Adolfo Albertazzi - Novelle umoristiche
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– Presto! un martello, un coltello! – Con una lama da interporre alle assicelle del coperchio Gustavo tornò dalla cucina; mentre il testimone socialista gridava:
– Il primo aristocratico galantuomo che conosco!
– Oh ce ne sono! – ribatteva il testimone moderato. – E di cuore!
– Se vuol bene a Gustavo, Gustavo se lo merita: ecco tutto! – osservava un altro.
– Non dico; ma…
– Viva il conte! Viva il conte!
Crac fece l'assicella allo sforzo di Gustavo. Allora tutti tacquero, ansiosi, nell'attesa che la cassa fosse aperta interamente. Ma perchè la cugina aveva scambiato uno sguardo d'intelligenza col socialista, quasi a un vicendevole ridevole dubbio? Perchè lo zio paterno tabaccava adagio, quasi a togliersi d'imbarazzo? Perchè il testimonio moderato fumava in fretta guatando alle donne; e la mamma e l'amica Tecla tenevan gli occhi su la sposa come temessero d'uno svenimento? Quale idea uscita di mente alla sposa o dalla cassetta, e venuta in mente a tutti, accresceva l'ansia e dipingeva nel viso di chi più avrebbe dovuto esser felice il terrore d'un malefizio, e accendeva negli occhi degli altri una perfida speranza di lunghe risa? Gravava un destino assurdo o tremendo su quella cassa, su quelle anime?..
Lo sposo – crac – con l'angustia di quando, ancora in preda a un sogno funesto, si ricorre, nel destarsi, alla vita, sollevò del tutto il coperchio…
Dall'Eldorado
I
Raccogliendo e riprendendo con la sinistra la scarsa barba, dalla tavola a cui sedeva Polla guardava a quanto poteva scorgere del temporale. Passavano di furia i nuvoloni neri: uno ne dilacerò un fulmine. E cominciava a piovere; nè ancora cessava il vento che faceva sbattere le imposte, da Polla lasciate sbattere.
«Oh portasse via la bufera anche la casa! Una tempesta enorme rovesciasse Roma e tutte le città d'Europa! Un ciclone rovinasse, magari, il mondo!»
Non che Polla – il quale amava tutti gli uomini come fratelli e pel quale i borghesi sfruttatori e capitalisti erano non uomini ma belve – si arrovellasse così, in un desiderio di distruzione, per malanimo o per teoria socialista o per lotta di classe: no, no; solo risentiva lui stesso di quel turbamento elettrico e meteorico e, per di più, gli sommoveva pensieri neri come le nuvole, che si aggrappavano nel cielo di contro, un appetito ahi quel dì insaziabile! All'ora infatti in cui i borghesi andavano a desinare, egli restava alla tavola deserta, perchè già pioveva e non aveva ombrello e perchè non aveva un soldo in tasca e non sapeva qual trattore potesse più accoglierlo a credito. Fino a quando?.. Ah che appetito! In verità, quel giorno sarebbero appena bastate al suo desiderio una porzione di spaghetti, una di lesso, una di vitello, una di fragole e una bottiglia di barolo, il vino che prediligeva.
Frattanto, di sottovento, la pioggia entrava nella camera con tal impeto e abbondanza che il buon Polla finalmente si alzò per chiudere i vetri. Ed ecco sembrargli che una nuvola più densa, opaca, precipitasse, abbattuta da una ventata, giù, alla volta della sua finestra… Una nuvola? Arrivava con la velocità d'una palla da cannone e non era una nuvola: un corpo strano, solido, straordinario: un enorme animale!.. Oh! Nell'attimo, Polla fece appena in tempo a scampare alla parete, che già piombava nella camera: vi cadde con un tonfo profondo su l'impiantito… Che cosa? Chi?..
Un condor spaventevole, un pipistrello pauroso? Era un misterioso involto, che, come cosa morta, non si moveva più affatto. Riavendosi però dal primo spavento, invece d'invocare soccorso, il socialista tacque, avanzò; retrocedette. Non era un condor, non era un'aquila, non era un pipistrello! Avviluppata nell'ali che s'erano raccolte al cessare del volo, l'insolita bestia non dava a conoscersi che per le estremità inferiori. Ebbene, Polla si avanzò di nuovo e ruppe in un'esclamazione di meraviglia alla vista di sì fatti piedi e di cosifatte gambe. Quell'animale era un uomo o, alla peggio, una donna volante! Una creatura umana, immota, svenuta o morta al suolo della sua stanza!
