«Ma cosa può voler dire tutto questo?»
«Un assessore di collegio dei vostri di Mosca ha elaborato un’intera ipotesi. A proposito di un’organizzazione segreta giudaica. Ha parlato del Sinedrio ebraico, e del sangue dei fanciulli cristiani. A dar retta a lui la Bežezkaja diventa una figlia di Israele, e Achtyrzev l’agnello offerto sull’altare sacrificale del dio ebraico. Tutto sommato, una fesseria. Questi deliri giudeofobi li conosco fin troppo bene da Pietroburgo. Se capita una disgrazia, e il motivo non è chiaro, subito chiamano in causa il Sinedrio.»
«E quale sarebbe la vostra supposizione… capo?» chiese Fandorin pronunciando non senza un fremito interiore l’insolito appellativo.
«Guardate qui», disse Brilling avvicinandosi a una delle lavagne. «Questi quattro cerchietti in alto rappresentano quattro ipotesi. Il primo cerchietto, come vedete, ha un punto interrogativo. È l’ipotesi meno verosimile: l’assassino ha agito per conto suo, e lei e Achtyrzev siete stati le sue vittime casuali. Magari un maniaco con la fissazione del demonismo. Qui ci troviamo in un vicolo cieco, fintanto che non si verificheranno nuovi crimini analoghi. Ho spedito interrogazioni con il telegrafo in tutti i governatorati, per sapere se ci sono stati assassini analoghi. Dubito del successo — se un maniaco di questo genere avesse già fatto parlare di sé, lo saprei. Il secondo cerchietto con le lettere AB — è Amalia Bežezkaja. Una donna indubbiamente sospetta. Da casa sua avrebbero potuto facilmente pedinare lei e Achtyrzev fino al Crimea. E poi c’è la fuga. Però non si capisce il motivo dell’assassinio.»
«Se è scappata, vuol dire che è coinvolta», disse con fervore Fandorin. «E vien fuori che l’uomo dagli occhi bianchi non ha agito da solo.»
«Questo non è un fatto, è lungi dall’essere un fatto. Sappiamo che Bežezkaja era uno pseudonimo e che viveva sotto un passaporto falso. Probabilmente un’avventuriera. Probabilmente viveva a spese di ricchi protettori. Ma assassinare, e per mano di un signore così svelto? A giudicare dal vostro rapporto, non era un dilettante, ma un assassino professionista di tutto rispetto. Quel colpo al fegato è un lavo retto da gioielliere. Sono stato all’obitorio, ho visionato Achtyrzev. Non fosse stato per il busto, adesso lì ci sareste anche voi, e la polizia l’avrebbe considerata una rapina oppure una rissa fra ubriachi. Ma torniamo alla Bežezkaja. Potrebbe avere appreso dell’accaduto da qualcuno della servitù. Il Crimea è a pochi minuti di cammino da casa sua. C’è stato molto chiasso: la polizia, il trambusto fra i passanti. Qualcuno della servitù oppure, mettiamo, il portinaio ha riconosciuto nell’ucciso l’ospite della Bežezkaja e glielo ha detto. Lei, nel ragionevole timore di un’istruttoria di polizia e dell’inevitabile smascheramento, si è immediatamente nascosta. A questo fine, di tempo ne aveva più che a sufficienza: il vostro Ksaverij Feofilaktovič è arrivato col suo ordine di perquisizione solo l’indomani dopo mezzogiorno. So tutto: voi eravate sotto choc, non siete tornato subito in voi. Ora che dettavate il rapporto, ora che alla direzione si grattavano la nuca… Comunque ho ordinato un’inchiesta sulla Bežezkaja. La cosa più probabile è che lei non sia più a Mosca. Penso che non sia nemmeno in Russia — scherziamo, sono passati dieci giorni. Facciamo una lista di quelli che andavano da lei, ma questo per lo più sono persone molto solide, ci vuole la mano delicata. Solo uno mi ispira sospetti seri.»
Ivan Franzevič batté con la bacchetta il terzo cerchietto, dove stava scritto CZ.
«Conte Zurov, Ippolit Aleksandrovič. Con ogni probabilità l’amante della Bežezkaja. Un uomo senza la benché minima base morale, un giocatore, un duellista, uno strampalato. Tipo Tolstoj l’americano. Disponiamo di indizi indiretti. È uscito in uno stato di forte agitazione dopo il litigio con l’ucciso — e uno. Aveva la possibilità sia di appostarsi, sia di pedinare, sia di mandare l’assassino — e due. Il portinaio ha testimoniato che a casa Zurov c’è tornato solo verso il mattino — e tre. Ci sarebbe anche il movente, sia pure fragilino: la gelosia oppure una vendicatività patologica. Magari c’era anche dell’altro. Il dubbio principale: Zurov non è tipo da uccidere per mano altrui. Del resto, secondo informazioni raccolte dagli agenti, gli girano sempre intorno tipi loschi d’ogni genere, così che questa ipotesi non è priva di prospettive. Voi, Fandorin, vi occuperete proprio di questa. C’è un intero gruppo di agenti che lavora su Zurov, ma voi agirete in proprio, a voi riesce bene. I particolari del vostro compito li discuteremo dopo, adesso passiamo all’ultimo cerchietto. Di questo mi occupo io stesso personalmente.»
