Marie notò che Benjamin si teneva a debita distanza dal ripostiglio. Non sembrava spaventato, ma decisamente confuso per qualche oscuro motivo. Marie era un po' scocciata e non capiva perché Benjamin non le dicesse semplicemente quale fosse il problema, ma c'era anche un certo eccitante alone di mistero in quella faccenda.
Entrò nel ripostiglio. Era di dimensioni modeste, un po' più grande di un tipico armadio a muro, ma non così spazioso da poterci distendere completamente le braccia. Guardò per terra e vide che Benjamin aveva iniziato a rimuovere la moquette nell'angolo in fondo. Subito notò la stranezza a cui aveva accennato.
A circa sette centimetri dall'angolo, c'era una riga dritta incisa nel muro. Si inginocchiò per osservarla meglio e vide che non si trattava di un'incisione, ma piuttosto di una fessura. Continuava per circa quindici centimetri poi spariva. Per come scompariva all'improvviso, si accorse che la parete non era pitturata, ma ricoperta da carta da parati. Come aveva fatto a non rendersene conto fino ad allora?
“Sapevi che c'era della carta da parati qua?” domandò a Benjamin.
“No,” rispose lui, tenendosi sempre a debita distanza.
“Di cosa pensi si tratti?”
“Credo che sia una porta. Ma non volevo strappare la carta da parati senza il tuo permesso.”
Marie non ci pensò nemmeno un secondo. Allungò la mano e strappò la carta. Venne via più facilmente di quanto si aspettasse. L'operazione richiese diversi passaggi, ma fu completata rapidamente. E più tirava via la carta da parati, più il sospetto di Benjamin si dimostrò fondato.
Quando la carta da parati fu del tutto rimossa, si materializzò, in effetti, una porta. Era rimasta nascosta per chissà quanti anni, e attendeva soltanto di essere aperta.
La porta era sottile e piuttosto leggera, fatta di semplice legno grezzo. I cardini sembravano essere stati montati frettolosamente. Anziché un pomello, c'era una maniglia ad anello che ricordò a Marie quella di un castello o di una segreta sotterranea.
I sentimenti di Marie oscillavano tra l’eccitazione e il terrore. Chiaramente, qualcuno aveva voluto nascondere quella stanza. Certo, era stata camuffata in modo piuttosto sciatto, con della semplice carta da parati, ma comunque… era stata nascosta. Si prese un momento per decidere se dovesse aprirla oppure no.
“La vuoi aprire?” domandò Benjamin, sbirciando dalla soglia dello stanzino.
“Credo che dobbiamo,” disse Marie, prendendo finalmente una decisione. “Cioè… è una stanza nascosta nella casa della mia prozia.”
Afferrò la maniglia, sollevò l'anello, e tirò.
La porta cigolò ma si aprì con facilità. Prima ancora che si spalancasse del tutto, ne uscì un olezzo di muffa e polvere. A Marie venne immediatamente da starnutire. Quando poi la porta fu completamente aperta, Marie si ritrovò a osservare una stanza minuscola, grande circa un quarto della camera in cui si trovava. Doveva essere all'incirca tre metri per due metri e mezzo. Non c'erano finestre e, da quel che poteva vedere, nessuna luce. La stanza era stata rifinita grossolanamente; le pareti non erano altro che tavole inchiodate alla struttura della casa mentre il pavimento sembrava fatto da alcuni grossi fogli di compensato imbullonati l'uno sull'altro e inchiodati a terra.
Al centro della stanza c'era un tavolino verniciato costruito con del legname di scarto. Sembrava molto vecchio, così come la sedia che lo accompagnava. Sul tavolino era appoggiato un libro e, giusto accanto, si trovava una candela in parte bruciata dentro un portacandele d'ottone. Sia il libro che la candela erano ricoperti da uno spesso strato di polvere.
Marie entrò nella stanza e avanzò verso il tavolo. Fu sul punto di prendere il libro ma anche solo pensare di volergli cambiare posizione le sembrò inappropriato, così all'ultimo momento ritrasse la mano. Il libro era un po' più grande rispetto a un moderno libro cartonato e il testo sulle pagine era disposto in due colonne. Si avvicinò, gli occhi immediatamente attratti dalle pagine polverose.
