Emilio Salgari - Il Corsaro Nero

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Il compare bianco ed il compare negro, dopo avere messo sotto sopra tutta l’abitazione, riuscirono a scoprire un prosciutto affumicato ed un certo formaggio assai piccante che doveva mettere tutti di buon umore e fare meglio gustare l’eccellente vino del notaio, almeno cosí assicurava l’amabile filibustiere.

Già avevano avvertito il Corsaro che la colazione era pronta ed avevano stappate alcune bottiglie di Porto, quando udirono picchiare nuovamente alla porta.

– Chi può essere? – si chiese Carmaux. – Un altro cliente che desidera andare a tenere compagnia al notaio?…

– Và a vedere, – disse il Corsaro, che s’era già assiso alla tavola improvvisata.

Il marinaio non si fece ripetere l’ordine due volte ed affacciatosi alla finestra, senza però alzare la persiana, vide dinanzi alla porta un uomo un po’ attempato e che pareva un servo od un usciere di tribunale.

– Diavolo! – mormorò. – Verrà a cercare il giovanotto. La sparizione misteriosa del fidanzato avrà preoccupato sposa, padrini e gli invitati. Uhm!… La faccenda comincia ad imbrogliarsi!…

Il servo intanto, non ricevendo risposta, continuava a martellare con crescente lena facendo un fracasso tale, da attirare alle finestre tutti gli abitanti delle case vicine.

Bisognava assolutamente aprire ed impadronirsi anche di quell’importuno prima che i vicini, messi in sospetto, non accorressero ad abbattere porta o mandassero a chiamare i soldati.

Carmaux ed il negro si affrettarono quindi a scendere e ad aprire, non appena quel servo od usciere che fosse si trovò nel corridoio fu preso per la gola onde non potesse gridare, legato, imbavagliato, quindi portato nella camera superiore a tenere compagnia al disgraziato padroncino ed al non meno sfortunato notaio.

– Il diavolo se li porti tutti!… – esclamò Carmaux. – Noi faremo prigioniera l’intera popolazione di Maracaybo, se continua ancora per qualche tempo.

CAPITOLO VII. UN DUELLO FRA GENTILUOMINI

La colazione, contrariamente alle previsioni di Carmaux, fu poco allegra ed il buon umore mancò, non ostante quell’eccellente prosciutto, il formaggio piccante e le bottiglie del povero notaio.

Tutti cominciavano a diventare inquieti per la brutta piega che prendevano gli avvenimenti, a causa di quel disgraziato giovanotto e del suo matrimonio. La sua sparizione misteriosa, unitamente a quella del servo, non avrebbe di certo mancato di spaventare i parenti ed erano da aspettarsi presto delle nuove visite di servi o di amici, o, peggio ancora, di soldati o di qualche giudice o di qualche alguazil.

Quello stato di cose non poteva assolutamente durare a lungo. I filibustieri avrebbero fatto ancora altri prigionieri, ma poi sarebbero certamente venuti i soldati, e non uno alla volta per farsi prendere.

Il Corsaro ed i suoi due marinai avevano ventilati parecchi progetti, ma nemmeno uno era sembrato buono. La fuga per il momento era assolutamente impossibile; sarebbero stati di certo riconosciuti, arrestati e senz’altro appiccati come il povero Corsaro Rosso ed i suoi sventurati compagni. Bisognava attendere la notte; era però poco probabile che i parenti del giovanotto dovessero lasciarli tranquilli.

I tre filibustieri, ordinariamente cosí fecondi di trovate e di astuzie al pari di tutti i loro compagni della Tortue, si trovavano in quel momento completamente imbarazzati.

Carmaux aveva suggerita l’idea di indossare le vesti dei prigionieri e di uscire audacemente, ma si era subito accorto dell’impossibilità di realizzare il suo piano, non potendosi utilizzare il costume del giovanotto, perché nessuno avrebbe potuto indossarlo, e poi la cosa era stata giudicata troppo pericolosa, coi soldati che battevano le campagne vicine. Il negro era invece tornato alla sua prima idea, cioé di recarsi ad acquistare delle divise di alabardieri o di moschettieri; anche questo per il momento era stato scartato, essendo costretti ad aspettare la notte per poterla effettuare con qualche successo.

