«Piccola!» disse il Luna a mia madre.
Poi lui e nonna Mazur si esibirono in una di quelle complicate strette di mano che non riesco mai a ricordare.
«Sarà meglio che ci muoviamo» incalzò la nonna. «Non possiamo fare tardi.»
«Non voglio un abito!»
«Andiamo solo a dare un’occhiata» disse mia madre. «Staremo una mezz’oretta e poi te ne puoi andare.»
«Va bene! Mezz’ora. Non un minuto di più. E andiamo solo a dare un’occhiata. »
La boutique «Da Tina» è nel cuore del Burg. Occupa metà di una bifamiliare in mattoni rossi. Tina abita in un appartamentino al piano superiore mentre il negozio è nella parte bassa dell’edificio. L’altra metà della bifamiliare, sempre di proprietà di Tina, viene affittata. Tina è rinomata come padrona di casa superstronza e gli affittuari se ne vanno puntualmente allo scadere del contratto annuale. Ma dato che le proprietà in affitto sono mosche bianche nel Burg, Tina non ha mai difficoltà a trovare la vittima di turno.
«Sembra fatto apposta per te» disse Tina facendo un passo indietro e fissandomi intensamente. «È perfetto. Meraviglioso.»
Ero tutta agghindata in un abito di raso lungo fino ai piedi. Il corpetto era stato aggiustato con degli spilli per adattarlo alla mia taglia, la scollatura a U mostrava appena un po’ di décolleté e la gonna a mongolfiera aveva uno strascico di oltre un metro.
«È incantevole» esclamò mia madre.
«La prossima volta che mi sposo potrei comprarmi un vestito come questo» disse la nonna. «O magari potrei andare a Las Vegas e sposarmi in una di quelle chiese dedicate a Elvis.»
«Coraggio, piccola, vai così!» fece il Luna.
Mi girai appena per vedermi meglio nello specchio a tre ante. «Non vi sembra troppo… bianco?»
«Assolutamente no» rispose Tina. «Questo è panna. Il panna non è per niente uguale al bianco.»
L’abito mi stava davvero bene. Assomigliavo a Rossella O’Hara che faceva le prove per un matrimonio di lusso a Tara. Feci qualche passo, come se stessi ballando.
«Prova a saltare, così vediamo come va quando dovrai aprire le danze» disse la nonna.
«È carino, ma non voglio un abito lungo.»
«Posso ordinarne uno della tua taglia senza impegno» propose Tina.
«Senza impegno» ripeté la nonna. «Meglio di così.»
«Visto che è senza impegno» disse mia madre.
Mi serviva della cioccolata. Una montagna di cioccolata. «Oh diamine» esclamai «guardate che ora è. Devo andare.»
«Grandioso» fece il Luna. «Andiamo a combattere il crimine? Stavo pensando che mi serve una cintura multiuso per il mio super costume. Potrei metterci tutta la mia attrezzatura da lotta contro il crimine.»
«Di che attrezzatura parli?»
«Non ci ho ancora riflettuto bene, ma pensavo a qualcosa tipo calzini anti-gravità per poter camminare sui muri. E uno spray che mi renda invisibile.»
«Sei sicuro che non ci sia niente che non va dove ti hanno sparato? Per caso hai mal di testa o le vertigini?»
«No, sto benone. Ho un po’ fame, forse.»
Quando io e il Luna uscimmo dalla boutique di Tina stava piovigginando.
«Questa sì che è stata un’esperienza memorabile» disse il Luna. «Mi sono sentito una damigella d’onore.»
Quanto a me, non ero sicura di cosa mi sentivo. Provai a pensare a me stessa come a una sposa , ma mi resi conto che grassona tonta mi si addiceva molto di più. Non potevo credere di essermi fatta convincere da mia madre a provare degli abiti da sposa. Che cosa avevo in mente? Mi diedi una botta in fronte col palmo della mano e feci un grugnito di disapprovazione.
«Piccola» disse il Luna.
Basta con le stronzate. Girai la chiave dell’accensione e infilai un CD dei Godsmack nello stereo dell’auto. Non volevo pensare al fallimento del mio presunto matrimonio e non c’è niente di meglio dell’heavy metal per sgombrare la mente da tutto quello che assomiglia anche lontanamente a un ragionamento. Mi diressi verso casa del Luna e quando arrivammo sulla Roebling, io e il Luna stavamo già agitando furiosamente la testa su e giù a tempo di rock.
