. Non si sente bene, è dovuto andare dal medico che gli ha dato una cura.»

«Che le avevo detto di quel tipo?» gli fece notare Ramírez.

«I russi sono intoccabili, hanno ritirato la loro partecipazione finanziaria ai progetti immobiliari di Vega, hanno minacciato la famiglia di Vásquez. L’unica possibilità di arrivare a loro è attraverso Ignacio Ortega, che certamente non ha intenzione di recapitare ai russi il nostro biglietto da visita. Non abbiamo prove concrete, tali da poter essere presentate in tribunale, nemmeno sulle loro operazioni di riciclaggio. Non potremmo giustificare un arresto nemmeno se potessimo arrivare fino a loro.»

«Che possibilità abbiamo di incriminare Ortega?» domandò Ramírez.

«Gode di molte protezioni, è così che riesce a cavarsela. Come abbiamo potuto vedere dalla cassetta trovata alla finca , ha in mano le prove del sudiciume di molta gente. Per questo ci hanno negato l’accesso ai dati della Scientifica e tutto deve fare capo al Comisario Elvira. La sola cosa che abbiamo in mano è la cassetta.»

«Quale cassetta?» domandò Cristina Ferrera.

«I due che hanno incendiato la finca hanno rubato un televisore e un videoregistratore prima di appiccare il fuoco. Nel videoregistratore era rimasta una cassetta dove si vedono uomini fare sesso con minori», le spiegò Falcón. «Elvira ha l’originale, noi abbiamo tenuto una copia.»

«E i giornali di Madrid?» suggerì Ramírez.

«È una possibilità, ma dovremmo spifferare tutto e comprovarlo con informazioni che non possiamo più avere. Nessuna questione di anonimato in questo caso. Noi saremmo visti come traditori dalla Jefatura e ci ritroveremmo da soli, probabilmente con la carriera finita. E i mezzi di comunicazione sono imprevedibili, anche qui, a Siviglia. Quando si mette qualcuno con le spalle al muro, dobbiamo aspettarci che lotti con tutti i mezzi, giocando sporco. Potremmo finire per farci male tutti quanti, comprese le vostre famiglie, e senza la certezza di ottenere quello che vogliamo.»

«Mandiamo una copia della cassetta alle mogli di quei tali e passiamo ad altro», propose Ramírez.

«Ma Ignacio Ortega se la caverebbe», obiettò Falcón.

Silenzio per qualche minuto, rotto solo dal ditone di Ramírez che batteva metronomicamente sul bordo della scrivania.

«Una cosa che mi darebbe un gran piacere», disse dopo un po’ Ramírez, guardando il soffitto come per trarne un’ispirazione divina, «sarebbe di offrire al mio vecchio amico del barrio una visione privata della sua parte nella cassetta. Significa che potrei guardarlo in faccia e poi dirgli, mi dispiace, io non posso fare nulla, ma tu potresti dire due parole a Ignacio Ortega.»

«Due parole?» ripeté Falcón.

«Lo ammazzerebbe certamente, conosco quell’individuo, non permetterebbe a nessuno di tenergli quella spada di Damocle sulla testa e di restare vivo.»

Di nuovo silenzio. Alzando lo sguardo, Cristina Ferrera vide che i due uomini avevano gli occhi fissi su di lei.

«Non parlate sul serio, vero?» disse.

«E poi lo arresterei per omicidio», concluse Ramírez.

«Non riesco a credere che possiate anche solo chiedermi di immaginare una cosa del genere», disse Cristina Ferrera. «Se davvero fate sul serio, allora non avete bisogno di una guida morale, avete bisogno di un trapianto totale di coscienza.»

Falcón rise e Ramírez si unì a lui sghignazzando rumorosamente. Il sollievo si diffuse sul delicato viso di Cristina.

«Be’, nessuno potrà dire che non abbiamo esaminato tutte le possibilità», disse Falcón.

«Torno al computer», annunciò la ragazza, uscendo e richiudendo la porta dietro di sé.

«Prima parlava sul serio?» domandò Ramírez sporgendosi sulla scrivania.

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