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Boris Akunin: La Regina d'Inverno

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Boris Akunin La Regina d'Inverno

La Regina d'Inverno: краткое содержание, описание и аннотация

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Mosca, 1876: in un parco affollato, un giovane si spara davanti agli occhi di una ragazza che poco prima gli aveva rifiutato un bacio. И solo il primo di un'inquietante catena di suicidi apparentemente inspiegabili. Dietro quei gesti tanto assurdi si nasconde forse un intrigo internazionale, ordito al di fuori della madre Russia? A indagare sul caso и Erast Fandorin, investigatore alle prime armi pieno di entusiasmo e acume. La pista che segue lo condurrа ai quattro angoli della Terra, in una serie di avventure rocambolesche che approderanno a una veritа sconvolgente e imprevedibile. Con Fandorin nasce una indimenticabile figura di detective in grado di rivaleggiare con «classici» quali Poirot, Sherlock Holmes e Montalbano.

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Senza spendere per il vetturino non c’era proprio modo di farcela.

* * *

Fu una lunga giornata. Uno splendente sole di maggio, per nulla stanco di illuminare la città dalle cupole d’oro, stava calando svogliatamente sull’orizzonte dei tetti, quando Erast Petrovič, che aveva pranzato con un paio di monetine da dieci copechi, scese dalla vettura davanti a un’elegante magione dalle colonne doriche, la facciata con gli stucchi e il portico in marmo. Vedendo che il suo passeggero si era fermato in preda all’incertezza, il vetturino gli disse: «È proprio questa la casa del generale, non dubitatene. Mica è il primo anno che portiamo la carrozza a Mosca».

E se ora non mi fanno entrare? si chiese con un sussulto Erast Petrovič spaventato all’idea che lo potessero mortificare. Impugnò il lucido martelletto di bronzo e batté due volte, Il massiccio portone dai due bronzei musi leonini si aprì subito, e mostrò un portiere dalla ricca livrea coi galloni d’oro.

«Venite per il signor barone? Dall’ufficio?» gli chiese sbrigativamente. «Devo riferire o solo trasmettergli delle carte? Ma entrate pure.»

Nello spazioso ingresso, illuminato in abbondanza sia dal lampadario sia dalle bocchette a gas, il visitatore s’intimidì del tutto.

«Veramente cercavo Elizaveta Aleksandrovna», spiegò. «Erast Petrovič Fandorin, polizia investigativa. Per necessità urgente.»

«Dell’investigativa?» chiese con cipiglio il guardiano. «Sarà mica per il fatto di ieri? Non ci pensate nemmeno. Sappiate che la signorina ha singhiozzato manca poco tutto il giorno e questa notte ha dormito malissimo. Non vi lascerò entrare e non ho nessuna intenzione di annunciarvi.

Sua eccellenza ha già minacciato quelli della stazione di polizia di staccargli la testa, dopo che ieri hanno tormentato Elisaveta Aleksandrovna coi loro interrogatori. Tornatevene in strada, in strada.»E quel mascalzone prese pure a spingerlo col suo pancione verso l’uscita.

«E la signorina Pful?» gridò disperato Erast Petrovič. «Emma Gottlibovna, anni 48? Mi basterebbe scambiare due parole almeno con lei. È una faccenda di Stato!»

Il guardaportone schioccò con aria importante le labbra.

«Da lei la posso anche lasciare andare, sia pure. Da quella parte, andate lì sotto la scala. Lungo il corridoio la terza porta a destra. La signora governante abita lì.»

Bussò e gli aprì una signora alta e ossuta che appuntò sul visitatore tondi occhi castani.

«Dalla polizia, Fandorin. Siete la signora Pful?» chiese con una certa insicurezza Erast Petrovič, e a ogni buon conto lo ripetè in tedesco. «Polizeiamt. Sind sie Fräulein Pful? Guten Abend!»

«Buona sera», gli rispose severamente l’ossuta signora. «Sì, sono Emma Pful. Entrate. Sedetevi laggiù su quella sedia.»

Fandorin si mise a sedere dove gli era stato indicato; su una sedia viennese dallo schienale ricurvo, accanto alla scrivania su cui stavano appoggiati con grande precisione alcuni manuali e intere pile di carta da lettere. Era una bella stanza, chiara ma assai noiosa, priva com’era di vita. Solo sul davanzale c’erano tre vasi di rigogliosi gerani, l’unica macchia luminosa nell’intera stanza.

«Siete fenuto per quello stupido giovane che si è sparato ieri?» chiese la signorina Pful. «Ieri ho risposto a tutte le domante del signor poliziotto, ma se volete farmene delle altre, chiedete pure. Mi rendo ben conto che il laforo tella polizia è importantissimo. Mio zio Günter prestava servizio nella polizia sassone col grado di Oberwachtmeister.»

