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Robert Wilson: Il silenzio delle vittime

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Robert Wilson Il silenzio delle vittime

Il silenzio delle vittime: краткое содержание, описание и аннотация

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Un mattino di una torrida estate sivigliana i coniugi Vega vengono trovati morti nella loro casa di Santa Clara, la città-giardino costruita nei primi anni Cinquanta dagli americani nella città andalusa. Malgrado ogni indizio sembri indicare un patto suicida, l’ispettore Javier Falcón è tutt’altro che convinto. Dalle indagini sull’attività di Rafael Vega, un costruttore di successo, emergono ambigui legami con la mafia russa. E i primi interrogatori rivelano che la comunità dell’esclusiva Santa Clara nasconde disperazione, fallimenti ed enigmi inconfessati. Fra i primi a parlare vi sono Marty Krugman, architetto americano che lavorava con Vega, e la bellissima moglie Madeleine. Si sono trasferiti lì, stando alle loro dichiarazioni, per sfuggire all’America del dopo 11 settembre, ma il loro passato sembra nascondere ben altre motivazioni. Un altro vicino chiamato in causa è l’attore Fabio Ortega, la cui stella si è offuscata dopo che il figlio è finito in galera per un delitto infamante. Sotto il caldo impietoso dell’Andalusia l’elenco delle morti misteriose si allunga. E dopo che una nuova pista sembra portare Falcón a un giro di pedofili che si credeva debellato, seguiamo col fiato sospeso l’ispettore mentre collega indizi e fili in apparenza irrilevanti e ricostruisce un complicato intrigo che lo costringe a confrontarsi con le atrocità della psiche umana.

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«Come le telecamere a circuito chiuso che non si prendeva la briga di accendere?» domandò Falcón.

Vásquez guardò le apparecchiature spente. Il cellulare dell’avvocato suonò le prime note della Carmen. I due rappresentanti della giustizia si scambiarono un sorrisetto mentre Vásquez scendeva al pianterreno. Calderón chiuse la porta e Falcón capì che era vero quanto aveva sospettato stringendo la mano al Juez quella mattina: c’erano novità, e lo riguardavano.

«Volevo che lo sapesse da me», disse il magistrato, «e non dalla macchina dei pettegolezzi della Jefatura o dell’Edificio de los Juzgados.»

Falcón annuì, la gola improvvisamente paralizzata.

«Inés e io ci sposiamo alla fine dell’estate», annunciò Calderón.

Aveva capito che doveva trattarsi di quello, ma la notizia inchiodò comunque Falcón al pavimento. Gli parve che fosse passato del tempo prima che i suoi piedi, muovendosi al rallentatore come quelli di un palombaro sul fondo dell’oceano, lo avvicinassero a Calderón tanto da potergli stringere la mano. Ebbe per un attimo l’idea di dargli una stretta alla spalla in modo cameratesco, ma l’amarezza era troppo forte, gli riempiva la bocca di un sapore acre di olive andate a male.

«Congratulazioni, Esteban», riuscì a dire.

«Lo abbiamo comunicato ai miei e ai suoi ieri sera», continuò Calderón. «Al di fuori della famiglia, lei è il primo a saperlo.»

«Saprà renderla molto felice», disse Falcón. «Ne sono sicuro.»

Si scambiarono un cenno di assenso e si scostarono l’uno dall’altro.

«Torno dal Médico Forense», disse Calderón, uscendo dalla stanza.

Falcón si avvicinò alla finestra e dalla rubrica digitò sul telefonino il numero di Alicia Aguado, la psicoterapeuta che lo aveva in cura da più di un anno. Il pollice sfiorò il tasto di chiamata, ma una rabbia improvvisa lo trattenne dal premerlo: avrebbe aspettato fino all’indomani, giorno della seduta settimanale, avevano già affrontato il tema della sua ex moglie un milione di volte e la dottoressa lo avrebbe solo rimproverato di non aver ancora superato il problema.

Le questioni in sospeso tra Javier e Inés erano state risolte durante il lavoro di riabilitazione psicologica seguito allo scandalo che quindici mesi prima aveva travolto Francisco Falcón. Francisco era il pittore di fama mondiale che Javier aveva sempre creduto suo padre, ma che si era rivelato un impostore, un assassino e dopotutto non il suo vero genitore. Inés aveva perdonato Javier ancor prima di essersi incontrata con lui qualche mese dopo la follia dei media. Il loro breve matrimonio era finito a causa della freddezza di lui, espressa nel terribile mantra in rima che Inés ripeteva sempre: Tú no tienes corazón, Javier Falcón. Data la storia familiare di Falcón, Inés adesso capiva come mai gli mancasse quell’elemento fondamentale in un essere umano. Negli ultimi mesi, grazie alla psicoterapia, Falcón pensava meno a lei, ma ogni volta che veniva pronunciato il suo nome provava inevitabilmente una stretta dolorosa alla bocca dello stomaco. La terribile accusa di Inés lo torturava ancora; perdonandolo, lei era diventata, a causa dello stato di instabilità di Javier, una persona alla quale egli doveva dare continuamente prova del proprio valore.

