Gerolamo Rovetta - Il tenente dei Lancieri

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– I denari per i biglietti – intimò il giovinotto fermandosi su’ due piedi.

L’altro cercò di qua e di là il portafogli, con una lentezza da far disperare; infino lo trovò, lo apri meticolosamente e non meno meticolosamente scelse il più sudicio fra i biglietti da dieci lire… durò un pezzo a fregarlo colle dita per assicurarsi che non erano due. Poi, scrollando la testa, seguì un po’ alla lontana il figliuolo… e finì col sorridere ancora di compiacenza, vedendo come sapesse farsi largo fra la calca fino al finestrino.

– Pardon messieurs, pardon mesdames, due fauteuils di prima fila, s’il vous plait!

IV

Il signor Daniele era sempre rannicchiato nel cantuccio buio del fondaco; pure, al ricordo di quel suo primo ingresso al Dal Verme, si sentì come avvolto da una gran luce allegra e calda: la folla muta gremiva il teatro: l’orchestra sonava in tono lamentevole la Stella confidente.

Gladiator, montato all’alta scuola da madamigella Fanny, eseguiva il «passo spagnuolo».

Gladiator, come spiegava il manifesto, era il «famoso stallone arabo, regalato alla Stella del Circo Stanislao da Mohamed-pascià»,

– Sediamoci? – aveva detto Daniele a Giacomino, subito quando, a furia di gomitate e di spintoni, erano arrivati ai loro, posti. – Sediamoci?

Il signor Daniele, alla vista di madamigella Fanny, così esposta al pubblico, nell’amazzone nera, attillata, a cavallo di Gladiator, aveva provato come un barbaglio, un senso misto di confusione, di gelosia e di timidezza vereconda: non voleva, non osava guardarla: gli pareva che, seduto, sarebbe stato più nascosto e tornò a domandare al figliuolo:

– Sediamoci?

– Oh! Oh! C’è tutto il Nizza cavalleria! – esclamò Giacomino, che aveva visto gli ufficiali prima ancora di madamigella Fanny, e di corsa, saltando lo steccato e attraversando l’ultimo tratto della pista, andò a salutare il capitano Braganza, un suo amico del caffè Biffi.

– Che fai?..... Che fai?..... Giacomino! Giacomino!

– Giù a sedere – gridò una voce rabbiosa dietro il signor Daniele.

Il signor Daniele si sedette di colpo.

– Cappello! – intimò poco dopo la stessa voce: e il signor Daniele, subito, si tolse anche il cappallo senza voltarsi: guardava sempre Giacomino, aspettando che tornasse, o almeno gli facesse cenno.

Oh sì!… aveva altro in mente il giovinotto! Dopo stretta la destra al capitano, si era avvicinato a M. Richard che, in falda e stivaloni alla scudiera e con un grosso frustino in mano, teneva d’occhio ogni movimento di Gladiator.

– Bellissimo teatro, saperlotte!

– Tutto quello che c’è a Milano, come a Parigi, a Berlino, a Filadelfia!… tutto quello che c’è a Milano di più high-life, anche il generale Piccolomini di Coccorito.

Gladiator, nel frattempo, sempre al suono della Stella confidente, aveva finito il «passo spagnolo» e incominciava la «danza scozzese». Il cavallo mordeva il freno bavoso, sbuffava, nitriva, squassava la criniera, ma pure doveva piegarsi sotto la mano esperta o il ginocchio di ferro di madamigella Fanny e fare lentamente e leggermente tutto il giro del circolo, cullandosi sulle quattro zampe.

– Brava! Benissimo!

Il pubblico applaudiva, e il signor Daniele si faceva piccino nella sua poltrona come per nascondersi. Aveva guardato una volta sola madamigella Fanny, diritta sol cavallo bianco. L’aveva guardata per un attimo, appena entrato in teatro… e dopo tanti giorni, anche allora che ci ripensava in quell’angolo riposto del fondaco Monghisoni, l’aveva ancora stampata negli occhi quella figura viva e procace: ne vedeva ancora il cappello a cilindro, lucentissimo, un po’ sollevato dal grosso volume delle trecce, il solmo candido stretto ai collo delicato, le spalle larghe, il vitino sottile… e il mazzo di garofani rossi sul seno rotondo, sporgente, dentro l’amazzone attillata…

Era stato un incubo per lui lo spettacolo di quella svelta cavallerizza, di quel pubblico applaudente, di tutti quegli ufficiali, di quei giovanotti eleganti, che sorridevano, che scherzavano con lei, che la divoravano col desiderio.

