Emilio Salgari - Il Corsaro Nero

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– Chi siete voi, signore? – chiese il castigliano senza manifestare il minimo timore. – Dalle vesti che indossate vi si potrebbe credere un gentiluomo, ma l’abito non fa sempre il monaco o potreste esser anche qualche bandito.

– Ecco una parola che potrebbe costarvi cara, mio gentiluomo, – rispose il Corsaro.

– Bah!… Lo si vedrà piú tardi.

– Siete coraggioso, signore; tanto meglio. Vi consiglierei però di deporre la spada e di arrendervi.

– A chi?…

– A me.

– Ad un bandito che tende un agguato per assassinare a tradimento le persone?…

– No, al cavaliere Emilio di Roccanera, signore di Ventimiglia.

– Ah!… Voi siete un gentiluomo!… Vorrei almeno sapere allora perché il signore di Ventimiglia cerca di farmi assassinare dai suoi servi.

– È una supposizione affatto vostra, signore; nessuno ha mai pensato ad assassinarvi. Si voleva disarmarvi e tenervi prigioniero per qualche giorno e nient’altro.

– E per quale motivo?

– Onde impedirvi di avvertire le autorità di Maracaybo che qui mi trovo io, – rispose il Corsaro.

– Forse che il signor di Ventimiglia ha dei conti da regolare colle autorità di Maracaybo?

– Non sono troppo amato da loro o meglio da Wan Guld, il quale sarebbe troppo felice di avermi in sua mano, come io sarei ben lieto di averlo in mio potere.

– Non vi comprendo signore, – disse il castigliano.

– Ciò non vi interessa. Orsú, volete arrendervi?

– Oh!… E voi lo pensate! Un uomo di spada cedere senza difendersi?

– Allora mi costringete ad uccidervi. Non posso permettervi di andarvene, o io ed i miei compagni saremmo perduti.

– Ma chi siete voi infine?

– Dovreste ormai averlo indovinato: noi siamo filibustieri della Tortue. Signore, difendetevi, perché ora vi ucciderò.

– Lo credo dovendo fare fronte a tre avversari.

– Non preoccupatevi di loro, – disse il Corsaro, indicando Carmaux ed il negro. – Quando il loro comandante si batte hanno l’abitudine di non immischiarsene.

– In tal caso spero di mettervi presto fuori di combattimento. Voi non conoscete ancora il braccio del conte di Lerma.

– Come voi non conoscete quello del signore di Ventimiglia. Conte, difendetevi!…

– Una parola se me lo permettete. Che cosa avete fatto di mio nipote e del suo domestico?

– Sono prigionieri assieme al notaio, ma non inquietatevi per loro. Domani saranno liberi e vostro nipote potrà impalmare la sua bella.

– Grazie, cavaliere.

Il Corsaro Nero s’inchinò lievemente, poi scese rapidamente i gradini ed incalzò il castigliano con tanta furia, che questi fu costretto a retrocedere di due passi.

Per alcuni istanti nell’angusto corridoio si udí solo lo stridore dei ferri. Carmaux ed il negro, appoggiati contro la porta, colle braccia incrociate assistevano al duello senza parlare, cercando di seguire cogli sguardi il fulmineo guizzare delle lame. Il castigliano si batteva splendidamente, da spadaccino valente, parando con grande sangue freddo e vibrando stoccate bene dirette; dovette ben presto convincersi però d’avere dinanzi un avversario dei piú terribili e che possedeva dei muscoli d’acciaio.

Dopo le prime botte, il Corsaro Nero aveva riacquistata la sua calma. Non attaccava che di rado, limitandosi a difendersi come se volesse prima stancare l’avversario e studiare il suo gioco. Fermo sulle sue gambe nervose, col corpo diritto, la mano sinistra avanzata orizzontalmente, gli occhi lampeggianti, pareva che giocasse.

Invano il castigliano aveva cercato di spingerlo verso la scala colla segreta speranza di farlo cadere, vibrandogli una tempesta di stoccate. Il Corsaro non aveva fatto un solo passo indietro ed era rimasto irremovibile fra quello scintillio della lama, ribattendo i colpi con una rapidità prodigiosa, senza uscire di linea.

D’improvviso però si slanciò a fondo. Battere di terza la lama dell’avversario con un colpo secco, legarla di seconda e fargliela cadere al suolo, fu un colpo solo.

