Anton Barrili - I rossi e i neri, vol. 2
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- Название:I rossi e i neri, vol. 2
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Frattanto, come abbiam detto, Enrico Pietrasanta prendeva il largo.
– Percivalle Doria, – incominciò egli, – fu buon poeta provenzale, come i suoi due concittadini Lanfranco Cigàla e Folchetto, che molti s'ostinano, contro l'autorità del Petrarca, a reputar marsigliese. Io spero che la gravità di questo esordio mi concilierà l'attenzione della nobilissima udienza.
– Contaci su! – rispose il Cigàla, discendente di Lanfranco.
– Grazie! – ripigliò il Pietrasanta. – Ora, perchè il mio eroe si allontanasse da casa e di cittadino genovese diventasse trovator provenzale, non saprei raccontarvi. Ben so che uscì giovanissimo dalla terra natale, e andò alla corte del re di Francia, Odoacre… cioè, Faramondo… anzi no. Luigi Filippo… Insomma, il nome non mette conto saperlo.
– Lasciamo stare il nome del re; – disse Ginevra ridendo, – ma almeno diteci il secolo, per non farci correre su e giù, quanto è lunga, la storia di Francia.
– Il secolo, signora? Avete ragione! Percivalle Doria fiorì (notate la bellezza del verbo) nel secolo decimoterzo, o giù di lì.
– Sta bene; e adesso, proseguite!
– Proseguo. Percivalle Doria era alla corte del re di Francia…
– Odoacre! – notò sarcasticamente la marchesa Giulia.
– No, Alboino! – rispose il Pietrasanta, sul medesimo tono. – Adesso me ne ricordo; era proprio Alboino. Or bene, il mio Percivalle era un fior di cavaliere, sebbene non credesse all'amore, nè ad altre cose parecchie.
– Era un miscredente, adunque? – dimandò Ginevra.
– No: era un uomo che conosceva il mondò e amava la vita, senza concederle una soverchia importanza. E non istate a credere che avesse patito gravi disinganni, perchè era giovine, e la fortuna gli era sempre stata propizia. Ma egli, più felice di tanti e tanti, i quali non acquistano l'esperienza delle cose umane se non a proprie spese, l'aveva acquistata alle spese altrui, vedendo ciò che agli altri accadeva, e facendone tesoro per sè.
– Come può esser ciò? – chiese a sua, volta la Torralba.
– Non saprei, signora, darvene una spiegazione plausibile, se non col dirvi che nella grande famiglia umana ci sono i caratteri privilegiati, i quali imparano nelle miserie altrui a cansare per se medesimi i dolori della vita.
– Privilegiati! – soggiunse la marchesa Ginevra. – Dite piuttosto senza cuore.
– Oh, vedrete se non ci avesse cuore, il mio Percivalle! – disse di rimando il Pietrasanta. – Egli era, ripeto, alla corte d'Alboino, dove gli avvenne di stringersi in salda amicizia con messere Alardo di Anglona gran siniscalco del re; il quale messer Alardo, a sua volta, era amicissimo di un povero ma gentil cavalier normanno, chiamato Laurent di Sauvaine.
– Erano in tre! – disse il piccolo Riario.
– __Omne trinum est perfectum!__ – rispose, senza turbarsi, il Pietrasanta. – Ora udite che cosa avvenisse al povero Laurent di Sauvaine. A cagione di un suo alterco con un possente barone, egli era tenuto lontano dalla corte, Messere Alardo, in quella vece, ci viveva da mattina a sera, e per ragione dell'ufficio suo, e per altro ancora, che gli faceva dimenticare ogni altra cosa che al mondo fosse. Notate, nobilissime dame, come parlo anch'io in pretta lingua del Trecento! Ora, poichè Laurent di Sauvaine, lontano dagli occhi, era anche lontano dal cuore di Alardo d'Anglona, il trovatore, che li aveva in gran pregio ambedue, e si doleva di questa dimenticanza di Alardo, scrisse una canzone bellissima, che io pur troppo non rammento in provenzale, e che in italiano non ho saputo voltare, nella quale erano fortemente biasimati coloro che dimenticano gli amici, poichè l'amicizia, com'è superiore alle mondane ambizioni, così deve essere superiore all'amore.
– In verità, – interruppe la marchesa Giulia, – era poco galante, il vostro Percivalle, e voi, signor Pietrasanta, non siete da meno di lui.
