Adolfo Albertazzi - Parvenze e sembianze

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Tra le molte è memorabile questa lettera che il Marini gli aveva scritta a Bologna dopo lo spavento della pistolettata del Murtola: “Veramente io confesso di dover non meno alla memoria che V. S. serba di me et al zelo che mostra alla mia salvezza, che alla protezione della fortuna, che con particolar privilegio mi liberò di sí grave pericolo… Son vivo, sig. Barbazza, e godo piú di vivere nella grazia di V. S. che nella luce del mondo; et credami che vive un suo servidore prontissimo a spendere in suo servigio quest'avanzo di vita in quel fervore di volontà che si richiede a tante obbligazioni. Io pensava di venire in persona a servirla et a godere le delizie del carneval bolognese, ma questo disturbo mi ha impedito… Delle mie poesie non ho che mandare a V. S., perché tutti i pensieri mi son fuggiti dal capo al romor delle archibugiate. Le Muse son come gli usignuoli, i quali se mentre stanno a cantar sopra un arbore sentono lo scoppio del cacciatore, sbalorditi dalla paura non vi tornano a trescar per un pezzo…„ 18 18 Lett. del Marini, ediz. 1673, pag. 269. .

Non è meraviglia dunque se il Barbazza di ritorno di Francia co'l cardinale Ferdinando Gonzaga, del quale a trent'anni era divenuto maestro di camera e co'l quale aveva viaggiato anche in Spagna; il Barbazza, che da Caterina De' Medici aveva ricevuto in dono una collana d'oro e la croce dell'ordine di San Michele, e in Torino riceveva omaggi come poeta e diplomatico egregio, s'adoperò affettuosamente a salvare il poeta dalle calunnie e dalla prigione. Per amore del Barbazza il Gonzaga s'uní con l'ambasciatore d'Inghilterra a impetrar il perdono del duca, e il Marini libero e grato chiamò Andrea “difensore della sua riputazione„ 19 19 Vedi il Mazzucchelli e l'Aprosio ( Biblioteca , pag. 324); e per le relazioni tra il Marini e il Barbazza, il Menghini, Vita e opere di G. B. Marini (Roma, 1888). .

E che meraviglia se piú tardi il letterato bolognese assalí l'autor dell' Occhiale nelle Strigliate a Tommaso Stigliani , che stampò co'l leggiadro pseudonimo di Roberto Pogommega? 20 20 Spira, appresso Henrico Starckio , MDCXXIX, in-12. Ma non Roberto , Robusto Pogommega . Errore gravissimo! Peccato che “per accidente„ rimanesse fuori da esse Strigliate questo Sonetto “molto galantissimo„, come fu detto dall'Aprosio che lo riferí nella sua Biblioteca :

Mentre, Stiglian, vo' pel tuo Mondo in busca
E in lodarti il cervello mi lambicco,
Trovo che 'l naso in ogni buco hai ficco
Onde tanto saver non ha la Crusca.
È il tuo stil piú piccante di lambrusca
E del tuo Mondo novo assai piú ricco,
Onde pien di stupor tutto m'incricco,
Ché il tuo splendor l'istesso Apollo offusca.
Han le tue rime cosí nobil metro
Che qualora con esse altrui scorreggi
Mi raccapriccio ed ascoltando impietro:
Che se canti d'amore o se guerreggi,
O se rompi agli eroi su 'l fronte il pletro
Nell'armonia con gli asini gareggi.

IV

Nel 1613 Ferdinando Gonzaga rinunciando al cappello cardinalizio e assumendo nome e potere ducale concesse ad Andrea Barbazza l'ufficio di cameriere segreto e l'onore di intimo consigliere. Ma presto il poeta sentí noia della corte di Mantova, e poiché aveva trentadue anni e nell'amor delle muse non trovava tutti i conforti che sono nell'amor delle donne, venne a Bologna a prender moglie: una figlia del conte Ulisse Bentivoglio Manzoli e di Pellegrina Bonaventura, quella tal signora famosa per errori e bellezza, pareva fatta per lui. E la sera del 23 aprile 1614 fu conchiuso il matrimonio con rogito del notaio Ercole Fabrizio Fontana, e tre giorni dopo la contessina Bianca Bentivoglio e il cavaliere Andrea Barbazza, testimoni i conti Battista Bentivogli e Alessandro Barbazza, si giurarono fede eterna nella chiesa di San Martino Maggiore 21 21 Galeati, Diar. ( Appendice I, pag. 8); Ant. Maria Carati, Li matrimoni contratti in Bologna, fedelmente estratti da' loro originali parrocchiali , T. I (ms. alla Bibl. Com. di Bologna). – Bianca ebbe in dote 40000 scudi. .

