Anton Barrili - I rossi e i neri, vol. 2
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- Название:I rossi e i neri, vol. 2
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- ISBN:http://www.gutenberg.org/ebooks/29846
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– Questo è già tanto di guadagnato; – notò Aloise di Montalto; ma la signorina… E si trovasse almeno il servitore!..
– Voi lo vedete! Scomparsi! – soggiunse l'Assereto; – scomparsi, mentre io venivo a portar novelle di ciò che avevo fatto, non senza fatica, tra le quattro e le sei di questa mattina.
– C'è un grave mistero, qui sotto! – disse, crollando il capo, Enrico Pietrasanta.
– È quello che penso anch'io; – ripigliò l'Assereto; – ma come scoprirlo? Darei, ve lo giuro, metà del mio sangue. —
In quella che così ragionavano, senza conchiuder nulla, si udì il rumore di un catenaccio che scorreva negli anelli, e di un uscio che rimessamente, timidamente, si apriva, alla svolta del pianerottolo.
All'Assereto, che era pratico di quelle scale, venne come un raggio di speranza, nello udire lo strepito di quell'uscio che si apriva. Fu in due salti all'altro capo dell'andito; scese uno scalino, e si parò innanzi a quell'uscio, dalla cui breve apertura compariva, in atto tra curioso e guardingo, una donna attempata, come dimostravano i suoi capegli grigi e un cuffione bianco, ornato di cannoncini, alla foggia delle nostre vecchie massaie.
– Scusi, – disse l'Assereto, mettendo una mano al cappello, e accennando rispettosamente coll'altra alla vecchia signora, che volesse ascoltarlo; – eravamo venuti a chiedere del nostro amico signor Salvani, e nessuno ci risponde.
– Li ho uditi già parecchie volte suonare, in questa mattina; – risponde la vecchia; – e adesso, parendomi di udire un certo bisbiglio sul pianerottolo, era venuta a vedere chi fosse. Ma Lei, mi par di conoscerla…
– Sì sono un amico di casa Salvani, e ci sono stato ancora iersera.
Dovevo tornare questa mattina per certi ragguagli dalla signorina Maria.
– Oh, poverina! – interruppe la vecchia signora, che, ravvisando un volto amico, aveva spalancato l'uscio e messa in moto la lingua; – se Ella sapesse che notte ha passata, aspettando suo fratello! Veda, quantunque io fossi sola in casa, perchè mio figlio è partito ieri mattina alla volta di Torino donde tornerà posdimani, quando ho sentito tutto quel viavai di carabinieri, non mi sono potuta trattenere dallo andare a chiedere alla povera ragazza se avesse bisogno di qualcosa. Mi ringraziò, dicendomi che non voleva nulla; ma più tardi, verso la mezzanotte, venne il suo servitore da me per dirmi che egli andava in cerca del padrone, e che io volessi tener compagnia alla signorina, che rimaneva sola. Andai, e rimasi presso di lei fino alle due, cercando di consolarla, perchè la era come disperata. Oh, questi giovanotti non ne hanno mai abbastanza, colla loro politica! Se pensassero che hanno una famiglia, a cui non lasciano che gli occhi da piangere…
– Scusi; – interruppe l'Assereto, – ma il servitore, a che ora tornò in casa?
– Oh, così fosse tornato! Ma si perdette anche lui, e la poverina volle ad ogni costo che me ne tornassi in casa, per dormire un pochino. Ma come si fa a dormire, dopo tanto rimescolo? Io non ho potuto chiuder occhio fino all'Avemaria. Ma che crede, che la fosse finita? Appunto allora, odo bussare all'uscio. Che è, che non è? Una donna, che, a quell'ora, in compagnia d'un vecchio, viene a cercare della signorina Salvani. Avevano fatto errore da un uscio all'altro. E difatti, per chi sale quassù al buio, e non vede la svolta del corridoio, sembra che questo sia l'ultimo uscio della casa.
– Chi poteva essere questa donna? – esclamò l'Assereto. – Ella, non è venuta a capo di conoscer chi fosse?
