Adolfo Albertazzi - Novelle umoristiche
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– … Perdonatemi! – riprese. – La colpa è proprio della mia inesperienza! Se io fossi avvezzo a innamorarmi, non invidierei le carte e non desidererei per me quel che date a loro; mi negherei il diritto di ingelosire; riconoscerei il mio torto di amarvi tanto; mi persuaderei ch'è pazzia voler persuadere una donna che… che… Mi fate impazzire! Parola d'onore, impazzisco!
In fatti si stringeva il capo tra le mani. Onde, al suo solito modo, Claudia un po' s'affliggeva e un po' godeva.
– Allontanatevi, amico – ella consigliò buona buona. – Guarirete.
– Allontanarmi? Ma se per venire dalla mia villa alla vostra non ho cavallo che corra abbastanza! Se fin Luisella mi sembra una tartaruga!
– Distraetevi.
– Già, mi distrarrò! – egli disse alzandosi e sospirando. – Mi distrarrà o il vino, o la religione, o… una rivoltella!
– Limosa! Gianni! – gridò impaurita la signora trattenendolo. – Che discorsi sono questi? Fermatevi, Gianni, per carità!
Egli la guardava tra minaccioso e meravigliato che ci fosse da spaventarsi in quella maniera. Finchè lasciò trarsi per il braccio, dolcemente… Dove?.. A un tavolino.
– Sedete! Ubbidite!
Ubbidì.
– Ora – ella conchiuse ridente, bellissima – v'insegnerò io, signorino, come si gioca a scopa!
III
Ma studiando indefessamente, sin quasi ad ammalare di neurastenia, otto giorni dopo Gianni aveva imparato anche gli altri giochi d'ingegno e d'azzardo che appassionavano la signora Verbani, e s'era deliberato a questi termini: «O io rovinerò lei, o lei me; e verrà il giorno che, per rimorso, o per gratitudine, o per necessità, Claudia maledirà le carte e un prete benedirà il nostro amore.»
Con Luisella, la puledra, Gianni Limosa non sarebbe venuto mai a un tal patto:
«io accopperò te; o tu, me.»
Intanto gli amici vecchi e brontoloni, che dalle ville intorno si recavano dalla Verbani per le partite diurne e notturne, cedettero ogni primato al nuovo competitore e, invidiando, assistettero ai singolari certami per cui boni da cento lire sostituirono nelle poste quelli da dieci. Benevola, pur troppo, e d'accordo col proverbio ( fortunato in amor… ) la fortuna assisteva Gianni Limosa, a cui sarebbe parso meglio rovinarsi; poichè vincendo temeva guadagnarsi anche l'antipatia della signora. E alle occhiate di sfida e di corruccio sempre rispondeva con occhiate dimesse, a rassegnazione e a doglianza, come a ripetere: «Io v'amo!» Ella aveva talvolta sorrisi di scherno e lampi d'odio. Ma poscia la fortuna si stancò di favorire chi non la curava, anzi l'incolpava di danni; e Claudia vinse; vinse tanto, in poche settimane, che la somma, sebbene profusa in beneficenza, scandalizzò la compagnia e il mondo intorno.
Godeva Gianni di quelle voci avverse; ne accrebbe la gravità vendendo, quasi per bisogno, due cavalli; inoltre un giorno, senza bisogno, chiese quattrini in prestito a uno di quegli amici ostili. Repugnanza e rimorso non tardarono quindi ad abbattere la gentile colpevole, e le partite a scopa moderate a poche lire tornavano alla memoria di lei come, dopo il fallo, il bene della virtù perduta. Ah retrocedere! Ah limitarsi alle pure briscole!
Ma Gianni, ch'era sano, robusto e caparbio, procedeva nelle scope, e peggio.
– Quest'inverno vado a Montecarlo – le disse un giorno.
– Non voglio! – ella esclamò. – La roulette è stupida.
Ah sì? Egli tacque dicendo press'a poco con gli occhi:
«La roulette è stupida? E la briscola no? e il macao ? e la scopa ? e la bestia ? e io? e voi? Non comprendete dunque il vostro lungo delitto? il mio lento suicidio? Non potremmo fare qualche altra cosa di meglio?»
