Adolfo Albertazzi - Parvenze e sembianze

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Chi cerca, amando e oprando, amore e fama,
Merta il pregio d'Amore e sol ben ama.

V

Può darsi che Bianca Barbazza vivesse parecchi anni rattenuta in onestà dalla trista rimembranza della madre sciagurata, ma alle amiche le quali ne invidiavano la bellezza, ai corteggiatori che non potevano sperare trionfi su lei, a tutta quella società che l'attorniava avida di pettegolezzi e di scandali dové poscia e finalmente recare conforto la voce d'un fatto sicuro: Bianca aveva per amante il marchese Fabio Pepoli e traeva una tresca con lui. Si riferiva il tempo e il luogo de' loro segreti convegni e nelle conversazioni e nei ritrovi si coglievano senza fatica le loro occhiate bramose e i sorrisi e gli accenni; e il Pepoli ardendo di violenta passione non avvertiva di procedere cauto, e la dama o non sapeva frenare l'impeto suo, o cieca anch'essa d'amore gli consentiva senza troppi riguardi. Forse solo il marito poeta non s'adombrava per la solerzia del marchese in servirgli la moglie e si spiegava ogni cosa con la libertà delle “convenienze cavalleresche„; ma i fratelli di lui, cui premeva intatto il “lustro„ della famiglia, osservavano bene e ascoltavano. Però il conte Guido Antonio trovandosi nell'estate del 1621 a certa festa di ballo, alla quale erano pure gli amanti o si discorreva di loro, disse abbastanza alto da essere udito: – Provvederemo! — 27 27 Ghiselli, T. XXIV, pag. 567-573. Posidonio e Fr. Maria Tagliaferri, Diario (alla Bibl. Universitaria di Bologna), pag. 51-52; Galeati, Diario , pagina 21.

I Barbazza non scherzavano e i loro bravi erano usi “di fare all'archibugiate ogni giorno„, onde Fabio Pepoli, messo in guardia, volle prevenire il compimento della minaccia con audace prontezza, e d'accordo con gli amici Aldrovandi, Vizani e Riari il 6 luglio su l'ora di notte venne in piazza san Domenico verso casa Barbazza: il luogo era deserto; solo, un po' lungi dalla porta, Guido Antonio se ne stava al fresco. E su lui precipitarono i giovani cosí all'improvviso che egli non fu in tempo a ritirarsi in casa e dové schermirsi male armato ma con cuor di leone: i colpi piovevano e uno lo feriva al capo; egli indietreggiava urlando, e indietreggiando stramazzò nella chiavica ch'era in mezzo della strada. Cosí fu salvo, perché gli assalitori persuasi d'averlo morto fuggirono e sfuggirono ai fratelli del conte giunti in soccorso. Guido guarí dopo poco della ferita e per attendere a sicura vendetta – ebbe il nome di vendicatore prudente – interruppe il romore dell'accaduto asserendo con tutti di ignorare chi l'avesse aggredito e dando a credere d'essere stato còlto in isbaglio.

Non passarono quattro mesi che Guido Antonio incominciò dal mover questione e dal ferire il conte Filippo Aldrovandi, compagno di Fabio Pepoli nella bella impresa contro di lui 28 28 G. B. Guidicini: I Riformatori dello stato di libertà della città di Bologna dal 1394 al 1797 , T. III, pag. 47. Il Guidicini trascrisse dal Ghiselli la relazione dell'assassinio del Pepoli; errò ponendo il primo ferimento dell'Aldrovandi al 1620 anzi che al 1621. L'Aldrovandi fu ferito anche da Ugo e Giacinto Barbazza dopo che il Pepoli fu ammazzato da Guido Antonio. : quanto al Pepoli, come malaccorto, avrebbe finito co 'l farsi egli provocatore. Infatti l'ultimo giorno di gennaio del 1622 in via San Mamolo, dove i cittadini carnescialavano al corso delle maschere, Fabio s'imbatté in Guido Antonio e susurrò qualche cosa all'orecchio d'un amico, né, ad un secondo incontro, disse piano queste parole:

– Conviene che m'imbatta sempre ad incontrare questa razza di b… f…! —

– Quest'è troppo: andiamo! – disse allora il Barbazza a un suo confidente ; e l'uno e l'altro furono in due passi a casa a mascherarsi da villani, e armati di terzette tornarono nel corso. Il satellite avrebbe dovuto sparar egli una archibugiata alle spalle del Pepoli quando gli tornasse appresso, ma al momento opportuno gli mancò il coraggio; il conte allora mirò rapido e sí dritto che colpi a morte il marchese; poscia si dileguò tra la folla in confusione per l'accaduto, corse a casa, depose gli abiti di maschera e tornato subito in San Mamolo venne alla farmacia della Pigna, dove giaceva il moribondo, e con voce ferma eppure compassionevole: – Che peccato – esclamò – che questo cavaliere abbia fatto una tal fine! —