Il buon uomo non vedeva l’ora che finissero gli sgambetti e le giravolte di Gladiator.

Ma ecco un ultimo esercizio. Madamigella Fanny aveva fatto impennare, il cavallo. – Su! su! su! – E il signor Daniele si era sentito un brivido nella ossa. – Su! su! su! – Gladiator tutto diritto, zampava in aria furiosamente… Madamigella Fanny si aggrappava alla criniera… Poi «hop» aveva gridato colla vocina acuta, ridente, prendendo la rincorsa; una frustata schioccante di M. Richard, e via, aveva saltato lo steccato fra uno scoppio di applausi.

– Brava! Benissimo!

E Giacomino?

Giacomino era in piedi, in mezzo allo stuolo degli ufficiali. Col cappello sulle ventitré e la mazza ficcata in una tasca dei soprabito, approvava e ammirava col gergo di chi se ne intende Gladiator e la Fanny.

– Se Dio vuole, è finito!

Il signor Daniele respirava e si allungava più comodamente nella poltroncina; ma tutto ad un tratto, ricomincia la Stella confidente ed eccola… eccola daccapo!

E un terzo incanto; non più il «bell’omino» dalla sera innanzi, non più la intrepida amazzone di prima: è a piedi, sola in mezzo al Circo immenso, reggendosi con una mano il lungo strascico e coll’altra mandando al pubblico saluti e baci…

Nuovi applausi, nuovo entusiasmo, e un’altra volta, due, tre, la Stella confidente e madamigella Fanny. Ma poi… la storia era continuata… Dopo qualche sera – povera ragazza! – poca gente al Dal Verme e pochi quattrini.

La virtù non è mai premiata a questo mondo: aveva ragione M. Richard.

– Se ma soeur – diceva – fosse come le altre centomila, bisognerebbe tutta le sere allargare il vostro Dal Verme. Invece la mia sorella, alto là, gentilissima, amabilissima, riconoscente a tutte le cortesie, ma… alto là. E di giorno, durante la répétition, e di sera con noi a cena, nessun altro che il generale Piccolomini di Coccorito, vecchio amico, e voi se ci farete l’onore.

Come dir di no?… e, qualche volta di giorno, colla scusa degli affari o della Camera di commercio, e qualche volta la sera, dopo che sua moglie era andata a letto e si era addormentata, il signor Daniele, strigliato, profumato, inguantato da Giacomino, scappava con Giacomino medesimo da madamigella Fanny. – Ma lui ci andava soltanto per sollecitudine paterna: per non lasciar andar solo il figliuolo, per invigilarlo, per impedire all’occorrenza che commettesse uno sproposito.

Proibire il Dal Verme al figliuolo? – Come poteva fare oramai? Giacomino aveva vent’anni e Maddalena aveva torto di volerlo tener sempre cucito alle sue gonnelle e sempre senza un soldo. Il troppo stroppia. E alle volte una simpatia innocentissima poteva salvare… dal pericolo. E pericolo con madamigella Fanny non ce n’era punto. L’intrepida amazzone del Circo Stanislao era a prova di bomba. – Lo diceva lei stessa, nel suo camerino, al signor Daniele, fissandolo con quegli occhi magici, scintillanti come le stelle e penetranti come un coltello – glielo diceva lei stessa sorridendo, sfiorandogli il ciuffo dei capelli arruffati, colla punta del frustino.

– No, no, no!… Quello che dovrà essere lui non è ancora arrivato.

– E il generale?… Piccolomini?

– Il generale? Oh! il generale non è altro che le grand père. Compris?… – Il nonno! E la bella ragazza, accarezzando più forte colla punta del frustino il ciuffo arruffato di Daniele, tornava a sorridere, tornava a guardarlo fisso e tornava a ripetere:

– No, no, no!… Marameo! Quello che dovrà essere lui non è ancora arrivato!

– Birichina! Birichina!

E ripensandoci, il signor Daniele sorrideva: sorrideva anche in quel fondaco melanconico, davanti all’uscio chiuso dello scrittoio della moglie.

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