Emilio Salgari - La rivicità di Yanez
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– Gli fanno paura i montanari di Sadhja che già altra volta lo hanno vinto.
– E noi no?
– La tua colonna sí. Ha ucciso troppi uomini ed ha fatto specialmente strage di rajaputi. Metà di quegli uomini, che costituivano la sua forza, sono rimasti sul terreno.
– Hanno meritata la paga dei traditori – disse Sandokan, avvolgendosi in una nube di fumo profumato.
– Sí, traditori – disse il bramino. – Brava gente in guerra, salda al fuoco, ma sempre pronta a vendere il loro onore di soldati per qualche rupia di piú, signore.
– Oh, li conosco! Non è la prima volta che vengo in India.
– Io, gran sahib, ho udito parlare assai di te. Tu sei l’uomo che ha ucciso Suyodhana, il famoso capo dei thugs delle Sunderbunds del basso Bengala.
– Si direbbe che tu mi hai veduto un’altra volta.
– Sí, a Delhi, quando tu combattevi per la libertà indiana. Se la memoria non mi tradisce, io ti ho veduto sparare i cannoni sui bastioni della porta Cascemir.
– Può darsi – rispose Sandokan. – Rispondevo, come potevo, ai pezzi inglesi che squarciavano, colle loro bombe, tutte le casematte.
«Tu dunque c’eri quando gli inglesi presero d’assalto la città?»
– Sí, gran sahib, e vidi, ben nascosto, cadere scannati tutti i miei nipoti che non potevano difendersi, e condurre via anche Mahomed Bahadur, legittimo discendente dei Gran Mongoli che i rivoluzionari avevano acclamato imperatore.
– Ne so qualcosa anch’io di quelle tristi giornate che lasciarono una macchia indelebile sulle giubbe rosse degli inglesi. Non erano bianchi che montavano all’assalto: erano peggio dei pirati della peggiore specie, poiché non rispettavano nemmeno le donne e trucidavano freddamente i fanciulli…
«Ma occupiamoci di Sindhia. Credi tu che gli inglesi lo abbiano aiutato a fuggire e a radunare tutti quei disperati?»
– Ne sono piú che convinto, sahib, – rispose il bramino. – Il governatore del Bengala non vedeva di buon occhio il Maharajah bianco: pare che le giubbe rosse avessero avuto a dolersi di lui in altri tempi.
– E molto! Ma noi all’Inghilterra abbiamo reso un servigio impagabile, poiché siamo stati noi a distruggere i thugs che popolavano le jungle delle Sunderbunds, ed il Governo del Bengala c’è stato mediocremente riconoscente.
– Sono sempre gli stessi uomini, sahib. L’uomo di colore per loro è una pecora da tosare.
– Oh, lo so meglio di te e…
Sandokan si era alzato di scatto, vuotando con un gesto brusco il tabacco che ancora rimaneva nella pipa, ed aveva fissati gli sguardi su un grosso punto luminoso che si avanzava velocemente, seguendo la banchina.
– Yanez – disse. – Vedremo che cosa avrà combinato coll’olandese.
Era infatti il portoghese che tornava a gran passi accompagnato da Tremal-Naik, dal cacciatore di topi e dal biondo medico che si occupava dell’allevamento dei terribili bacilli.
– Dunque? – gli chiese premurosamente Sandokan, movendogli incontro.
– Il signor Wan Horn è deciso a tentare l’avventura.
– È vero, amico? – chiese la Tigre al dottore.
– Sí, signor mio – rispose l’olandese. – Io non ho mai avuto paura degli indiani, e poi sono un uomo bianco.
– E andate come nostro parlamentario.
– Sono stato istruito dal Maharajah. Basterà che mi fermi una mezz’ora nel campo di Sindhia per sprigionare i miei cari animaletti.
– Che sono?
– Bacilli virgola.
– Ne so meno di prima.
– Colera, signor Sandokan, e forse fulminante.
– Voi avete molte speranze?
– Sí, sono sicurissimo delle mie coltivazioni – rispose l’olandese.
– Avete portato con voi qualche bottiglia?
– Ne ha due in tasca – rispose Yanez.
– Basteranno, dottore? – chiese Sandokan con un po’ di diffidenza.