Un grido proveniente dal piano di sotto la fece sobbalzare: si allontanò dal tavolo con un salto all'indietro, trattenendo a stento un grido di spavento.
“Ehi, Marie!” Era la voce di Posey. E anche se aveva il tono allegro di sempre, aveva comunque iniettato una bella dose di paura in Marie, specie dal momento che si trovava in quella stanza segreta, gli occhi concentrati su un libro misterioso. Voleva iniziare a leggerlo per scoprire di cosa trattasse, ma sapeva che se avesse posato gli occhi sul volume sarebbe poi stato impossibile staccarsene. Decise dunque di voltarsi e di prestare attenzione a Posey.
“Sì?” rispose, uscendo lentamente dalla stanza.
“Qualcuno ha appena parcheggiato. Forse un cliente. Sembra il tipo di persona che attirava qui Brendan.”
Portare avanti quella conversazione urlando da una parte all'altra della casa le stava facendo venire l'emicrania. E sebbene quella stanza l'affascinasse tanto che non avrebbe voluto allontanarsene, sapeva anche che doveva trattare ogni singolo ospite come se fosse speciale. Era una regola a cui sperava di riuscire ad attenersi sempre, ma era specialmente valida adesso che era sull'orlo di un tracollo finanziario.
Si costrinse dunque a uscire definitivamente dalla stanza. Mentre andava via, Benjamin chiese: “Cosa devo fare ora? Devo sempre sostituire la tappezzeria?”
“Non adesso,” rispose Marie. “Per il momento, accantoniamo la cosa.”
Corse al piano di sotto, sperando di arrivare prima che giungesse l'ospite. Ma era ancora preoccupata dalla scoperta della stanza segreta e del libro che conteneva. E, oltre a quello, era sempre più su di giri all'idea che avrebbero potuto esserci molte altre sorprese in serbo, tutte da scoprire.
Arrivò ai piedi delle scale proprio mentre l'uomo stava varcando la porta d'ingresso. Sistemandosi dietro il banco della reception, Marie si prese il tempo di esaminare attentamente una delle persone più particolari che avesse mai visto. Non fosse stato per i capelli corvini, avrebbe quasi pensato che fosse albino. La sua pelle era bianca come gesso, in un modo che non sembrava affatto naturale. Era quasi come se fosse cosparso di cipria, ma, quando si avvicinò alla reception, Marie si accorse che non era così. Aveva i capelli piuttosto lunghi, impomatati e pettinati all'indietro sui lati fino alla nuca. Indossava un paio di occhiali da sole piccoli e molto scuri che facevano il paio con il resto del suo look, costituito da una giacca nera, maglietta e jeans. Un cappello nero in testa coronava il tutto come la classica ciliegina sulla torta.
“Benvenuto a June Manor,” disse Marie con tono allegro. “Come posso aiutarla?”
“Ci sono stanze libere?” chiese lui. Aveva una voce esile e un lieve accento inglese. Anche le sue labbra erano incredibilmente sottili; quando aveva la bocca chiusa, erano a malapena visibili e assomigliavano a un tratto di matita disegnato lungo la mandibola.
“Certo,” rispose Marie. “Abbiamo una vasta disponibilità al momento, a dire il vero, quindi può approfittare di un'ampia scelta di camere.”
“Eccellente,” commentò lui, senza nessuna reale emozione. “Ho bisogno di una camera per tre giorni. Forse un po' di più, non so ancora quanto rimarrò nella zona.”
“Sicuro. Le assicuro che…”
“Ora, prima di andare avanti con la prenotazione, ho una richiesta da fare. Resterò in camera per la maggior parte del mio soggiorno. E vorrei la massima privacy. Nessuno deve bussare alla mia porta per alcun motivo.”
Non lo disse in modo scortese, ma suonò comunque sgarbato. Ma a Marie andava bene così. Non si può desiderare un cliente più facile, pensò, di un cliente che non vedi quasi mai.
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