Seguì un giorno nuvoloso; di un nuvolo coerente e indifferente, in quella tinta grigia, di latta, onde par greve sino la luce; e solo, a quando a quando, snebbiava un po' di pioggia; minuta, silente, inutile pioggia. Mortificate, le piante del giardino non muovevan foglia; senza tremito eran le frange degli abeti; senza voci gli alberi e il tetto; senza volo gli uccelli; senz'anima la vita; senza vita l'universo; senza l'universo… Una giornata insomma o da briscola o da suicidio. Ebbene, chi lo crederebbe?..
Claudia mormorò:
– Non ho voglia di giocare, oggi!
E a Gianni, riavutosi dallo stordimento repentino, non parve vero d'esclamare:
– Facciamo qualche altra cosa!
– Chiacchieriamo.
Egli tacque.
– Non andate a Erba, quest'anno?
– No: Gringoire s'è azzoppato.
– E Luisella?
– Non è da corsa a galoppo: l'ho allevata al trotto; e non la sciuperò mai in un ippodromo.
– È buona… lei?
– Oh sì!
– Senza vizi?
– Un tempo adombrava delle biciclette: adesso, più.
– Bella, è bella – dovè ammettere un po' a malincuore Claudia. Indi chiese: – Siete venuto qua con lei? con la charrette ?
– Sì.
Che capriccio le veniva? Andò alla finestra; disse:
– Se non piovesse… vorrei conoscere anch'io le virtù di Luisella.
– Facciamo una trottata! – gridò Gianni.
Il cielo, a sua consolazione, si rischiarava; non sgocciolava più.
– Posso fidarmi?
– Di Luisella? Garantisco!
– E di voi?
Da uomo leale Gianni tacque prima di portare una mano al petto; ma poi rispose: – Sì.
… Andarono per la diritta via, che la puledra, con trotto uguale, ampio e sonante, sorpassava recando nella charrette il signore e la signora.
Provava questa il piacere d'un sollazzo fanciullesco e quegli d'un rapimento giocondo; e l'uno sussurrava e l'altra ascoltava vezzose apostrofi: – Biondina…; birichina…; capricciosa…; cattiva, etc.; – mentre l'aria, risentita dell'autunno e rinfrescata dalla recente pioggia, al veloce incontro suscitava nel loro sangue brividi di delizia.
– Yop! Via, Luisella!
Luisella volava.
– Mi comprendete, oggi? – chiese Gianni, a un punto, con nuova dolcezza.
E Claudia:
– Comprendo il piacere d'aver domato così bene questa bella bestia.
– Oh c'è una gioia più grande: domare un angelo!
– Difficile impresa per un uomo!
– No: per un asino come me, che ha soggezione di voi anche oggi!
Gianni s'adirava.
– Un altro non si sarebbe messo una mano al petto…
– E io, allora, non mi sarei fidata. Dunque, buono! e… sperate. Da bravo! Dicono che Amore faccia miracoli.
Divina creatura! Quando parlava sul serio, non si poteva crederle; ma quando scherzava, persuadeva.
Rassegnato, tratto tratto Gianni si specchiava negli occhi di lei, ove gli pareva vedersi più vivo e più bello, o attendeva a vedere come l'aria lusingava que' fini capelli biondi. Intanto Amore preparava il miracolo.
Ecco: modestamente la signora, fra quelle carezze, e arditamente Luisella, guardavano innanzi per la strada diritta e libera, mentre Gianni guardava da un lato; e non si sa quale delle due prima, Claudia… – oh Dio!..: una bici… – vide; e Luisella, a tal vista – una bicicletta! – sbalzò, per voltare indietro…; voltò. Un indefinibile, duplice grido: l'urto della ruota a un paracarri: la fredda, rigida sensazione d'un istantaneo volo, d'un rapido rovescio, d'una botta tremenda a terra per cui l'anima s'insaccasse e profondasse nel corpo e il corpo si schiacciasse… Tutto ciò in due secondi! La catastrofe d'un sogno mortale; la realtà d'un salto mortale!
Dal cielo in terra! Gesummaria, che disastro! In terra, fermi, inerti, tutti e due; anzi, tre, con la charrette senza stanghe.
… Nè prima Gianni ebbe certezza di non essersi rotto nulla, che si vide appresso, morta, Claudia; vide quel della bicicletta accorrere a loro; vide già lontana lontana correr via, maledetta!, Luisella; poi non vide più che la signora, morta!
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