Stavano pensando e ripensando per scovare qualche nuovo progetto, che fornisse loro il mezzo di uscire da quella situazione, che diveniva di minuto in minuto piú imbarazzante e pericolosa, quando un terzo individuo venne a battere alla porta del notaio.

Questa volta non si trattava di un servo, bensí d’un gentiluomo castigliano, armato di spada e di pugnale, qualche parente forse del giovanotto o qualcuno dei padrini.

– Tuoni! – esclamò Carmaux. – È una processione di gente che viene a questa dannata casa!… Prima il giovanotto, poi un servo, ora un gentiluomo, piú tardi sarà il padre dello sposo, poi i padrini, gli amici eccetera. Finiremo per fare il matrimonio qui!…

Il castigliano, vedendo che nessuno si era affrettato ad aprire, aveva cominciato a raddoppiare i colpi, alzando e lasciando cadere senza posa il pesante battente di ferro. Quell’uomo doveva essere certo poco paziente e probabilmente ben piú pericoloso del giovanotto e del servo.

– Và, Carmaux, – disse il Corsaro.

– Temo però, comandante, che non sia cosa facile prenderlo e legarlo Quell’uomo è solido, ve lo assicuro, ed opporrà una resistenza disperata.

– Ci sarò anch’io e tu sai che le mie braccia sono robuste.

Il Corsaro, avendo visto in un angolo della stanza una spada, qualche vecchia arma di famiglia che il notaio aveva conservata, l’aveva presa e dopo avere provata l’elasticità della lama se l’era appesa al fianco, mormorando:

– Acciaio di Toledo: darà da fare al castigliano.

Carmaux ed il negro avevano in quel frattempo aperta la porta che minacciava di venire sfondata sotto i furiosi ed incessanti colpi del battente ed il gentiluomo era entrato collo sguardo crucciato, la fronte aggrottata e la sinistra sulla guardia della spada, dicendo con voce collerica:

– Occorre il cannone qui, per farsi aprire?…

Il nuovo venuto era un bell’uomo sulla quarantina, alto di statura, robusto, dal tipo maschio ed altero, con due occhi nerissimi ed una folta barba pure nera, che gli dava un aspetto marziale.

Indossava un elegante costume spagnuolo di seta nera e calzava alti stivali di pelle gialla, colle trombe dentellate, e speroni.

– Perdonate signore, se abbiamo tardato, – rispose Carmaux, inchinandosi grottescamente dinanzi a lui, – ma eravamo occupatissimi.

– A fare che cosa? – chiese il castigliano.

– A curare il signor notaio.

– È ammalato forse?

– È stato preso da una potentissima febbre, signore.

– Chiamatemi conte, furfante.

– Scusatemi signor conte; io non avevo l’onore di conoscervi.

– Andatevene al diavolo!… Dov’è mio nipote?… Sono due ore che è venuto qui.

– Noi non abbiamo veduto nessuno.

– Tu vuoi burlarti di me!… Dov’è il notaio?…

– È a letto, signore.

– Conducimi subito da lui.

Carmaux che voleva attirarlo in fondo al corridoio prima di fare segno al negro di porre in opera la sua prodigiosa forza muscolare, si mise innanzi al castigliano; poi, appena giunse alla base della scala, si volse bruscamente, dicendo:

– A te, compare!

Il negro si gettò rapidamente sul castigliano; questi, che si teneva probabilmente in guardia e che possedeva un’agilità da dare dei punti ad un marinaio, con un solo salto varcò i tre primi gradini, scartando Carmaux con un urto violento e snudò risolutamente la spada gridando:

– Ah!… Mariuoli!… Che cosa significa questo attacco? Ora vi taglierò gli orecchi!…

– Se volete sapere che cosa significa questo attacco, ve lo spiegherò io, signore, – disse una voce.

Il Corsaro Nero era comparso improvvisamente sul pianerottolo, colla spada in pugno, ed aveva cominciato a scendere i primi gradini.

Il castigliano si era voltato senza però perdere di vista Carmaux ed il negro, i quali si erano ritirati in fondo al corridoio, mettendosi di guardia dinanzi alla porta. Il primo aveva impugnata la lunga navaja ed il secondo s’era armato di una traversa di legno, arma formidabile nelle sue mani.

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