Emilio Salgari - Le due tigri
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– Hai finito? – chiese Sandokan, porgendogli alcune rupie.
– Sí, sahib, – rispose il vecchio fissando sulla Tigre della Malesia i suoi occhi nerissimi, nei quali pareva splendesse un raggio soprannaturale. – Quando partirai?
– È già la seconda volta che tu mi rivolgi questa domanda, – disse Sandokan. – Perché ti preme saperlo?
– È una domanda che io faccio sempre a tutti gli equipaggi delle navi. Addio sahib e che Siva unisca la sua possente protezione a quella di Agni e di Kalí-Ghât.
Prese il capretto e discese nel suo gonga, dove il policeman indigeno lo aspettava, seduto sulla panchina di prora, fumando una sigaretta di palma.
Il piccolo battello si staccò dalla scala, ma invece di scendere il fiume dove vi erano altri moltissimi velieri, lo risalí passando sotto la poppa del praho.
Sandokan e Yanez, che lo avevano seguito collo sguardo, videro con loro sorpresa il manti abbandonare per un istante i remi, volgersi vivamente a fissare gli occhi sul coronamento di poppa, dove in lettere d’oro spiccava il nome della nave, quindi riprenderli e allontanarsi velocemente, scomparendo in mezzo alla moltitudine di velieri che ingombravano il fiume.
Sandokan e Yanez si erano guardati l’un l’altro, come se un medesimo pensiero fosse balenato nel loro cervello.
– Che cosa ne pensi tu di quel vecchio? – chieso Sandokan.
– Penso che quella barocca cerimonia è stata una scusa per salire a bordo e sapere chi noi siamo, – rispose il portoghese che appariva turbato.
– Il tuo sospetto è identico al mio.
– Sandokan, che siamo stati giuocati?
– Non è possibile supporre che i Thugs sappiano già che noi siamo amici di Tremal-Naik e che siamo venuti qui per aiutarlo a ritrovare la piccola Darma. Che siano demoni quegli uomini, o stregoni?.
– Non so che cosa dire, – rispose Yanez, che era diventato pensieroso. – Aspettiamo Kammamuri.
– Mi sembri inquieto, Yanez.
– E ne ho il motivo. Se i Thugs sanno ormai quali sono le nostre intenzioni e lo scopo del nostro viaggio, temo che avremo da fare con degli avversari formidabili.
– Forse ci siamo ingannati, Yanez, – disso Sandokan. – Quel manti può essere invece un povero diavolo che cerca di guadagnarsi qualche rupia coi suoi sacrifici piú o meno sciocchi.
– Pure, quella domanda ripetuta e quello sguardo dato al nome della nostra nave, mi hanno profondamente impressionato.
– Che abbia corbellato anche quel policeman?
– Trovo anzi strana la presenza di quel poliziotto nel gonga del ciarlatano.
Sandokan rimase alcuni istanti silenzioso, passeggiando sul cassero, poi avvicinandosi rapidamente al portoghese e prendendolo per un braccio, gli disse:
– Yanez, ho un altro sospetto.
– E quale?
– Che fosse un thug truccato da poliziotto, per meglio ingannarci.
Il portoghese guardò Sandokan con sgomento.
– Lo credi? – chiese.
– E scommetterei il mio narghilé contro una delle tue sigarette che sei anche tu convinto che quell’uomo non era un vero policeman, – disse Sandokan.
– Sí, fratellino mio: noi dobbiamo essere stati mistificati da gente piú furba di noi. Mio caro Sandokan, la Tigre dell’India dà prova di essere, almeno finora, piú astuta di quella malese.
– Sí, piú civilizzata questa indiana, mentre quella malese è ancora selvaggia, – disse Sandokan, sforzandosi a sorridere. – Bah! Prenderemo presto la nostra rivincita. D’altrondo quel briccone di manti, ammesso che fosse veramente una spia di Suyodhana, nulla ha appreso dalle nostre labbra e ignora ancora chi noi siamo, per quale motivo noi ci troviamo qui e…
Si era bruscamente interrotto, accostandosi alle murate di tribordo. Pareva che seguisse qualche imbarcazione che scivolava fra le navi ancorate in mezzo al fiume.