Erast Petrovič aggrottò la fronte, nel tentativo di capire cosa significassero le lettere ON.
«Organizzazione nichilista», spiegò il capo. «Qui ci sono alcuni elementi di un complotto, però non ebraico, ma qualcosa di più serio. Ed è appunto per questo che sono stato inviato io. Naturalmente me lo ha chiesto anche il principe Korčakov. Come sapete, Nikolaj Achtyrzev era figlio di sua figlia defunta. Eppure qui potrebbe rivelarsi tutto assai complicato. I nostri rivoluzionari russi sono al limite della scissione. Ai più decisi e impazienti di questi Robespierre è venuto a noia illuminare i contadini; è una cosa lunga, laboriosa, una sola vita non basta. La bomba, il pugnale e la rivoltella sono di gran lunga più interessanti. Mi aspetto da un momento all’altro un grande spargimento di sangue. Tutto quanto è avvenuto finora sono solo rose e fiori. Il terrore contro la classe dirigente potrebbe assumere proporzioni di massa. Da un po’ di tempo a questa parte mi occupo alla Terza sezione delle pratiche riguardanti i gruppi terroristici più sfrenati e cospiratori. Il mio patrono, Lavrentij Arkadevič Mizinov, che è a capo del corpo dei gendarmi della Terza sezione, mi ha incaricato di chiarire cosa mai si nasconda a Mosca sotto il nome di Azazel. Il demonio è un simbolo oltremodo rivoluzionario. Dopotutto qui, Fandorin, la sorte della Russia è appesa a un filo.»Della consueta aria beffarda di Brilling non era rimasta traccia, nella voce gli risuonava l’esasperazione. «Se non operiamo il tumore sul nascere, questi romantici tempo trent’anni, e magari anche prima, ci fanno scoppiare una rivoluzione tale, che al confronto la ghigliottina francese non parrà altro che un gioco di ragazzi. Non ci lasceranno invecchiare in pace a noi due, ricordatevi le mie parole. Avete letto il romanzo I demoni del signor Dostoevskij? Peccato. Lì viene data una prognosi molto eloquente.»
«Quindi ci sarebbero quattro ipotesi?» chiese incerto Erast Petrovič.
«Vi sembrano poche? C’è forse qualcosa di cui non abbiamo tenuto conto? Parlate, parlate, sul lavoro io non bado ai ranghi», lo incoraggiò il capo. «E non abbiate paura di apparire ridicolo, questo è perché siete giovane. Meglio dire una stupidaggine che perdere di vista qualcosa di importante.»
Fandorin, all’inizio confuso, e poi con fervore vieppiù crescente cominciò a dire: «A me pare, vostra sign… volevo dire, capo, che sbagliate a non prendere in considerazione lady Esther. Certo, è una persona molto rispettabile e ragguardevole, ma… ma dopotutto si tratta di un testamento da nababbi! La Bežezkaja non ne aveva nessun vantaggio, il conte Zurov nemmeno, i nichilisti, a meno di vederla dal punto di vista del bene sociale… Io non so cosa c’entri qui lady Esther, magari non c’entra per niente, ma nell’ordine delle cose bisognerebbe… Dopotutto è anche un principio investigativo: cui prodest, ‘cerca a chi conviene’».
«Grazie della traduzione», disse Ivan Franzevič con un inchino, suscitando l’imbarazzo di Fandorin. «Un’osservazione giustissima, però nel racconto di Achtyrzev così come lo riportate nel vostro rapporto, viene tutto spiegato nel più esauriente dei modi. Il nome della baronessa Esther è stato fatto per caso. Non l’ho inclusa nell’elenco dei sospetti, in primo luogo perché il tempo costa, e in secondo luogo, anche per questo, che questa signora io un po’ la conosco, ho avuto il piacere di incontrarla», disse Brilling con un bel sorriso. «Del resto, Fandorin, avete perfettamente ragione. Non voglio imporvi le mie conclusioni. Pensate con la vostra testa, non credete a nessuno sulla parola. Andate a trovare la baronessa, chiedetele quanto riterrete necessario. Sono convinto che questa conoscenza, a parte tutto, sarà per voi anche un piacere. All’ufficio della guardia di turno vi sarà comunicato l’indirizzo moscovita di lady Esther. E fate anche questo: prima di uscire passate in sartoria, fatevi prendere le misure. Non fatevi più vedere al lavoro in uniforme. Un inchino alla baronessa da parte mia, e dopo che sarete tornato rinsavito, ci metteremo al lavoro, ovverosia ci occuperemo del conte Zurov.»
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