Ma tosto Guido Antonio, Astorre, Romeo e Giacinto Barbazza con un loro zio, pei quali tutti oramai spirava mal'aria in Bologna, si nascosero in casa di Giambattista e Aldobrandino Malvezzi, loro fratelli uterini, e con l'aiuto di essi scalarono nella notte le mura della città e si diressero a rifugio in Piemonte. Troppo tardi l'indomani fu per ordine del Cardinal Legato pubblicata una grida che proibiva l'andare in maschera “sotto pena di galera et altre pene„ e furono chiuse le porte della città, ad eccezione di quelle di Strada Maggiore e San Felice, per le quali tuttavia non era concesso d'uscire “senza bollettino, sotto pena della vita„ 29 29 Galeati, Diario , pag. 21. .

Fabio Pepoli, dopo ventiquattr'ore di strazio, spirava lasciando il dovere di vendicarlo ai fratelli suoi Guido e Giampaolo. I quali pregarono anzi tutto il Granduca di Toscana d'intromettersi ad accertare se i Malvezzi avessero per caso avuto parte nell'assassinio del loro fratello: il Granduca indusse il Legato Ubaldini a raccogliere prove che i Malvezzi non erano colpevoli; poi egli e il cardinale, per amore di pace, fecero giurare a Giambattista e ad Aldobrandino Malvezzi “su l'onore di veri cavalieri„, e il giuramento porre in scrittura di notaio, che “non avevano dato consiglio aiuto e favore alcuno, né con assistenza né con qualsivoglia altro modo ad eseguire l'assassinio di Fabio Pepoli„, e che mai avrebbero porto “consiglio, favore et aiuto ai signori Barbazza„, né avrebbero mai offesi i Pepoli o “tentato d'offenderli né per sé né per mezzo d'altri„ 30 30 Ghiselli, T. XXIV, luogo cit. . Ma non giurarono, furbi!, di non aver aiutati i loro parenti a fuggire. I Barbazza scampati alla forca rimasero molti anni alla corte piemontese: Astorre, il quale ebbe su l'anima parecchi delitti, fu condannato a morte in contumacia, ma ottenne poi grazia nel 1659, “in riguardo alla sua grave età„, pagando quattro mila scudi 31 31 Galeati, Diario pag. 112. ; e la pace fra le famiglie dei Barbazza e dei Pepoli non fu conchiusa che morti Guido e Giampaolo Pepoli e solo per intromissione dei príncipi di Savoia e di Toscana.

Quant'odio dall'amore di Bianca Bentivoglio!

VI

E quanto misero il retaggio di Bianca Cappello; retaggio di colpe, di sciagure e drammi foschi! Ancora un mistero: la contessa Barbazza nei sette anni che trascorsero fra la morte del Pepoli e la sua morte, quetò forse, per sconcia avidità dei sensi, ricordi e rimorsi in nuovi amori, finché la frenò e a poco a poco l'uccise il veleno propinatole dai congiunti, o piú tosto patí ella sette anni interi, da prima la cupa fantasia rinnovandole giorno a giorno lo strazio di quella scena – a un colpo d'archibugio l'uomo amato cadere sanguinante e dolorare e gemere tra una folla di maschere – e poi, di pari, consumandola giorno a giorno la corrosione lenta della tisi, se non del veleno e della vendetta maritale? – “Il 15 ottobre 1629 morí Bianca Bentivoglio Barbazza d'una lunghissima e penosissima infermità, che a poco a poco l'andò struggendo; e non fu chi non dubitasse che non le fosse stato dato il diamante a causa della corrispondenza col marchese Fabio Pepoli„ 32 32 Ghiselli, T. XXVI. .

Troppo lasso di tempo sembra che fosse tra l'offesa e il castigo; ma pure un fatto aggraverebbe sopra Andrea Barbazza il sospetto di uxoricidio: egli compose e pubblicò una canzone, una canzone di ventinove stanze, in morte di sua moglie 33 33 Canzone del Sig. Cav. Andrea Senatore Barbazza in morte della Contessa Bianca Bentivoglio defonta li 29 ottobre 1629 : ms. nella Bibl. Com. di Bol. – A stampa: Bologna, 1631: in-4. .

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