– Mi sembra d’aver veduto la scialuppa colla testa d’elefante che ieri ci venne incontro con Kammamuri, – disse. – È scomparsa dietro quel gruppo di pinasse e di grab, ma non tarderà a mostrarsi.
– Dovrebbe essere già qui, – disse Yanez estraendo un magnifico cronometro d’oro.
Salirono sul capo di banda tenendosi aggrappati alle griselle dell’albero maestro e scorsero infatti un fylt’ sciarra, somigliante a quello che la sera innanzi aveva condotto il maharatto a bordo, manovrare abilmente e anche velocemente fra le navi.
Era montato da quattro remiganti e guidato da un uomo che pareva un mussulmano dell’India settentrionale, dal costume che indossava.
– Che Kammamuri si sia camuffato? – chiese Sandokan. – Quella scialuppa si dirige verso di noi.
Infatti il fylt’ sciarra uscito da quel caos di navigli, correva verso la Marianna, rimontando velocemento la corrente che in quel luogo si faceva sentire pochissimo, ostacolata da tutti quei galleggianti che ne rompevano la violenza.
In pochi minuti giunse sotto il tribordo del praho, arrestandosi presso la scala.
Il mussulmano che lo guidava dopo d’aver scambiate alcune parole coi remiganti, salí rapidamente a bordo, inchinandosi dinanzi a Yanez e a Sandokan che erano accorsi e che lo guardavano con sorpresa.
– Non mi riconoscete piú, dunque? – chiese il nuovo arrivato, scoppiando in una risata. – Sono ben contento, perché allora potrò ingannare anche quei cani di Thugs.
– Ti faccio le mie felicitazioni, mio caro Kammamuri, – disse Yanez. – Se non facevi udire la tua voce stavo per dare l’ordine di rimandarti nella tua scialuppa.
– Una truccatura magnifica, – disse Sandokan. – Sei irriconoscibile, mio bravo maharatto.
Il fedele servo di Tremal-Naik era diventato veramente irriconoscibile e chiunque lo avrebbe scambiato per un maomettano di Agra o di Delhi.
Aveva lasciato il dootée e il dubgah pel kurty, costume che a prima vista rassomiglia a quello dei turchi e dei tartari, sebbene sia un po’ diverso perché la casacca è piú corta e aperta dal lato sinistro invece che dal destro, i calzoni piú ampi e anche il turbante d’altra forma, essendo piú piatto sul davanti e piú rigonfio di dietro.
Per meglio completare l’illusione, il brav’uomo aveva fatto sparire le linee che i seguaci di Visnú portano sulla fronte e si era appiccicata una superba barba nera che gli dava un aspetto imponente.
– Ammirabile, – ripeté Yanez. – Mi sembri un qualche santone di ritorno dalla Mecca. Non ti mancherebbe che un po’ di verde sul turbante.
– Credete che i Thugs mi possano riconoscere?
– A menoché non siano diavoli o stregoni, nessuno potrebbe sospettare in te il maharatto di ieri.
– Le precauzioni sono necessarie, signore. Anche stamane ho veduto ronzare attorno alla casa del padrone delle figure sospette.
– Che ti avranno seguito, – disse Sandokan.
– Ho preso le mie precauzioni per far perdere le mie tracce e spero di esserci riuscito. Ho lasciato la casa in un palanchino ben chiuso e mi sono fatto condurre allo Strand, dove vi è sempre una folla straordinaria, scendendo dinanzi a un albergo.
La mia trasformazione l’ho compiuta colà e quando sono uscito nessuno mi ha riconosciuto, nemmeno i servi.
Il fylt’ sciarra m’aspettava lontano dallo Strand, sul quai della città nera, quindi nessuno può avermi seguito.
– Bada! I Thugs sono assai furbi e ne abbiamo avuto la prova. Essi ormai sanno che noi siamo amici del tuo padrone e ci sorvegliano.
Il maharatto fece un gesto di spavento e divenne livido.
– È impossibile! – esclamò.
– Hanno già tentato di assassinarci quando uscimmo dal palazzo di Tremal-Naik, – disse Sandokan.
– Voi!
– Bah! Un attacco male riuscito che abbiamo ricambiato con due palle, di cui una non andò perduta. Non è però quell’agguato che in questo momento ci preoccupa. È una visita che ci fu fatta poco fa e che ci ha messo indosso dei gravi sospetti.
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