Giovanni Pascoli - Primi poemetti (1904)
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Uomini, dirò come in una favola per i bimbi: uomini, imitate quel rondone. Uomini, insomma contentatevi del poco («assai» vuol dire sì abbastanza e sì molto: filosofia della lingua!), e amatevi tra voi nell’ambito della famiglia, della nazione e dell’umanità.
Ma io non parlo più a te, dolce Maria. Eccomi a te di nuovo… Ma c’è da fare il pane. Oggi è sabato. Lasciamo la penna, e andiamo. Andiamo, buona sorella, a fabbricarci il nostro pane quotidiano, o, a dir meglio, settimanale, che ci sembra poi così buono, né solo perché fatto a crocette, come è usanza della nostra Romagna (qua li chiamano colombini, come quelli di Pasqua), ma perché intriso, rimenato e foggiato dalle nostre proprie mani. Andiamo dunque a fare opera… indovina, di che?… di emancipazione, figliuola mia!
Castelvecchio di Barga, 5 giugno 1897.
Giovanni
LA SEMENTA
L’ALBA
Allor che Rosa dalle bianche braccia
aprì le imposte, piccola e lontana
dal cielo la garrì la cappellaccia.
Dalla Pieve a’ Cipressi la campana
sonava l’alba: in alto, sul Mongiglio
erano bianchi bioccoli di lana.
Raspava una gallina sopra il ciglio
d’un fosso. Po s’alzò, scosse la brina,
scodinzolando, con uno sbadiglio.
Ed al frizzar dell’aria mattutina,
nel comun letto si svegliò Viola,
all’improvviso, e mormorò: «Rosina!
Rosina!». E già taceva la chiesuola
lasciando udire un canto di fringuello,
e, per i campi ombrati di viola,
lo squillar de’ pennati sul marrello.
E Rosa in tanto, al davanzale, i semi
coglieva d’una spiga d’amorino,
e mondava dal secco i crisantemi.
Si sfumò d’oro un bioccolo argentino:
oh! una mandra, tutta oro, tranquilla
pasceva in alto in mezzo al cilestrino.
Corsero come guizzi di pupilla;
tutto via via razzava: un fil di paglia
nel concio nero, un ciottolo, una stilla.
Ma il sole entrava come in una maglia
sottil di nubi d’un color d’opale,
e traspariva dalla nuvolaglia.
Rosa si ravviava al davanzale:
or luce, or ombra si sentìa sul viso;
ché il sol montando per il cielo a scale
appariva e spariva all’improvviso.
Appariva e spariva; e venìa meno
la terra all’occhio, e poi, come in un fiato,
tutto balzava su verso il sereno.
A monte, a mare, ella guardò: guardato
ch’ebbe, ella disse (udiva sui marrelli
a quando a quando battere il pennato):
«Aria a scalelli, acqua a pozzatelli».
NEI CAMPI
Il capoccio avea detto: «Odimi, moglie.
Senti le rare tremule tirate
che fanno i grilli? Cadono le foglie;
e tristi i grilli piangono l’estate.
L’altra notte non chiusi occhio, tanto era
quel gridìo! – Seminate! Seminate! —
credei sentire. Poi, sentii ier sera
passar su casa un lungo rombo d’ale:
l’anatre vanno per la notte nera.
C’è sopra il verno. Il primo temporale
cova nell’aria. Sai che, per il grano,
presto è talora, tardi è sempre male.
Domani voglio il mio marrello in mano;
ché chi con l’acqua semina, raccoglie
poi col paniere; e cuoce fare in vano
più che non fare. Incalciniamo, o moglie».
E per due giorni consegnava il grano
alle soffici porche. Seminare
volle la costa, seminare il piano.
E per due giorni non uscì da mare
pure una nube; e il garrulo vicino,
«Il tempo è in filo,» gli dicea, «compare!»
Ma egli arava tutto il giorno, chino
sopra le porche. Il terzo dì, cantava
al buio il gallo, prima di mattino.