Con che cuore egli la volse supina e ne udì battere il cuore (era un uomo)! Con che cuore si sforzò a trascinare e adagiar il miracoloso viaggiatore nei suo lettuccio, dopo averlo spogliato delle fine e seriche ali e della giubba cui stavano connesse! Un uomo non calvo! I capelli lunghi e aurei diffusi su la bianca fronte e la lunga e gentile barba non scemavano giovinezza all'aspetto venerabile; e tutta la persona incuteva tal rispetto di beltà che, non potendo paragonarlo a un angelo, in cui non credeva, il positivista Polla lo paragonò a Adone, se pure Adone aveva la barba. N'esercitava frattanto il sangue al cuore con massaggio; ne spruzzava d'acqua il volto; finchè sospirarono entrambi: l'uomo che ricuperava vita e coscienza, e l'uomo che aveva salvato un fratello, quantunque volante.
Polla disse subito:
– Good day!
No. Era biondo, ma non inglese.
– Guten abend! – Non tedesco.
– Bonjour, monsieur! – Non francese.
– Buenas dies, caballero! – Non spagnolo.
Ricordandosi infine di essere italiano, Polla fece, cortesemente:
– Ben arrivato!
D'un soave sorriso, avvivando gli occhi da prima incerti quali d'uno che davvero sia cascato dalle nuvole, lo straniero mormorò qualche melodiosa incomprensibile parola; poi contorse la bocca a pronunciare una parola di lingua evidentemente non sua; di lingua internazionale.
– Volapuk?..
– Volapuk! – gridò Polla, che dai comizi aveva presa l'abitudine di parlare a voce alta. – Oh, oh! Al vostro paese si studia il volapuk? Non ha attecchito da noi! Non importa. A poco a poco, fratello, c'intenderemo lo stesso! E, ditemi…
Ma o per quel chiasso dell'eloquente socialista, o per il dolore della caduta, o per lo sfinimento di cui era prova il pallido viso, l'infelice forestiero sarebbe svenuto ancora, quando con uno sforzo supremo non avesse rialzato il capo, e stringendo all'estremità le dita della destra, non avesse portata due volte la mano alla bocca mentre lo sguardo aiutava l'espressione del gesto.
– Avete fame? – comprese e chiese Polla. – Poveretto! Anch'io ho fame! Ma io non posso offrirvi che un bicchier d'acqua!
Quasi indovinasse le condizioni economiche dell'ospite, l'altro affrettava un segno della mano verso l'involucro rimasto sul pavimento. E Polla ubbidì. Presso al punto ove ai fianchi dell'arnese (fosse corpetto o giubba) eran fisse le ali, egli avvertì subito due bisacce; nè esitò a introdurvi la mano, quantunque il forestiero già accennasse di tastar più in basso. Ma… e là cosa c'era? Sentiva un peso non lieve, come di ciottoli, e per accertarsi se era o no la zavorra, introdusse la destra. Questa volta Polla, che non credeva in Dio, che credeva solo nel «fattore economico», esclamò:
– Dio! Non sono pezzi di vetro! Non sono sassi! – Che cosa erano? Che cosa erano?
Erano diamanti, smeraldi, oro! E non un sogno! Ma realtà! Un miracolo! Diamanti! smeraldo! rubini! oro! Fu tale la meraviglia di Polla che attese a lungo prima d'accorgersi come l'infelice girasse e chiudesse gli occhi, e sveniva. Presto, più giù, ove disperatamente il misero aveva volto il cenno, l'ospite trovò un grazioso vasetto piccolo piccolo, che quasi si aperse da sè effondendo un cordiale profumo… Conteneva roba così buona che ne bastò un pizzico a ristorare d'un tratto dal profondo del cuore, il forestiero estenuato. Il quale poscia offerse il vaso all'amico; sorrise d'un suo dolce e luminoso sorriso; e per riposare reclinò il capo e chiuse gli occhi, non più alla morte, ma al sonno.
Polla aveva fame: aveva sotto gli occhi, sotto il naso, presente alla gola l'«estratto» ch'effondeva quel profumo saporito, ineffabile; eppure non lo toccò, sdegnò ristorarsi anche lui, per tornare all'involucro volatile. Nè riusciva a persuadersi che non sognava; la zavorra era tutta quanta di gemme preziose! E se poteva ingannarsi intorno alla qualità e al prezzo d'alcune delle pietre, su altre non s'ingannava certo. Convinto, alla fine, le depose tutte in terra, in un mucchio, e stette a contemplarle. C'era proprio da impazzire; tanto più che la fatica della contemplazione accresceva la debolezza del digiuno… E non si risolveva ancora ad approfittar dell'«estratto»! Solo quando si sentì venir meno, allora prese un pizzico di polvere dal vasetto, e parendogli néttare o ambrosia ne prese un secondo, eppoi un terzo, eppoi un quarto, eppoi un quinto; finchè n'ebbe nausea; che quella roba era troppo sostanziosa e focosa. Ma sublime! ma incomparabilmente migliore d'ogni nostro più squisito cibo! Inoltre, a ingoiarla, seguiva un fervore nel sangue, come per un eccitante liquore, e una gran fretta e lucidità di idee e una gran letizia nell'animo.
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