Gerolamo Rovetta - Il tenente dei Lancieri

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Ciò detto, uscì dallo scrittoio e chiamò il marito che, per ordine gerarchico e di anzianità, doveva essere il primo a farsi prendere la misura.

– Daniele!…

Ma Daniele, in quel frastuono rimbombante, non udì, e non rispose subito.

– Dààniele! Sei sordo? – ripetè quasi urlando la signora Maddalena. – E sì, per diana, posso vantarmi di aver i polmoni di mio padre: Dààniele!

– Eccomi! eccomi! – e il signor Daniele sbucò di dietro a due facchini che facevano rotolare un barile sopra un lungo carretto a mano.

– Presto, la misura.

La signora Maddalena si era appoggiata col gomito a due pezze di panno color bigio «resistente» che aveva comperato apposta per vestire tutta la famiglia, e mentre il sarto prendeva le misure al signor Trebeschi, Maddalena dava le opportune istruzioni.

– Giacca, gilet e pantaloni; largo, comodo; e buone fodere, mi raccomando.

– Non dubiti, signora, Maddalena.

Poi il sarto, mentre teneva alzato un braccio del signor Daniele per prendergli la misura della manica, domandò, sempre rivolgendosi alla signora Maddalena:

– Facciamo a un petto solo, o a due?

– A due, a due petti! Così, all’occorrenza, gli può servire anche da, paltò. Io, che ho la testa sulle spalle, ho sempre tutte le viste. Ha finito?

– Sissignora.

– E uno! Adesso a quest’altro!

E mentre il signor Daniele, che si era lasciato girare e rigirare dal sarto senza mai dire una parola, tornava frettoloso là donde era venuto, Maddalena ricominciò a gridare con quanto fiato aveva; in gola:

– Temistocle! Temistocle!

Comparve, quasi subito, un altro perticone dinoccolato, arruffato, colla faccia scialba, col naso storto e fatto a spatola e col mento pecorino; era il primogenito dei Trebeschi. Si sbottonò subito il panciotto e si fermò diritto dinanzi al sarto, anche lui senza fiatare.

– Mi raccomando molta roba sotto alle maniche e in fondo ai calzoni, per farli allungare a un bisogno: la mal’erba cresce.

– Non dubiti, signora Maddalena.

– I bottoni per le bretelle, ben forti.

E mentre Temistocle, come prima aveva fatto suo padre, si lasciava voltare e rivoltare, la signora Maddalena continuava a strapazzarlo:

– Sei uno sciupone: è un peccato farti la roba! Ma perché non prendete tutti esempio da me, giacché avete la fortuna di avermi sempre davanti agli occhi? Questo vestito – e ne alzava la sottana stirandola con una mano – ha più di sei anni ed è ancora nuovo fiammante!

Poi, al sarto:

– Ha finito?

– Sissignora.

Temistocle non glie lo lasciò ripetere, e mentre la signora Maddalena esclamava: – E due! – scappò in fondo al magazzino dove, tolta di mano la bilancia ad un giovanotto che stava pesando un gran fiasco d’olio, gli disse:

– Corri; tocca a te.

Infatti, in quel punto si udì la voce della signora Maddalena che chiamava:

– Gian Maria!

Gian Maria, il secondogenito, sebbene avesse un anno soltanto meno di Temistocle, era molto più piccolo. Ma. aveva la stessa testa arruffata, lo stesso naso collo stesso mento da pecora.

Dopo di lui si presentò per la misura di un soprabito anche la nipote del signor Trebeschi: la signorina Cammilla era assestata e aggraziata nella elegante semplicità della giovane personcina; dal visetto piacente traspariva la bontà e la dolcezza: tuttavia, chi osservasse bene la forma del naso e del mento poteva riscontrare anche in lei una lontana aria di famiglia.

Uno solo, l’ultimo dei Trebeschi, Giacomino, alto, sottile, elegante, era un bel ragazzo, col naso diritto e il mento aristocratico: tutti dicevano, per spiegarci tale anomalia, che Giacomino assomigliava alla mamma. In ogni modo è certo che la somiglianza, se somiglianza c’era, non rabboniva la signora Maddalena, non la rendeva nè più indulgente nè più tenera per quel figliuolo; anzi sembrava che nutrisse contro di lui una strana avversione.