«Io sono registratore di collegio», spiegò Erast Petrovič, che non desiderava venire preso anche lui per un caporale, «ho il quattordicesimo rango.»

«Certo, conosco i ranghi», annuì la tedesca, indicando col dito il nastrino della divisa. «Allora, signor registratore di collegio, vi ascolto.»

In quel momento la porta si aprì senza che nessuno avesse bussato, e nella stanza volò una signorina bionda dall’incantevole visino acceso.

«Fräulein Pful! Morgen fahren wir nach Kuncevo! Parola d’onore. Papà ha dato il permesso», comunicò lei dalla soglia, ma, alla vista dell’estraneo, si arrestò e tacque confusa, senza che questo impedisse ai suoi occhi grigi di guardare intentamente e con la più viva curiosità il giovane funzionario.

«Le paronesse educate non corrono, camminano», l’ammonì la governante con severità simulata. «Soprattutto se hanno cià diciassette anni belli e compiuti. Se invece di correre camminaste, avreste avuto il tempo di federe che c’era uno sconosciuto e di salutarlo come si defe.»

«Buongiorno, signore», bisbigliò la miracolosa visione.

Fandorin si alzò in piedi e fece un inchino, sentendosi in grandissimo imbarazzo. La ragazza gli piaceva terribilmente, e il povero giovane si spaventò al pensiero che all’improvviso avrebbe potuto innamorarsene a prima vista, cosa assolutamente da non farsi. Perfino ai vecchi prosperosi tempi del suo papà una simile principessa non sarebbe stata minimamente alla sua portata, e men che mai adesso.

«Buongiorno», disse molto seccamente, aggrottando severamente le sopracciglia e aggiungendo mentalmente: «Pensavate di mettermi in una situazione penosa? Lui era un consigliere titolare, lei qualcosa come la figlia di un ge nerale! No davvero, signorina, non contateci! Ho ancora un bel po’ di carriera da fare, io, prima di raggiungere il rango di vostro padre!»

«Registratore di collegio Fandorin Erast Petrovič, direzione della polizia investigativa», disse presentandosi con tono ufficiale. «Conduco l’inchiesta sul caso dello sfortunato evento ai giardini di Sant’Alessandro. È insorta la necessità di fare ancora alcune domande. Ma se vi dispiace — capisco benissimo che il fatto vi ha sconvolta — mi accontenterò di una conversazione con la sola signora Pful.»

«Sì, è stato orribile.»Gli occhi della giovane, già di per sé notevolissimi, si allargarono ancora di più. «È vero che ho chiuso gli occhi e non ho visto quasi nulla, e poi sono rimasta priva di sensi… Ma mi interessa talmente! Fräulein Pful, posso restare anch’io? Vi prego! Dopotutto, sono anch’io una testimone alla pari di voi!»

«Per parte mia, nell’interesse dell’indagine, preferirei anch’io che la signora baronessa assistesse», dichiarò timidamente Fandorin.

«L’ordine è sempre l’ordine», assentì Emma Gottlibovna. «Io, Lizchen, ve lo ripeto sempre: Ordnung muss sein. Bisogna obbedire alla legge. Potete restare.»

Lizanka (perché in cuor suo Fandorin, avviato a precipitosa rovina, già chiamava così Elizaveta Aleksandrovna) si mise prontamente a sedere sul divano di cuoio, guardando il nostro eroe a occhi spalancati. Lui riprese il controllo di sé e, rivolgendosi a Fräulein Pful, chiese: «Siate così gentile da farmi il ritratto di questo signore».

«Del signore che si è sparato?» precisò lei. «Na ja. Occhi marroni, capelli castani, piuttosto alto di statura, senza baffi o barba, nemmeno i favoriti, fiso giovanissimo ma non molto pello. Adesso l’abbigliamento…»

«L’abbigliamento dopo», la interruppe Erast Petrovič.

«Avete detto che il viso non era bello. Perché? Per via dei brufoli?»

«Pickeln», tradusse arrossendo Lizanka.

«A sì, i brufoli», disse la governante ripetendo con gusto la parola che non aveva capito subito. «No, il signore non aveva brufoli. Aveva una bella pelle sana. Ma il viso non era molto bello.»

«Come mai?»

«Malvagio. Guardava come se non volesse uccidere se stesso, ma qualcun altro di completamente diferso. Oh, è stato un incubo!» si eccitò al ricordo Emma Gottlibovna. «La primavera, il bel tempo, il sole, le signore e i signori a passeggio, un giardino meraviglioso tutto in fiore!»

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