– Io l'ho a mala pena intravveduta dall'uscio che avevo aperto a mezzo, senza levar la catena. Risposi che i Salvani stavano all'altra porta, in fondo al corridoio, e richiusi l'uscio. Tuttavia, rimasi qualche minuto ad origliare, per sincerarmi se entravano dalla signorina Maria. E diffatti, poco dopo, suonavano all'uscio dei Salvani, e la poverina, udendo una voce di donna, aperse e fece entrare quelle due persone in casa. Mezz'ora dopo, udito uno stropiccìo di piedi nell'andito, io, che come lor signori potranno immaginarsi, non avevo più potuto pigliar sonno, venni nell'anticamera, e mi accorsi che scendevano le scale, insieme colla signorina, della quale intesi la voce.
– Chi sa? Forse erano congiunti della famiglia; – disse l'Assereto, tanto per dir qualche cosa. – Ma non abusiamo più oltre della sua cortesia. La prego, se torneranno in casa, a dir loro che Giorgio Assereto, con altri amici del signor Lorenzo, sono venuti due volte, stamane, a chieder notizie.
– Non dubiti; sarà fatta la commissione, appena udrò giungere qualcheduno della famiglia a metter la chiave nella toppa. —
E qui, ricambiate poche altre parole di commiato, i tre amici infilarono le scale per uscire.
– E adesso?.. – chiese il Montalto, quando furono sulla strada.
– Adesso, – rispose il Pietrasanta, – ne sappiamo come prima.
– Adagio! – entrò a dire l'Assereto. – Sappiamo che qualcosa di grave è accaduto, e la polizia, che ha avuto mano nella perquisizione, avrà il bandolo del rimanente.
– Lo credete? – dimandò, con aria dubbiosa, il Montalto.
– Credo, – rispose l'Assereto, – che sia questo l'unico partito a cui possiamo appigliarci. Che cosa vedete voi di più efficace?
– Nulla, in fede mia! Andiamo dunque al palazzo Ducale. —
Si era in gran faccende, quella mattina, nel palazzo Ducale. L'intendente (oggi si direbbe il prefetto) non intendeva niente; e strepitava perchè dovessero intendere gli altri. L'assessore capo pigliava il ranno, e lo rovesciava in capo alla turba minore de' suoi satelliti. Il generale del presidio mandava ordini e contr'ordini. L'avvocato fiscale sguinzagliava tutta la falange dei giudici istruttori. E tutti i campanelli, di qua e di là, di su e di giù, erano in moto, come le gambe dei sergenti, degli uscieri, e, a farla breve, di chiunque avesse qualchedun altro sopra di sè, nella gerarchia degli uffizi. Gran lavoro, troppo lavoro, per un ultimo giorno di trimestre!
Quella mattina, di sicuro, l'assessore capo non dava udienza ad ogni sorta di gente. E già alla dimanda dei tre amici, l'usciere aveva risposto, con breviloquenza spartana: «__occupato__.» Ma essi, tenaci, cavarono fuori i loro biglietti di visita, e dissero all'usciere che avrebbero aspettato risposta. E l'usciere, veduti tre nomi accompagnati da tre stemmi (perchè l'Assereto, quantunque non la pretendesse a marchese, conosceva le prerogative del suo casato), si persuase che quei signori francassero la spesa dell'ambasciata. Nè s'ingannava. Un minuto dopo, tornava frettoloso in anticamera, per sollevare rispettosamente la portiera, e dire ai tre visitatori: «Il signor Cavaliere li prega di entrare.»
Il signor Cavaliere era un uomo di quarantacinque anni, o in quel torno, da' capegli brizzolati, che portava sempre tagliati alla radice, e dal volto affatto ignudo, il quale lasciava scorgere in tutta la loro bellezza le cento grinze di un sorriso, che vi era come stereotipato, ed aiutava alla sua nominanza d'uomo piacevole e di belle maniere. Aveva fama altresì d'uomo avveduto; ma in quei giorni era stato ad un pelo di perderla, e quella mattina ancora egli non era ben certo di non aversela guastata davvero. Però il sorriso stereotipo del suo volto arieggiava la smorfia, e il saluto ch'egli fece ai tre signori era a mala pena quel tanto che occorreva, per istare alle buone creanze. Gli atti, poi, volevano dire assai chiaramente: «Signori, è proprio per le vostre pergamene che vi ho fatto entrare; sbrigatevi!»
– Signor cavaliere, – incominciò Aloise, – la cagione che ci conduce da Lei è molto grave, e forse Ella, ne' momenti in cui siamo, non crederà opportuno di darci le informazioni che siamo venuti per chiederle.
– Dica, ad ogni modo, signor marchese, e dove io possa… senza nocumento…
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