Il castigliano, trovandosi inerme, era diventato pallido e si era lasciato sfuggire un grido. La punta scintillante della lama del Corsaro rimase un istante tesa, minacciandogli il petto, poi subito si rialzò.

– Voi siete un valoroso, – disse, salutando l’avversario. – Voi non volevate cedere la vostra arma: ora io me la prendo, ma vi lascio la vita.

Il castigliano era rimasto immobile col piú profondo stupore scolpito in viso. Gli sembrava forse impossibile di trovarsi ancora vivo. Ad un tratto fece rapidamente due passi innanzi e tese la destra al Corsaro, dicendo:

– I miei compatrioti dicono che i filibustieri sono uomini senza fede, senza legge, dediti solamente al ladronaggio di mare; io posso ora dire come fra costoro si trovano anche dei valorosi, che in fatto di cavalleria e di generosità possono dare dei punti ai piú compiti gentiluomini d’Europa. Signor cavaliere, ecco la mia mano: grazie!…

Il Corsaro gliela strinse cordialmente, poi raccogliendo la spada caduta e porgendola al conte rispose:

– Conservate la vostra arma, signore; a me basta che voi mi promettiate di non adoperarla, fino a domani, contro di noi.

– Ve lo prometto, cavaliere, sul mio onore.

– Ora lasciatevi legare senza opporre resistenza. Mi rincresce dovere ricorrere a questa necessità; ma non posso farne a meno.

– Fate quello che credete.

Ad un cenno del Corsaro, Carmaux si avvicinò al castigliano e gli legò le mani, poi lo affidò al negro, il quale s’affrettò a condurlo nella stanza superiore a tenere compagnia al nipote, al servo ed al notaio.

– Speriamo che la processione sia finita, – disse Carmaux, rivolgendosi verso il Corsaro.

– Io credo invece che fra poco altre persone verranno ad importunarci, – rispose il capitano. – Tutte queste misteriose sparizioni non tarderanno a creare dei gravi sospetti fra i familiari del conte e del giovanotto, e le autorità di Maracaybo vorranno immischiarsene. Noi faremo bene a barricare le porte e prepararci alla difesa. Hai osservato se vi sono armi da fuoco in questa casa?…

– Ho trovato nel granaio un archibugio e delle munizioni, oltre ad una vecchia alabarda arrugginita ed una corazza.

– Il fucile potrà servirci.

– E come potremo resistere, comandante, se i soldati verranno ad assalire la casa?…

– Lo si vedrà poi; ti assicuro che, vivo, Wan Guld non mi avrà mai!… Orsú, prepariamoci alla difesa. Piú tardi, se avremo tempo, penseremo alla colazione.

Il negro era tornato, lasciando Wan Stiller a guardia dei prigionieri. Messo al corrente di ciò che si doveva fare, si mise alacremente all’opera.

Aiutato da Carmaux, portò nel corridoio tutti i mobili piú pesanti e piú voluminosi della casa, non senza provocare, da parte del povero notaio, una sequela di proteste affatto inutili. Casse, armadi, tavoli massicci, canterani furono accumulati contro la porta, in modo da barricarla completamente.

Non contenti, i filibustieri rizzarono con altre casse ed altri mobili una seconda barricata alla base della scala, per potere contrastare il passo agli assalitori, nel caso che la porta non avesse potuto piú resistere.

Avevano appena terminati quei preparativi di difesa, quando videro Wan Stiller scendere la scala a precipizio.

– Comandante, – disse, – nella viuzza si sono aggruppati parecchi cittadini e tutti guardano verso questa casa. Io credo che ormai si siano accorti che qui succedono delle misteriose sparizioni d’uomini.

– Ah!… – si limitò ad esclamare il Corsaro, senza che un muscolo del suo viso si fosse alterato.

Salí tranquillamente la scala e si affacciò alla finestra che dominava la viuzza tenendosi nascosto dietro le persiane.

Wan Stiller aveva detto il vero. Una cinquantina di persone, divise in vari gruppetti, ingombravano l’opposta estremità della viuzza. Quei borghesi parlavano con animazione e s’indicavano vicendevolmente la casa del notaio, mentre alle finestre delle case vicine si vedevano apparire e scomparire gli inquilini.

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