Emilio Salgari - Alla conquista di un impero
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– Io saperlo,– rispose Yanez.
– E non domandi nulla.
– Io essere contento cacciare bâg ed essere tuo grande cacciatore.
– Se ciò può farti felice, io ti offro alla mia corte un appartamento, i miei elefanti ed i miei scikari.
– Grazie, principe: io essere molto soddisfatto. —
Il rajah si tolse da un dito un magnifico anello d’oro che aveva un diamante grosso come una nocciuola d’una limpidezza meravigliosa e che doveva valere per lo meno diecimila rupie e lo porse a Yanez, dicendogli con un grazioso sorriso:
– Tieni almeno questo, mylord, per mio ricordo. Vorrei però chiedere a te, giacché sei un grande cacciatore, un favore.
– Io essere sempre pronto a farlo a S. Altezza, – rispose il portoghese.
Il rajah fece un gesto imperioso. I ministri e i seikki si ritrassero subito all’opposta estremità della sala onde non ascoltare ciò che doveva dire il loro principe.
– Ascoltami, – disse il rajah.
– Io ascoltarti, Altezza, – disse Yanez avvicinandosi.
– Tu mi hai detto di esseri recato nella foresta a cacciare la tigre nera. L’hai veduta?
– No, Altezza, – rispose Yanez, che cominciava a tenersi in guardia, non sapendo dove voleva finire il principe. – Io averne solamente udito parlare.
– Quella bâg un giorno ha mangiato i miei figli.
– Aho! Cattiva bestia.
– Così cattiva che si calcola abbia divorato più di duecento persone.
– Molto appetito quella bestia!
– Tu sei grande cacciatore, mi hai detto.
– Moltissimo.
– Vuoi provarti a ucciderla? —
Yanez con non poca sorpresa del rajah non aveva risposto. I suoi occhi si erano invece fissati su una doppia cortina di seta che pendeva dietro a quella specie di letto e che di quando in quando oscillava come se dietro si nascondesse qualcuno.
– Che cosa può essere? – si era chiesto il sospettoso portoghese. – Si direbbe che qualcuno suggerisce delle pessime idee al sovrano.
– Mi hai capito, mylord? – chiese il rajah, un po’ sorpreso di non ricevere risposta.
– Sì, altezza – rispose Yanez. – Io andare uccidere bâg nera che ha mangiato tuoi figli.
– Avresti tanto coraggio?
– Io mai avere paura delle tigri. Pum! E morte tutte!
– Se tu, mylord riuscirai a vendicare i miei figli, io darò a te tutto quello che vorrai. Pensaci.
– Io avere pensato.
– Che cosa vorrai?
– Tu avere commedianti a corte, Altezza.
– Sì.
– Io voler vedere commedie indiane e suggerire io soggetto ad artisti.
– Ma tu non domandi nulla! – esclamò il rajah, che cadeva di sorpresa in sorpresa.
Un sorriso diabolico era comparso sulle labbra di Yanez.
– Noi inglesi essere tutti eccentrici. Io voler vedere teatro indiano.
– Subito?
– No, dopo aver uccisa tigre feroce. Io dare a mangiare a quella brutta bestia molto piombo.
Tu Altezza preparare domani elefanti e scikari, prima spuntare sole. Io preparare tutti miei uomini.
Lasciami andare ora: curare molto mie armi buone. —
Yanez si era alzato facendo al principe un profondo inchino.
– Addio, mylord! – disse il rajah porgendogli la destra. – Non dimenticherò mai quanto ti devo.
– Aho! Io non avere fatto nulla. —
I seikki ed i ministri si erano riavvicinati. I primi ad un cenno del rajah aveva presentato le armi al portoghese, il quale aveva risposto con un perfetto saluto militare.
Anche i sei malesi, dal canto loro, avevano alzato le carabine salutando il rajah.
Yanez attraversò a passi lenti la sala, accompagnato da due ministri; quando però fu presso la porta si volse bruscamente e vide, con non poca sorpresa, una testa comparire fra le cortine di seta che pendevano dietro il trono del principe. Quella testa era d’un uomo bianco, barbuto, con due occhi di fuoco.
