Emilio Salgari - Le due tigri

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– Surama, – disse Yanez alla giovane bajadera che era uscita dalla pagoda. – Conosci quest’uomo?

– Sí, – rispose la fanciulla. – È il manti dei Thugs, il luogotenente del «figlio delle sacre acque del Gange».

– Vile danzatrice! – gridò il vecchio, dardeggiando sulla bajadera uno sguardo carico d’odio. – Tu tradisci la nostra setta.

– Io non sono mai stata un’adoratrice della dea della morte e delle stragi, – rispose Surama.

– Ora che non puoi negare di essere l’anima dannata di Suyodhana, – disse Tremal-Naik, – mi dirai dove si sono raccolti i Thugs che un tempo abitavano i sotterranei di Rajmangal.

Il manti guardò il bengalese per alcuni istanti, poi gli disse:

– Se tu credi che io ti dica dove hanno nascosta tua figlia, t’inganni. Puoi uccidermi, ma io non parlerò.

– È la tua ultima parola?.

– Sí.

– Sta bene: vedremo se saprai resistere a lungo.

Il manti udendo quelle parole era diventato pallidissimo, e la sua fronte si era coperta d’un freddo sudore.

– Che cosa vuoi fare di me? – chiese con voce strozzata.

– Ora lo saprai.

Si volse verso Sandokan e scambiò sotto-voce alcune parole.

– Lo credi? – chiese la Tigre della Malesia, facendo un gesto di dubbio.

– Vedrai che non resisterà molto.

– Proviamo.

Capitolo IX. LE CONFESSIONI DEL MANTI

A un gesto di Sandokan, il malese Sambigliong che doveva aver già ricevute precedentemente delle istruzioni, si era diretto verso un grosso tamarindo che si innalzava a trenta o quaranta passi dal rogo fra le rovine della cinta della vecchia pagoda.

Teneva in mano una lunga corda, un po’ piú grossa dei gherlini e che aveva già annodata a laccio.

La gettò destramente attraverso uno dei piú grossi rami e lasciò scorrere il nodo scorsoio fino a terra.

Intanto alcuni marinai avevano legate strettamente le braccia al manti e passate sotto le ascelle due corde sottili e resistentissime.

Il vecchio non aveva opposta alcuna resistenza, tuttavia si capiva, dall’espressione del suo viso, che un indicibile terrore l’aveva improvvisamente preso.

Grosse gocce di sudore gli colavano dalla rugosa fronte e un forte tremito scuoteva il suo magro corpo. Doveva aver già compreso quale atroce supplizio stava per provare.

Quando lo vide ben legato, Tremal-Naik gli si accostò, dicendogli:

– Vuoi dunque parlare, manti?

Il vecchio gli lanciò uno sguardo feroce, poi disse con voce strangolata.

– No… no…

– Ti dico che non resisterai e che finirai per dirmi quanto noi desideriamo sapere.

– Mi lascerò piuttosto morire.

– Allora ti faremo dondolare.

– Qualcuno vendicherà la mia morte.

– I vendicatori sono troppo lontani per occuparsi di te in questo momento.

– Un giorno Suyodhana lo saprà e proverai le delizie del laccio.

– Noi non temiamo i Thugs, e ce ne ridiamo di Kalí, dei suoi settari e anche dei loro lacci. Per l’ultima volta vuoi confessarci dove si trova ora Suyodhana o dove hanno nascosta mia figlia?

– Va’ a chiederlo al «padre delle sacre acque del Gange», – rispose il manti con voce ironica.

– Va bene: avanti voialtri.

I quattro malesi spinsero il vecchio verso l’albero.

Sambigliong gli passò il laccio attraverso il corpo stringendolo un po’ sotto le costole, in modo che la funicella gli comprimesse il ventre e quindi gl’intestini, poi gridò:

– Ohe! Issa!

I malesi afferrarono l’altra estremità della fune che era passata sopra il ramo e il manti fu sollevato per un paio di metri.

Il disgraziato aveva mandato un urlo d’angoscia. Il nodo sotto il peso del corpo, si era subito stretto in modo da penetrargli quasi nelle carni.

Tutti si erano radunati intorno all’albero, compresi Yanez e Sandokan, i quali assistevano a quel nuovo genere di martirio senza battere ciglio.