Ed egli al buio sorse, ed aggiogava
le brune vacche (uscirono mugliando
e rugumando la lor verde bava),
e seminava. Dore al giogo, Nando
era alla coda: Nando, il suo maggiore,
che ammoniva le bestie a quando a quando,
tarde, e la forza pargola di Dore.
Forza di Dore, le divincolanti
vacche reggevi; ma tuo padre il grano
pulverulento si gettava avanti.
La sementa spargea con savia mano;
altri via via copriva la sementa.
L’aratro andava, nell’ombrìa, pian piano:
qualche stella vedea l’opera lenta.
PER CASA
Vedea nell’ombra qualche muta stella
gli uomini arare. Nella mattinata
ci fu lo spruzzo d’una scosserella.
La casa aveva aperto ogni impannata.
Passò lontano, ripassò vicino
lo stridulo fruscìo della granata.
Fumò nell’aria torpida il camino.
Poi le stoviglie parvero fra loro
rissare nel silenzio mattutino.
Poi la fanciulla dai capelli d’oro
tessea cantando. Andò la spola a volo,
corsero i licci e il pettine sonoro.
Cantò: «Maria cercava il suo figliuolo.
Maddalena le disse: Ave Maria:
sui neri monti io l’ho veduto: o duolo!
porta una croce e sanguina per via».
Tra il colpeggiar del pettine sonoro
ed il suo canto, ella sentì, «Rosina!»
la verginella dai capelli d’oro.
Sorse dalla panchetta ed in cucina
venne e trovò la cara madre pia
«Figlia,» le disse, «staccia la farina.
Viola è fuori con la mucca, via
per Ginestrelle. Babbo oggi non viene
se non al tocco dell’Avemaria.
Sai, per il grano, che spicciarsi è bene:
presto è talora, tardi è sempre male!
E già piange le sue notti serene
il grillo stanco, e il primo temporale
cova nell’aria. Non lo senti a sera
passar su casa un lungo rombo d’ale?
L’anatre vanno per la notte nera».
E seguitava: «Io voglio accomodare,
se mi riesce, questi due radicchi,
ch’ho già intoccati, con altr’erbe amare.
E tu, mentr’io soffriggo uno o due spicchi
d’aglio trito, costì, su la brunice,
fa la polenta, buona anco pei ricchi,
quando s’ha un bocconcino che ci dice».
IL DESINARE
Ubbidì Rosa al subito comando.
Sotto il paiolo aggiunse legna, il sale
gettò nell’acqua che fremé ronzando.
Stacciò: lo staccio, come avesse l’ale,
frullò fra le sue mani; e la farina
gialla com’oro nevicava uguale.
Ne sparse un po’ nell’acqua, ove una fina
tela si stese. Il bollor ruppe fioco.
Ella ne sparse un’altra brancatina.
E poi spentala tutta a poco a poco,
mestò. Senza bisogno di garzone,
inginocchiata nel chiaror del fuoco,
mestò, rumò, poi schiaffeggiò il pastone,
fin che fu cotto; e lo staccò bel bello,
l’ammucchiò nel paiolo, col cannone
di pioppo; e lo sbacchiò sopra il tarvello.
Ora la madre nella teglia un muto
rivolo d’olio infuse, e di vivace
aglio uno spicchio vi tritò minuto.
Pose la teglia su l’ardente brace,
col facile olio; e, solo intenta ad esso,
un poco d’ora l’esplorò sagace.
L’olio cantò con murmure sommesso;
un acre odore vaporò per tutto.
Fumavano le calde erbe da presso,
nel tondo ch’ella inebbriò del flutto
stridulo, aulente; e poi nel canovaccio
nitido e grosso avviluppava il tutto.
E Rosa intanto sospendea lo staccio,
ponea le fette sopra un bianco lino,
stringea le còcche, e v’infilava il braccio.
Tornò Viola, e furono in cammino.
Rosa e Viola furono in cammino.
Ma la pia madre altro pensò; discese;
spillò la botte d’un segreto vino.
E poi, tornata, con le figlie prese
pei greppi; lesta, poi ch’una campana
si sentiva sonare dal paese:
non più che un’ombra pallida e lontana.
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