– Badate; – aggiunse Ginevra, – se andate innanzi di questa guisa, non vi daremo più ascolto.
– Lo volesse il cielo! – disse in cuor suo il narratore impacciato, che le buttava fuori a bella posta, quelle massime, tanto per essere interrotto e guadagnar tempo alle sue faticose invenzioni.
– Questa non sarebbe giustizia; – rispose egli poscia ad alta voce, – e voi non vorrete dannarmi prima che sia finita la storia. Ora la mia storia dice che Alboino… cioè, messere Alardo d'Anglona… anzi, no, volevo dire Laurent di Sauvaine, fosse stato colto ad un agguato tesogli dal suo nemico e chiuso per comando di questi in un carcere donde non avrebbe potuto toglierlo se non un altro e più possente barone, come il signore d'Anglona. Ma il siniscalco, già ve lo dissi, non pensava all'amico Sauvaine, e questi sarebbe rimasto anco un mese senza comparirgli dinanzi, che egli, immerso com'era nelle delizie della corte, non si sarebbe pur ricordato di lui, non avrebbe pur chiesto a sè stesso: che diamine è egli avvenuto del nostro Sauvaine? Per fortuna, Percivalle vegliava, e saputo del caso del cavaliere di Sauvaine, n'andò da messere Alardo, il quale stava appunto allora architettando un torneo, per far cosa grata alla regina…
– Rosmunda! – saltò su a gridare, non senza sbruffi, il marchese Tartaglia.
– Ah! l'avete pigliato proprio sul serio, il mio Alboino? – chiese il Pietrasanta, voltandosi all'interruttore. – Orbene, sì, Rosmunda, figlia di Cunimondo, re del Belgio, la quale poi volle un mal di morte a Percivalle Doria, per averle guastata la festa, e fu cagione che re Alboino lo cacciasse dalla sua corte.»
– Ma che cosa aveva egli fatto, il vostro Percivalle? – dimandò Ginevra.
– Ecco! La corte era adunata e il siniscalco era tutto in faccende. Il trovatore lo tira in disparte e gli dice: messere, l'amico Sauvaine ha bisogno di voi, e subito subito. – O come? Ed io che non posso muovermi! Il re, la regina… – Non c'è re, nè regine, che tengano; l'amico ha bisogno d'aiuto; ponete che sia in fin di vita; lo abbandonereste voi? – A Dio non piaccia… – Orbene, gli è appunto il caso; partiamo, e si dimostri per voi che l'amicizia non è un nome vano. Il siniscalco, cedendo alle istanze di Percivalle Doria, andò con esso lui, e fu tratto il cavaliere di Sauvaine dall'unghie del suo mortale nemico. Ma la corte era rimasta senza il siniscalco; il torneo non fu fatto; la regina si dolse; Alboino strepitò, e il povero trovatore, che aveva turbato le gioie della corte, fu mandato con Dio, senza la croce d'un quattrino; contento tuttavia, nel profondo del cuore, di aver fatto sì che l'amico non fallisse all'amico. __Amen.__
– E finisce qui? – dimandò maliziosamente Ginevra, alla cui perspicacia non era sfuggita la titubanza del narratore, nè certe occhiate ch'egli andava tratto tratto gettando, a mo' di chiosa, all'amico Aloise.
– Finisce qui, marchesa; – rispose Enrico.
– Non mi piace.
– Pure, è storia pretta.
– Mi date licenza di non crederlo?
– Questa ed ogni altra che vi piaccia di ottenere, o di prendervi; ma, per non aggiustar fede ad una storia, bisogna averci le sue brave ragioni. E fino a tanto non venga fuori una storia più autorevole della mia, non mi darò certamente per vinto.
– Qual è l'autore che avete letto voi?
– Non lo ricordo.
– Ha da essere il… Pietrasanta! – disse, tra le risa di tutti gli astanti, la marchesa Ginevra.
– E per questo non v'è piaciuta la storia! – notò di rimando Enrico.
– Non mi fate dire ciò che neppure mi era passato per la fantasia; – soggiunse Ginevra; – ho detto soltanto che di voi, sviscerato campione dell'amicizia, non bisognava fidarsi.
– Mano agli altri autori, dunque, se li trovate!
– Oh non temete, li troverò. Venite qua, voi, Antoniotto! – proseguì la marchesa, volgendosi al marito, che s'innoltrava a lenti passi verso l'allegra brigata. – Avete qualche libro intorno ai poeti provenzali nella vostra biblioteca?
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