Anzi il portoghese, come sempre, aveva acceso la sua ventesima o trentesima sigaretta e fumava placidamente.

– Spingete, – comandò freddamente Tremal-Naik ai quattro malesi che avevano legato il manti.

– Fatelo dondolare senza preoccuparvi delle sue grida.

I pirati si misero due da una parte e due dall’altra e diedero la prima spinta.

Il manti strinse i denti per non lasciarsi sfuggire alcun grido, però si vedeva che doveva soffrire atrocemente sotto quella stretta che a causa del dondolamento aumentava sempre.

Aveva gli occhi schizzanti dalle orbite e il suo respiro era diventato affannoso come se i polmoni, pure compressi, non potessero quasi piú funzionare.

Alla terza spinta che gli fece penetrare la funicella nelle carni, il disgraziato non poté piú frenare un urlo di dolore.

– Basta! – gridò con voce rauca. – Basta… miserabili.

– Parlerai? – chiese Tremal-Naik, accostandoglisi.

– Sí… sí… dirò tutto quello… che vorrai… sapere… ma fammi togliere il laccio… Soffoco…

– Potresti pentirti e mi seccherebbe dover ricominciare il supplizio.

Fece arrestare il dondolamento, poi riprese:

– Dove si trova Suyodhana? Se non me lo dici, non faccio allentare il nodo scorsoio.

Il manti ebbe un’ultima esitazione, che non ebbe che la durata di pochi secondi. Ora non si sentiva in caso di resistere piú a lungo a quello spaventevole supplizio inventato dalla diabolica fantasia dei suoi compatriotti.

– Te lo dirò, – rispose finalmente, facendo una smorfia orribile.

– Dimmelo dunque.

– A Rajmangal.

– Negli antichi sotterranei!

– Sí… sí… basta… m’uccidi…

– Una risposta ancora, – disse l’implacabile bengalese. – Dove hanno nascosto mia figlia?

– Anche quella… la vergine… a Rajmangal.

– Giuramelo sulla tua divinità.

– Lo giuro… su Kalí… Basta… non ne posso… piú.

– Calatelo, – comandò Tremal-Naik.

– Non resisteva piú, – disse Yanez gettando via la sigaretta. – Questi diavoli d’indiani possono dare dei punti all’Inquisizione della vecchia Spagna.

Il manti fu subito calato e liberato dal nodo scorsoio e dalle corde. Attorno al ventre aveva un solco profondo, azzurrognolo che in certi punti sanguinava.

I malesi furono costretti a farlo sedere, perché il disgraziato non si reggeva piú sulle gambe.

Ansava affannosamente e aveva il viso congestionato.

Tremal-Naik attese qualche minuto onde riprendesse fiato, poi riprese:

– Ti avverto che tu rimarrai nelle nostre mani, finché noi avremo le prove di non essere stati da te ingannati. Se avrai detto la verità, un giorno tu sarai libero e anche largamente ricompensato delle due delazioni; se avrai mentito non risparmieremo la tua vita e ti faremo soffrire torture spaventevoli.

Il manti lo guardò senza fare nessun gesto. Vi era però nei suoi occhi un terribile lampo d’odio.

– Dov’è l’entrata del sotterraneo? Ancora presso il banian? – chiese Tremal-Naik.

– Questo non te lo posso dire, non essendomi piú recato a Rajmangal dopo la dispersione dei settari, – rispose il manti. – Credo però che non sia piú quella.

– Dici il vero?

– Non ho forse giurato su Kalí?

– Se tu non sei piú tornato a Rajmangal, come sai che mia figlia si trova colà?

– Me lo hanno detto.

– Perché me l’hanno presa?

– Per fare di quella bambina la «Vergine della pagoda». Tu hai rapito la prima; Suyodhana ti ha preso la figlia che ha nelle sue vene il sangue di Ada Corishant.

– Quanti uomini vi sono a Rajmangal?

– Non sono molti di certo, – rispose il manti.

– Una parola ancora, – disse Sandokan, intervenendo. – I Thugs posseggono delle navi?

Il vecchio lo guardò per qualche istante, come se cercasse d’indovinare il motivo di quella domanda, poi disse:

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