I loro sguardi s’incontrarono, ma fu un lampo, poiché quell’europeo era subito scomparso.
– Ah! Birbante! – mormorò Yanez. – Eri tu che suggerivi al principe! Deve essere quel greco misterioso di cui mi ha parlato quel povero Kaksa Pharaum.
Quello deve essere più pericoloso di quell’imbecille di Sindhia, però mio caro, hai da fare con delle vecchie Tigri di Mompracem e puoi essere certo che ti mangeranno. —
Salutò i ministri che lo avevano accompagnato e uscì dal palazzo, salutato dalle guardie che vegliavano sulle gradinate e dinanzi al portone.
A breve distanza stava fermo il suo mail-cart, tirato da due cavalli che Bindar, il sivano, riusciva a mala pena a tenere fermi.
– Mio fratellino Sandokan è veramente un grand’uomo, – mormorò Yanez. – Che tigre prudente. —
Si volse verso i malesi che aspettavano i suoi ordini:
– Disperdetevi, – disse loro – fate tutto ciò che volete e badate di non farvi seguire da nessuno. Non ritornate alla pagoda sotterranea che a notte tarda e fucilate senza misericordia chi cercherà di spiarvi.
Vi sono dei pericoli.
– Va bene capitano, – risposero i malesi.
Salì a cassetta, sedendosi a fianco di Bindar e lanciò i cavalli a corsa sfrenata onde nessuno potesse seguirlo.
Solamente quando fu sulle rive del Brahmaputra lontano dagli ultimi sobborghi, rallentò il galoppo furioso dei focosi destrieri.
– Bindar, – disse, – hai udito a parlare tu della tigre nera che ha mangiato i figli del rajah?
– Sì, sahib – rispose l’indiano.
– Anch’io ho udito vagamente a parlarne due o tre giorni or sono. Che bestia è?
– Una bâg che si dice sia tutta nera e che commette delle stragi terribili.
– Quale luogo frequenta?
– Le jungle di Kamarpur.
– Sono lontane?
– Una ventina di miglia, non di più.
– Al di là del Brahmaputra?
– Non è necessario attraversare il fiume.
– È vero che ha mangiati i figli del rajah?
– Sì, sahib.
– Quando?
– L’anno scorso.
– E come?
– Il rajah seccato dai continui reclami dei suoi sudditi, s’era finalmente deciso di porre fine alle stragi che commetteva quella admikanevalla ed aveva incaricato i suoi due figli di dirigere la battuta.
Erano fanciulli, assolutamente incapaci di condurre a termine una così difficile impresa. Temendo però la collera del padre si erano ben guardati dal rifiutarsi. Non si sa veramente come siano andate le cose; però ti posso dire che due giorni dopo furono trovati i loro corpi, semi-divorati, pendenti da un ramo d’un albero.
– Si erano imboscati lassù?
– Dove li avevano messi e legati – disse Bindar.
– Che cosa vuoi dire?
– Che sotto la pianta furono trovate delle corde strappate, – rispose l’indiano.
– E vuoi concludere?
– Che si sussurra qui, che il rajah avesse approfittato di quella tigre per sbarazzarsi di quei due fanciulli che forse gli davano noia.
– Per Giove! – esclamò Yanez inorridito.
– Eh! Sahib! Sindhia è fratello di Bitor, il rajah che regnava prima e che tutti detestavano per le sue infamie.
– Ah! Ho capito – rispose il portoghese aggrottando la fronte.
Poi mormorò fra sé:
– Il greco, la tigre nera che ha mangiato i figli del rajah, l’invito ad andarla ad ammazzare. Che cosa ci sarà sotto tutto ciò? Fortunatamente ho la Tigre della Malesia, Tremal-Naik e Kammamuri sotto mano, tre unità formidabili, come direbbe un marinaio moderno.
La bâg cadrà, non ne dubito e allora, mio caro Sindhia, non sarà una semplice rappresentazione quella che ne pagherà le spese. Ci vuol ben altro! Una corona per Surama e per me. —
Lanciò nuovamente i cavalli al galoppo allontanandosi dalla città parecchie miglia e volgendosi di quando in quando per vedere se era seguito da qualche altro mail-cart.
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