Stavamo mimando un assolo di chitarra elettrica con i capelli davanti agli occhi e ci mancò poco che mi lasciassi sfuggire la Cadillac bianca. Era parcheggiata davanti alla casa di padre Carolli, accanto alla chiesa. Padre Carolli è vecchio e ingrigito proprio come la facciata della chiesa e, per quel che mi ricordo, ha sempre vissuto nel Burg. Era più che probabile che lui ed Eddie DeChooch fossero amici e che DeChooch si fosse rivolto a lui per un consiglio.
Formulai una preghierina sperando che DeChooch si trovasse lì, così avrei potuto arrestarlo. In chiesa sarebbe stata tutta un’altra faccenda. In una chiesa ci si può rifugiare e chiedere asilo. E poi se mia madre avesse scoperto che avevo violato quel luogo sacro, sarebbero stati guai.
Andai alla porta di casa di Carolli e bussai. Nessuna risposta.
Il Luna si fece strada tra i cespugli e sbirciò da una finestra. «Non vedo nessuno qui dentro, piccola.»
Ci voltammo entrambi verso la chiesa.
Maledizione. Probabilmente DeChooch si stava confessando. Mi perdoni, padre, perché ho fatto fuori Loretta Ricci.
«Okay» dissi «proviamo in chiesa.»
«Forse dovrei andare a casa e mettermi il super costume.»
«Non credo che sia adatto per una chiesa.»
«Non è abbastanza elegante?»
Aprii la porta della chiesa e strizzai gli occhi per vedere qualcosa nell’oscurità dell’interno. Nelle giornate di sole la chiesa splendeva della luce che filtrava dalle vetrate colorate. Nei giorni di pioggia diventava tetra e senza vita. Oggi il solo calore che trasmetteva era quello delle poche candele votive accese davanti alla Vergine Maria.
La chiesa sembrava vuota. Non si sentiva alcun mormorio provenire dai confessionali. Non c’era nessuno in preghiera. Solo le fiammelle delle candele accese e l’odore dell’incenso.
Stavo per andarmene quando udii qualcuno ridacchiare. Il suono veniva dall’altare.
«Ehi» dissi. «C’è nessuno?»
«Solo noi due cacasotto.»
La voce sembrava quella di DeChooch.
Io e il Luna percorremmo cautamente la navata e sbirciammo intorno all’altare. DeChooch e Carolli erano seduti a terra, con la schiena appoggiata all’altare, e bevevano una bottiglia di vino rosso. Accanto a loro, sul pavimento, ce n’era un’altra, vuota.
Il Luna li salutò con il segno della pace. «Fratelli» disse.
Padre Carolli gli rispose con lo stesso gesto e ripeté il mantra. «Fratello.»
«Cosa vuoi?» domandò DeChooch. «Non vedi che sono in chiesa?» «State bevendo!» «È una medicina. Sono depresso.»
«Devi seguirmi in tribunale così vengono restituiti i soldi della garanzia» dissi a DeChooch.
DeChooch fece una lunga sorsata dalla bottiglia e si asciugò la bocca col dorso della mano. «Sono in chiesa. Non puoi arrestarmi in chiesa. Dio si arrabbierà. E tu marcirai all’inferno.»
«È un comandamento» disse Carolli.
Il Luna sorrise. «Questi due sono ubriachi fradici.»
Frugai nella borsa e tirai fuori le manette.
«Aiuto, le manette» esclamò DeChooch. «Che paura.»
Gli chiusi un bracciale sul polso sinistro e feci per afferrargli l’altra mano. DeChooch estrasse una 9 millimetri dalla tasca del cappotto, disse a Carolli di tenere ferma l’estremità libera della catenella e ci sparò sopra un colpo. Entrambi strillarono quando la catena si spezzò e le loro braccia ossute furono percorse dalle onde d’urto.
«Ehi» dissi «quelle manette mi sono costate sessanta dollari.»
DeChooch socchiuse gli occhi e fissò il Luna. «Ci conosciamo?»
«Sono il Luna, amico. Mi hai visto a casa di Dougie.» Il Luna alzò la mano tenendo due dita ben strette. «Io e Dougie siamo così. Siamo una squadra.»
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