Forse la signora Maddalena era così, perchè Giacomino dal canto suo dimostrava un carattere troppo vivo e indipendente e certe volte anche prepotente. Egli intanto dichiarava che non voleva saperne a nessun patto di fare il «mercante», poi scappava, stava fuori la notte, giocava al biliardo, dava pizzicotti e abbracci alla serva, e non aveva nessuna paura di sua madre: fatto straordinario, questo, così straordinario che gli suscitava intorno un tacito senso di ammirazione e di simpatia. Tutti quanti facevano carte false per scusarlo, per difenderlo, per salvarlo dalle furie materne.

Anche quel giorno Giacomino doveva essere lì cogli altri per farsi prendere la misura; ma, al solito, se n’era dimenticato, e bisognò che il babbo di nascosto lo mandasse a chiamare.

– Eccomi, saperlotte! Avete detto alle dieci, e non sono che le dieci e un quarto! – esclamò Giacomino arrivando di corsa, e quantunque la mamma, muta, con gli occhi torvi (bruttissimo segno!) cercasse di schermirsi e di respingerlo, egli riuscì a stamparle un bacio sul collo.

Il sarto, che stava per andarsene, e si era già messo le due pezze sotto le braccia, le posò sopra uno sgabello per cercare nelle tasche il nastrino del metro; ma Giacomino, prima di lasciarsi prendere la misura, volle vedere la stoffa; poi, appena l’ebbe guardata e toccata, dichiarò che non ne voleva sapere: era troppo grossa, troppo ordinaria. – No! no! no! E poi sempre vestiti tutti ad un modo, come in un collegio; peggio, come in una casa di ricovero! No! no! no!… – non ne voleva sapere!

– Del resto – e scoppiò in una gran risata – tu parli sempre di risparmio e di economia, e poi non la sai fare, una giusta economia. Questo inverno dovrò cominciare il mio anno di volontariato. Che cosa me ne faccio degli abiti… da vile borghese? Vado in cavalleria, sapristi! Hoplà, là!

E mentre il signor Daniele, Temistocle, la Cammilla, tutti quanti stavano attenti a quella scena, cacciando fuori il capo tra le botti d’olio e i barili di acciughe, Giacomino inforcò una sedia e girò con essa attorno alla signora Maddalena, fingendo di cavalcare, gridando sempre allegramente: – Hoplà, là! hoplà, là!

– Ha sentito: lei può andarsene. Se ne vada – disse la signora Maddalena al sarto che, rimesse le due pezze sotto il braccio, cheto cheto, infilò l’uscio.

L’audacia era stata troppa: le teste del babbo, dei fratelli, della cugina non si vedevano più, erano sparite. Gli altri poi facevano anche più rumore del solito, per timore che la voce della signora Maddalena non si udisse in istrada.

Ma questa volta la signora Maddalena non fiatò. Continuava a fissare Giacomo, immobile, muta: quando la signora Maddalena guardava uno dei giovani del fondaco in quel modo, la sera si facevano i conti e il disgraziato era messo in libertà.

E infatti essa ripensava a un suo progetto che da anni le mulinava in testa per quel ragazzaccio. Altro che il volontariato! Lo avrebbe imbarcato come mozzo sopra una nave a vela: gli avrebbe fatto fare il giro del mondo. Suo padre non voleva? Voleva lei, e basta.

– Hop! hop! hoplà, là! – continuava a gridare il monello.

Essa a un tratto, mentre le passava vicino, lo, afferrò per i capelli, lo arrestò scotendolo con violenza.

– Scimmiotto! – borbottò fremente. – Va via! Fuori dei piedi! – e lo buttò lontano, verso la porta del fondaco.

Il ragazzo alla sua volta impallidì.

– Sì! Anche subito – rispose. – Anche sul momento. Sono un uomo, e non ti riconosco il diritto di trattarmi come un cane, d’insultarmi in questo modo. Hai capito? – e si piantò diritto in faccia a sua madre, fissandola pallido, ma sicuro.

Maddalena lo squadrò dal capo ai piedi; a un tratto si sentì confusa da quell’occhio limpido, ceruleo, che la fissava, abbassò lo sguardo.... e scorse allora, per la prima volta, la ciocca colorata di un fazzoletto di batista che spuntava dalla tasca di Giacomino.

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