E ora questo. Tuttavia Inés stava con il giudice da quasi un anno e mezzo, si disse, erano la nuova coppia d’oro dei salotti di Siviglia, non solo nell’ambiente degli avvocati. Il loro matrimonio era sempre stato inevitabile, ma non per questo più facile da sopportare per Falcón.

Al di sopra della sua spalla vide riflessa nello specchio l’immagine di Vásquez e rientrò nella veste professionale.

«È stato sorpreso di trovare il suo cliente morto in circostanze così strane?» domandò.

«Molto sorpreso.»

«Tra parentesi, dov’è il porto d’armi per questa pistola?»

«È una faccenda personale. Questa è casa sua, io sono soltanto il suo avvocato.»

«Però ha affidato a lei le chiavi.»

«Qui non ha nessuno. E quando andavano in vacanza d’estate spesso si portavano dietro anche i genitori di Lucía. Nel mio studio c’è sempre qualcuno e gli era parso…»

«E gli americani della porta accanto?»

«Sono qui da meno di un anno», spiegò Vásquez. «Sono suoi inquilini, il marito lavora per lui come architetto. A Vega non piaceva coinvolgere gli altri nella sua vita privata. I Krugman avevano il mio numero di telefono in caso di un’emergenza.»

«La Vega Construcciones è la sua unica azienda?»

«Diciamo che Vega era nel campo immobiliare, costruiva e affittava appartamenti e uffici, costruiva anche capannoni industriali su richiesta. Comprava e vendeva terreni, possedeva numerose agenzie immobiliari.»

Falcón sedette sul bordo della scrivania, facendo dondolare un piede.

«Questa pistola, signor Vásquez, non serve a scoraggiare gli scassinatori, serve a uccidere. Probabilmente, sparando un proiettile calibro nove di una Heckler Koch, si ammazzerebbe un uomo anche colpendolo alla spalla.»

«Se lei fosse molto ricco e volesse proteggere la sua famiglia e la sua casa, si comprerebbe un giocattolo o un’arma seria?»

«Perciò a lei non risulta che il signor Vega fosse coinvolto in qualche attività criminale o al limite della legalità?»

«No, non mi risulta.»

«E non immagina un motivo per cui qualcuno volesse ucciderlo?»

«Senta, Inspector Jefe, io mi occupo degli aspetti legali delle attività dei miei clienti, raramente vengo coinvolto nella loro vita privata a meno che questa non abbia qualche ripercussione sugli affari. Conosco bene questa impresa. Se Vega faceva anche altre cose, allora vuol dire che non usava me come legale. E se avesse avuto una relazione con la moglie di un altro, del che dubito, io non lo avrei saputo.»

«Allora come interpreta quello che abbiamo visto, signor Vásquez? La signora Vega al piano di sopra, soffocata da un guanciale, il signor Vega al pianterreno, morto, con accanto un litro di liquido per sgorgare gli scarichi, mentre il loro bambino, Mario, è affidato a una vicina per la notte?»

Silenzio. Gli occhi scuri si fissarono sul petto di Falcón.

«Sembrerebbe un suicidio.»

«Perlomeno una di queste due morti è certamente un omicidio.»

«Sembra che Rafael Vega abbia ammazzato la moglie e poi si sia suicidato.»

«Si è mai accorto di un simile livello di instabilità psichica nel suo cliente?»

«Come si fa a capire che cosa passa per la testa della gente?»

«Dunque non era preoccupato per gli affari? Non temeva di andare in rovina?»

«Di questo deve parlare con il suo contabile, anche se non era lui il direttore amministrativo.»

«Chi era il direttore amministrativo?»

«Rafael era un accentratore.»

Falcón gli porse il suo taccuino e Vásquez vi annotò il nome e i dati del contabile, Francisco Dourado.

«C’era qualche scandalo nell’aria, che lei sappia, uno scandalo che avrebbe coinvolto il signor Vega o la sua impresa?»

« Ora so chi è lei!» esclamò l’avvocato, sorridendo per la prima volta, un sorriso che rivelò denti straordinariamente perfetti. «Falcón. Non avevo ricollegato finora… Be’, lei è ancora al suo posto, Inspector Jefe, e il mio cliente non si è trovato certamente in una posizione come la sua.»

«Ma io non ho commesso nessun crimine, signor Vásquez, non ho dovuto affrontare nessuno scandalo morale, nessuna vergogna che riguardasse la mia persona.»

«Vergogna!» ripeté l’avvocato. «Crede che oggigiorno la vergogna abbia quella specie di potere nella società?»

«Dipende dal tipo di società nella quale si è costruita la propria vita. All’importanza che si dà all’opinione di questa società», spiegò Falcón. «A proposito, ha lei il testamento del signor Vega?»

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