L’olandese si mise a ridere mostrando una doppia fila di denti che avrebbero fatto buona figura anche in bocca ad un lupo indiano.
– In queste due bottiglie vi sono tanti microbi da uccidere mezza popolazione del Bengala.
– Uhm!… Mi pare un po’ grossa. Che cosa ne dici tu, Yanez?
– Da questi scienziati tutto si può aspettarci – rispose il Maharajah.
– E gli hai dato tutte le istruzioni necessarie per presentarsi a Sindhia?
– Fingerà di andare a trattare la nostra resa.
– Ed i nostri elefanti come stanno?
– Continuano a lamentarsi, quantunque i nostri uomini non cessino di innaffiarli. Fa sempre caldo assai verso l’alto corso del fiume fangoso.
– Non morranno?
– Io credo di no, Sandokan.
– Mi rincrescerebbe di perderli perché ci sono necessari per raggiungere i montanari di Sadhja.
«E poi io penso che se il tentativo di questo dottore fallisse, ci servirebbero per dare una carica sfrenata e passare attraverso le bande di Sindhia.
«Sono abituati a udire rombare le mitragliatrici e non si spaventano piú. Animali d’una robustezza eccezionale e d’un valore guerresco immenso.»
Additò al bramino l’olandese, dicendogli:
– Ecco l’uomo che ti accompagnerà come parlamentario.
– Va bene, sahib. Io sono pronto a partire.
– Tu avrai un premio di mille rupie – gli disse Yanez.
– Io devo a te la vita, Altezza – rispose il bramino con una certa nobiltà. – Mi hai pagato abbastanza.
– No, perché io conto di rivederti e di prenderti ai nostri servigi – disse Yanez.
– Tu, Altezza, farai ciò che vorrai. Ti giuro su Brahma che fino da ora sono interamente tuo, corpo ed anima.
– Ti avverto che se vedrai questo sahib spezzare un paio di bottiglie farai finta di non vedere, e ti do il consiglio di scappare subito colla velocità d’un nilgò.
– Io sarò cieco, Altezza.
– Hai una scorta che ti aspetta fuori? – gli chiese Sandokan.
– Sí, sono giunto con una ventina di rajaputi. Si sono fermati presso la moschea per ricondurmi al campo.
– Signor Wan Horn, se non avete paura dei vostri microbi, potete seguire quest’uomo. Ci direte piú tardi in quali condizioni di salute si trova quel caro Sindhia.
– Io non ho paura – rispose l’olandese colla sua voce sempre pacata. – Sarò un parlamentario meraviglioso. Lo sono stato ancora, per conto del mio governo, presso i dayaki laut.
– E non vi hanno mangiato? – chiese Yanez ridendo.
– No, perché allora ero molto magro e non potevo fornire a quei cannibali che delle bistecche assai spolpate.
Tese la mano a Sandokan, a Yanez, a Tremal-Naik, si abbottonò l’ampia giacca nelle cui tasche interne nascondeva le famose bottiglie e seguí il bramino il quale si era impadronito d’una torcia.
– Speriamo di rivedervi presto – gli gridò dietro il portoghese. – Nessuno oserà passarmi per le armi – rispose il dottore.
E se ne andò tranquillo, mentre i pirati della Malesia, sempre sospettosi, puntavano le mitragliatrici verso la vecchia moschea.
CAPITOLO III. I BACILLI DEL COLERA
Un chiarore latteo cominciava a diffondersi verso oriente; il pianeta Venere, in quel cielo terso come un cristallo, splendeva superbamente.
Ma tutta la campagna, che si estendeva intorno alla distrutta capitale, interrotta da folti gruppi di banani e di tamarindi che il grande calore aveva ingialliti e forse spenti per sempre, era ancora bruna poiché l’alba non si era ancora mostrata pienamente.
Un grosso drappello, formato d’una ventina di rajaputi armati di fucili e di pistoloni, si avanzava attraverso la pianura preceduto da un uomo bianco e da un bramino, il quale sulla punta d’una lancia reggeva una bandiera di seta piú o meno bianca.
In lontananza luccicavano dei grandi falò i quali annunciavano un accampamento imponente. Si udivano giungere grida umane e barriti d’elefanti.
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