Né alla solennità delle nozze mancò l'omaggio della poesia in forma d'un portentoso sonetto epitalamico dell'immortale Marini:

Vide Tebe due soli a le nefande
Opre crudeli, allor che 'l fier Tieste
Le mense formidabili e funeste
Colmò di sozze e tragiche vivande.
E due ne vide ancor Roma la grande,
Quando l'esequie dolorose e meste
Pianse di lui, ch'or nel seren celeste
Fatto lucida stella, i raggi spande.
Ecco or su 'l picciol Reno a gli occhi nostri
Non minor meraviglia il Ciel produce,
Non d'orror ma d'onor prodigi e mostri.
Coppia, ov'arde valor, beltà riluce,
Tu quasi un sole a noi doppio ti mostri,
O de la fosca età gemina luce 22 22 Fra gli Epitalami del Marini. .

In Bianca riluceva la beltà della nonna e della madre; era un angiolo, e ce l'attesta una lista di “motti„ pubblicati anni dopo e ricopiati poi dal Ghiselli, nella quale essa per un verso solo ebbe lode piú grande che tutte le belle gentildonne bolognesi del tempo suo. Giacché poco importa che a Francesca Sampieri convenisse dire:

Santi i costumi son, sante son l'opre,

e a Laura Pepoli:

Alma real degnissima d'impero,

e ad Orsina Leoni Magnani:

Al tuo presumer ben s'agguaglia il merto.

Non stimo grave danno non aver veduta Isabella Angelelli

Nelle ruine ancor bella e superba;

forse fu piena di grazia Benedetta Pinelli Ercolani

Oh quanto è ritrosetta, oh quanto è schiva!,

e furon forse desiderabili Imelda Lambertini,

Primavera nel volto e nella testa,

e Pierina Legnani:

Bruna sei tu ma il bruno il bel non toglie;

dovette anche recare certa consolazione piegare a soavi atti donne come Costanza Cospi,

Un sí bel viso, un cuor di tigre e d'orsa!;

Aurelia Marsili,

Beltà ch'asconde un cuor ritroso e schivo;

Laura dall'Armi,

Mirata de ciascun passa e non mira,

e la contessa Bianchi

Campeggiar d'occhi e fulgorar di sguardi;

né dovettero spiacere le carezze di Ginevra Isolani

Oh bella man che mi trafigge il cuore!;

ma quale de' gentiluomini bolognesi non avrebbe ceduto magari l'amore di tutte per l'amore della sola Bianca Bentivogli Barbazza

Alli spirti celesti in vista eguale – ? 23 23 Ghiselli, T. XXII, p. 525-529.

Dicono che Bianca Cappello ebbe i capelli biondi e gli occhi neri (io non ricordo la tela in cui la ritrasse il Bronzino); il poeta Rinaldi pareva ammirare in Pellegrina Bonaventura il candore della carnagione nel lume dei neri occhi e nel riflesso dei capelli neri; a Bianca Barbazza, rassomigliante in questo alla madre piú che alla nonna, fu pure attribuita la vivacità del “nero e del bianco„ in altra serie di “motti„, parte satirici e parte laudatori. Eccone alcuni:

Piombino da muratore – Virginia Ricordati Maranini

Il zibellino – Dorotea Albanesa Bulgarini

La mula del papa – N. Simoni Peppia

Il guardo soave – Diana Barbieri Rinieri

Il parapetto – Caterina Caccialupi Alamandini

La Ninfa – Livia Rossi Fantuzzi

La modesta – Camilla Beri Bandini

La tramontana – Camilla Orsi Leoni

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