Di colpo i fanali si comportarono in un modo molto strano, presero a girare, a roteare, e all’inizio diventò tutto molto luminoso, dopodiché si fece buio totale.
in cui compare l’uomo del futuro
«Statevene sdraiato, colombello mio, statevene sdraiato», disse dalla soglia Ksaverij Feofilaktovič quando tutto confuso Fandorin buttò giù le gambe dal ruvido divano. «Cosa vi ha detto il dottore? So tutto, mi sono informato. Dopo le dimissioni dall’ospedale, due settimane di regime a letto, così la ferita si rimargina come si deve e il cervello scosso torna a posto, ma voi non sono nemmeno dieci giorni che siete a letto.»
Si mise a sedere e si nettò col fazzoletto a quadretti la paonazza calvizie.
«Uff, se scotta, il sole, eccome se scotta! Vi ho portato del marzapane e delle ciliegie, se volete favorire. Dove ve le metto?»
Il commissario diede un’occhiata alla cameretta, stretta come una trincea, in cui dimorava il registratore di collegio. Non c’era dove appoggiare l’involto con i doni: sul divano stava sdraiato il padrone di casa, sulla sedia si era seduto lui stesso, sul tavolo troneggiavano pile di libri. Nella camera non c’erano altri mobili, nemmeno un armadio, e i numerosi articoli del guardaroba erano appesi a dei chiodi sulle pareti.
«Allora, vi fa male?»
«Per niente», mentì un tantino Erast Petrovič. «Per me i punti li possono togliere pure domani. Mi ha preso solo di striscio alle costole, per il resto nulla. E la testa è completamente a posto.»
«Ma no, riguardatevi un po’, tanto lo stipendio arriva lo stesso», disse Ksaverij Feofilaktovič aggrottando la fronte con aria colpevole. «Non prendetevela, mio caro, se non sono venuto a trovarvi per così tanto tempo. Chissà che brutte cose avrete pensato di questo vecchio, vi sarete detto, quando c’è da stendere il rapporto, corre subito all’ospedale, ma dopo, appena non gli servo più, nemmeno mostra il naso. Ho mandato a informarsi dal medico, ma non mi è assolutamente riuscito di venire a trovarvi. Da noi in direzione succedono tante di quelle cose, siamo indaffarati notte e giorno, parola d’onore.»Il commissario scosse il capo e abbassò confidenzialmente la voce. «Quel vostro Achtyrzev mica era uno qualsiasi, era nientemeno che il nipote prediletto di sua eccellenza il cancelliere Korčakov.»
«Cosa mi dite mai!» esclamò Fandorin.
«Suo padre è ambasciatore in Olanda, dove ha contratto seconde nozze, e a Mosca il vostro conoscente abitava dalla zia, la principessa Korčakova, nel palazzo di sua proprietà in via Goncarova. L’anno scorso la principessa ha reso l’anima, e gli ha lasciato in eredità ogni suo bene, mentre lui già dalla sua defunta madre aveva ereditato moltissimo. Oh, e sapeste che trambusto è cominciato da noi, adesso ve lo racconto. Tanto per cominciare hanno chiesto di mettere la pratica sotto il controllo personale del governatore generale, del principe Dolgorukij in persona. Ma non c’è nessuna pratica, e non si sa dove andare a parare. L’assassino a parte voi non l’ha visto nessuno. Della Bežezkaja si è persa ogni traccia, come vi avevo già detto l’altra volta. La casa è vuota. Non ci sono né servi né carte. Come cercare un ago nel pagliaio. Non si capisce chi è, non si sa da dove è arrivata. Dai documenti risulta una nobildonna di Wilna. Sono state richieste informazioni a Wilna, ma sotto quel nome non risulta nessuno. D’accordo. Mi convoca una settimana fa sua eminenza. ‘Non te la prendere, Ksaverij’, mi dice, ‘ti conosco da tanto tempo e rispetto la tua coscienziosità, ma questa faccenda non è alla tua portata. Verrà un investigatore specializzato da Pietroburgo, un funzionario con mandato particolare presso il capo dei gendarmi e il responsabile della Terza sezione di sua eccellenza illustrissima aiutante generale Mizinov Lavrentij Arkadevič.’ Capisci di che pesce si tratta? Uno dei nuovi, di quelli che non sono di estrazione nobile, un uomo del futuro. Fa tutto in modo scientifico. Un maestro per le questioni complesse, niente a che vedere con noi due», spiegò Ksaverij Feofilaktovič con un risentito colpo di tosse. «Quindi lui sarebbe un uomo del futuro, mentre io, Grušin, sono un uomo del passato. Benissimo. È arrivato di mattina, tre giorni fa. Sarebbe a dire mercoledì, il ventidue. Si chiama Ivan Franzevič Brilling, ha il rango di consigliere di Stato. A soli trent’anni! E così si comincia anche da noi. Oggi è sabato, e quello ci fa venire tutti in ufficio alle nove di mattina. E ieri fino alle undici di sera non abbiamo fatto che conferire, tracciare schemi. Vi ricordate il buffet, dove si beveva il tè? Adesso lì al posto del samovar c’è un’attrezzatura per il telegrafo e un telegrafista di servizio giorno e notte. Si può mandare un dispaccio fino a Vladivostok, anche fino a Berlino, e la risposta arriva subito. Ha liquidato metà degli agenti, si è portato dietro da Pietroburgo metà dei suoi, obbediscono solo a lui. Mi ha interrogato meticolosamente su ogni cosa e mi ha ascoltato con attenzione. Ho pensato: adesso mi manda in congedo, ma no, gli faceva ancora comodo il commissario Grušin. Io, colombello mio, ma ecco per cosa sono venuto da voi», si ricordò Ksaverij Feofilaktovič. «Vi voglio mettere sull’avviso. Aveva intenzione di venire oggi a trovarvi, intende interrogarvi di persona. Voi non confondetevi, non c’è nessuna accusa contro di voi. Siete perfino rimasto ferito nell’adempimento del dovere. E non fate sfigurare il vostro vecchio. Chi l’avrebbe mai detto, che la faccenda avrebbe preso una piega del genere?»
Erast Petrovič guardò con rammarico il suo misero abitacolo. Bella impressione avrebbe fatto al grand’uomo di Pietroburgo!
«Non sarebbe meglio se venissi io stesso in direzione? Ormai, parola d’onore, sono del tutto guarito.»
«Non ci pensate nemmeno!» rispose il commissario con un gesto del braccio. «Così capisce che vi sono venuto ad avvertire. Statevene lì buono sdraiato. Si è annotato il vostro indirizzo, verrà sicuramente oggi.»
L’uomo del futuro arrivò la sera, alle sette, ed Erast Petrovič ebbe tutto il tempo di prepararsi come si deve. Disse ad Agrafena Kondratevna che sarebbe venuto un generale, e che quindi Malaska lavasse almeno il pavimento vicino all’ingresso, levasse di torno quel baule marcio e soprattutto non le saltasse in mente di preparare la minestra di cavoli. In camera sua il ferito fece pulizia completa: appese i vestiti ai chiodi nel miglior modo possibile, spostò i libri sotto al letto, sul tavolo lasciò soltanto un romanzo francese, i Saggi filosofia di David Hume in inglese e il Diario di un investigatore parigino di Jean Debré. Poi tolse il Debré e al suo posto mise Istruzione sul corretto modo di respirare del vero bramino indiano signor Chandra Johnson, di cui si serviva ogni mattina per l’esecuzione di esercizi ginnici e per temprare lo spirito. Venga pure quel maestro di questioni complicate, venga a vedere come qui abita un uomo che, per quanto povero, non si è lasciato andare. Per sottolineare la gravità della sua ferita, Erast Petrovič mise sulla sedia accanto al divano una boccetta contenente chissà quale mistura (se la fece prestare da Agrafena Kondratevna), si sdraiò e si avvolse la testa in una sciarpa bianca. Gli sembrò di avere ottenuto quel che ci voleva: un insieme di dolore e coraggio.
Finalmente, quando ormai stare sdraiato gli era venuto spaventosamente a noia, bussarono piano piano alla porta, e subito, senza aspettare una risposta, entrò un signore energico, con una comoda giacca leggera, dei pantaloni chiari e il capo scoperto. I capelli biondicci pettinati con cura lasciavano libera la fronte alta, gli angoli della bocca volitiva erano segnati da due piccole rughe beffarde, e anche dal mento rasato, con la fossetta, spirava spigliatezza. I penetranti occhi grigi esaminarono in un attimo la camera e si fermarono su Fandorin.
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