Emilio Salgari - Il tesoro della montagna azzurra
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– È Dio che la manda, – disse. – Sarà poca cosa, appena un boccone per ciascuno, ma forse basterà a calmare la ferocia di questi affamati.
Aveva caricata rapidamente la carabina. La fregata non si trovava che a cento passi e stava per passare, rapida come una saetta, al di sopra della zattera. Due spari rimbombarono e l’uccello, arrestato di colpo nel suo volo, venne a cadere presso l’albero, fulminato da una scarica di piombo. I marinai, che sonnecchiavano sotto le tende, credendo che si trattasse di un attacco improvviso, erano balzati fuori, tenendo in pugno i coltelli di manovra, le navaje e le scuri. La voce del pilota si fece subito udire beffarda, insolente:
– Tanto baccano per un così miserabile uccello! Non valeva la pena che vi disturbaste, capitano, mentre c’è un morto a bordo.
Don Josè, udendo quelle parole, era indietreggiato verso la tenda, sulla cui soglia, attirati dagli spari, s’eran presentati don Pedro, Mina e il bosmano, gridando:
– Un’altra carabina!
– Ecco la mia, capitano, – rispose Reton. – È carica con due palle incatenate.
Il capitano la impugnò e mosse verso Hermos, che sembrava lo sfidasse sogghignando. Una collera terribile aveva alterati i lineamenti di don Josè.
– Cosa hai detto, tu? – chiese al pilota.
I marinai, prevedendo che stava per succedere qualcosa di grave, si erano affrettati ad alzarsi e a radunarsi dietro il loro nuovo capo.
– Parla, – ripeté il capitano, mentre, a loro volta, il bosmano e don Pedro accorrevano in suo soccorso.
Hermos esitò qualche istante ancora a rispondere, poi, vedendosi spalleggiato dai suoi, rispose:
– Ho detto che non valeva la pena di sprecare della polvere per abbattere un uccello che non potrà servire nemmeno di colazione a due o tre persone, con la fame che abbiamo in corpo.
– Hai aggiunto qualche altra cosa, furfante.
– Sì, che a bordo c’è un morto che potrebbe fornire un pasto ben più abbondante. Voi tenetevi pure la fregata, se siete diventato schizzinoso; noi ci terremo Escobedo.
– E cosa volete farne? – urlò il capitano.
– Mangiarlo, signore, – rispose audacemente il capo dei ribelli.
– E hai il coraggio di dirmelo sul viso?
– Eh, vivaddio, noi non vogliamo crepare di fame, signore, e per noi, nelle condizioni in cui ci troviamo, carne umana o carne di pescecane è tutt’uno! È vero, camerati?
Un mormorio di approvazione fu la risposta.
– Miserabili! Osereste tanto? Dove sono i miei fedeli marinai che fino a pochi giorni fa obbedivano al loro capo? Siete diventati tanti bruti?
– Ve l’ho già detto, signore: la fame non ragiona.
– Voi non commetterete una simile infamia davanti ai miei occhi.
– Se non volete vedere, ritiratevi sotto la tenda e lasciate fare a noi, – disse John il pescatore.
– Voi non toccherete quel cadavere che è quello di un vostro camerata; più ancora, di un vostro amico. Gettatelo subito in acqua.
– No, capitano, – risposero otto o dieci voci.
– Obbedite o faccio fuoco contro chi mi rifiuta obbedienza.
– Sarete costretto a ucciderci tutti, signore, perché nessuno vi obbedisce più, – disse il pilota. – Nella sventura si diventa tutti eguali.
– È una ribellione?
– Chiamatela come volete, a noi non importa. Qui ormai non regna che la fame.
– Gettate in acqua quel cadavere! – ripeté il capitano, alzando la carabina. – Io sono sempre il comandante dell’ Andalusia e mi farò rispettare a colpi di fucile, se sarà necessario.
I marinai invece di obbedire, si schierarono davanti alla salma del povero Escobedo, per impedire che il bosmano e don Pedro, i quali si erano già fatti avanti, eseguissero l’ordine.
– Sgombrate! – urlò il capitano.
– Rayo de dios! Finiamola con quest’uomo che ci impedisce di sfamarci! – gridò Hermos, levando la navaja e balzando in avanti. – Sotto camerati!
Don Josè aveva puntato rapidamente il fucile. Uno sparo rintronò e il capo dei ribelli stramazzò sulla tolda, con il cranio fracassato dalle due palle incatenate. Un urlo di orrore e di rabbia si era alzato fra i marinai, poi seguì un profondo silenzio. Tutti sembravano paralizzati dallo stupore.
– Dio mi perdoni! – esclamò don Josè. – Quell’uomo lo ha voluto.
I ribelli si ritiravano davanti a lui, atterriti dall’atto audace, stringendo furiosamente i coltelli e le scuri, che a nulla valevano contro le armi da fuoco. In quel momento si udì un forte scricchiolio, poi si udì il bosmano gridare:
– Il vento! Il vento! Alla vela, camerati! La terra dei Canaki sta davanti a noi!
A quel grido, i ribelli si guardarono l’un l’altro con un certo stupore, poi si gettarono come un sol uomo verso l’albero, issando rapidamente la vela. Sembrava d’un tratto avessero dimenticata la fame, la morte del loro capo improvvisato e ogni idea di vendetta. Solo Emanuel era rimasto immobile, mordendosi le labbra a sangue. Il vento, una fresca brezza che spirava da levante, si era alzato increspando fortemente la superficie dell’oceano. Il bosmano e don Josè erano accorsi al timone, dopo aver fatto segno a Mina e a don Pedro di seguirli, nel timore di qualche altra brutta sorpresa. Ormai non si fidavano più dei loro marinai, anche se privati del loro capo e istigatore. La zattera si era messa a correre, ballonzolando pesantemente sulle piccole ondate che si formavano, lasciandosi a poppa una larga scia spumeggiante. La fiducia rinasceva in tutti i cuori. Se quella brezza durava era la salvezza, poiché nessuno dubitava che la terra dei Kanaki si trovasse ormai a una distanza relativamente breve.
– Questo vento ha salvata la situazione e impedito un massacro, – disse il bosmano a don Josè. – Sia dunque benedetto!
– Temo tuttavia che questa calma sia passeggera. Se non troveremo nulla da mangiare i nostri uomini torneranno alla carica.
– Il loro capo è morto, – osservò don Pedro.
– Non tarderanno a nominarne un altro. È quel John ora che mi dà da pensare.
– Abbatteremo anche lui, – disse il bosmano.
– Uccidere mi ripugna. Quegli uomini fino a ieri sono stati i miei bravi marinai. Mi pesa già di avere sulla coscienza un omicidio.
– E se tardavate un po’, capitano, quel furfante vi squarciava il ventre con un buon colpo di navaja .
– Non dico di no, Reton, sarei però stato più lieto se l’avessi risparmiato… State in guardia, amici, perché se prima di questa sera non scopriremo le coste della Nuova Caledonia, avremo un’altra ribellione.
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