Anton Barrili - I rossi e i neri, vol. 2

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– Una perquisizione, – proseguì Aloise, – è stata fatta iersera in casa di Lorenzo Salvani…

– Salvani! La scusi, – interruppe l'assessore, – conosco questo nome.

Non sarebbe, per avventura quello di un signore che ebbe un duello con Lei?

– Per l'appunto, e di presente amicissimo mio. Ora, nella perquisizione fatta iersera in sua casa…

– Perquisizione! – esclamò il magistrato, stringendosi nelle spalle. – Aspettino, dò un'occhiata ai rapporti, per sincerarmene; ma, se ben ricordo, nessuna perquisizione è stata fatta in casa Salvani.

– È stata fatta dai carabinieri; – entrò a dire l'Assereto; – e forse Ella non ne avrà avuto ragguaglio.

– Oh, in questi negozi si procede d'accordo, – rispose l'assessore capo, in quella che andava scartabellando alcuni fogli che aveva sulla tavola, di costa allo scannello, – ed io, se la perquisizione è stata fatta, avrei pure a saperne qualcosa. E infatti, qui non trovo nulla di ciò.

– Diamine! – borbottò l'Assereto. – O come va, questa faccenda? —

E guardò in viso agli amici, stupefatti al pari di lui. Quindi, richiesto dall'assessore, raccontò per filo e per segno quello che egli aveva udito da Michele e dalla signorina Maria, non ommettendo neppure la conversazione fatta pur dianzi colla vicina di casa.

– Non ne capisco un ette! – disse l'uffiziale di pubblica sicurezza, quando l'Assereto ebbe finito la sua narrazione.

– L'Autorità non ha ordinato nulla di tutto quanto Ella mi dice.

– Ma, in tal caso, – soggiunse Aloise, – qui si chiarirebbe una bricconata, anzi due, di privati… —

Il signor cavaliere si strinse nelle spalle, giusta il suo costume, quasi volesse dirgli: che ci ho da far io?

– E l'Autorità, – fu pronto a seguitare il Pietrasanta, – certamente si farà debito di scoprire…

– Signori miei, – interruppe il magistrato, increspando la faccia alla solita smorfia, – molte cose abbiamo da scoprire quest'oggi. Lor signori intenderanno che le questioni d'ordine pubblico hanno la precedenza. Del resto, se vogliono, possono raccontare il fatto all'avvocato generale… non oggi, s'intende, poichè ci avrà molto da fare pur egli, ma domani, o poi… —

Così dicendo, il signor cavaliere si alzò; maniera pulita di dir loro: andatevene, signori, che non ho tempo da perdere.

E i tre amici, intesa la mimica, e veduto come il degno tutore dell'ordine pubblico avesse quel giorno altro in capo che quella bagattella di una perquisizione apocrifa e della scomparsa di una fanciulla, si accomiatarono da lui.

– E adesso, indovinala, grillo! – esclamò il Pietrasanta, come furono nell'atrio del palazzo Ducale.

– In questo imbroglio, – disse Aloise, – c'è sicuramente la mano di qualche matricolato furfante. Ma giuro, per l'anima di mia madre, che ne verrò in chiaro, e guai a lui!

– Ci avrete compagni, Aloise, – soggiunse l'Assereto porgendogli la mano, – compagni nel giuramento e nelle opere. Ora leviamoci di qua, e chiamiamo senza indugio i pensieri a capitolo. —

VII

Nel quale si racconta chi fossero i Templarii.

I Templarii! chi erano i Templarii?

Oh bella! risponderà l'erudito lettore. Erano i cavalieri di quell'ordine tra religioso e militare, che, fondato nel 1118 da nove cavalieri francesi, ebbe il nome dalla dimora che gli assegnò Baldovino II in Gerusalemme, in un palazzo attiguo al luogo dell'antico tempio di Salomone. I cavalieri del Tempio erano ordinati dapprima a soccorrere, curare e proteggere i pellegrini cristiani in Terra Santa; poscia l'ufficio loro si stese, anzi addirittura si volse, a difendere coll'armi la fede di Cristo e il Santo Sepolcro contro gli assalti degli infedeli. Più tardi, ricaduta Gerusalemme in balìa dei Saraceni, i Templarii si ridussero nell'isola di Cipro, donde proseguirono la guerra giurata, combattendo sul mare, o tentando audacissime imprese sui lidi nemici. Sterminatamente ricchi e possenti, avevano, intorno al 1250, alta e bassa signoria su novemila baliaggi, commende, priorati; la più parte de' quali in Francia, dove la baldanza loro, le mire ambiziose, e i tenebrosi instituti dell'ordine tornarono molesti a Filippo il Bello, per modo che egli pensò di sterminarli, e ne venne a capo, col ferro, col fuoco, e colle scomuniche di Clemente V, suo degno compare.

Il lettore erudito ha ragione; parla come un libro stampato, nè si potrebbe, per questo rispetto, insegnargli nulla di nuovo. Ma noi scriviamo cronache contemporanee, non storie antiche, e qui non si tratta dei Templarii, spenti nel 1314, sul rogo del loro gran maestro Giacomo Bernardo di Molay, bensì d'un altro ordine, assai più moderno, cioè a dire dei Templarii che fiorivano in Genova, nell'anno 1857, e non furono spenti da altri roghi, se non da quelli del matrimonio, da altre tanaglie, se non da quelle della necessità, da altre ruote, se non da quella della mutevole fortuna, da altri __in pace__, se non da quelli della spietata vecchiaia.

Ordine, sodalizio, compagnia, e simiglianti, non sono vocaboli adatti a significarvi che cosa fossero i nostri Templarii di Genova. Essi erano, o, per dire più veramente, formavano un __quid__, che sfugge a tutti gli uncini, a tutte le strette della definizione. Anzitutto, perchè si chiamavano Templarii? Forse perchè erano cavalieri nati d'ogni più arrisicata intrapresa, e nelle loro adunanze non ammettevano donne. Entravano scudieri, e poscia diventavano cavalieri. Tutto ciò si faceva naturalmente, senza bisogno di statuti, e diremmo quasi senza lume di consuetudini. Come erano nati? e fors'anco esistevano come corpo?

Costoro, in principio, non erano i Templarii fuorchè dalle undici di sera alle cinque del mattino; gente racimolata da parecchie classi sociali, diverse di costume e d'intenti; signorotti scioperati, studenti svogliati, artisti chiacchierini, dilettanti di critica, fannulloni per elezione, ai quali scorrevano disutili le ore del giorno, di guisa che potevano impunemente dormirle, spendendo quelle della notte in lieti ragionamenti, in pazze scappate. Si radunarono una volta intorno ad una tavola d'osteria; mangiarono poco, bevvero molto, chiacchierarono moltissimo, e si separarono a notte alta, colle frasi del duetto di Pollione e di Adalgisa. __Qui domani, all'ora istessa, – Verrai tu? Ne fo promessa.__ Un'altra sera, mentr'erano seduti, capitò qualcheduno che aveva dimenticata la chiave dell'uscio di casa, e veduta la luce del gasse illuminare i vetri di una finestra sotto i portici del teatro Carlo Felice (colà per l'appunto era il Tempio dei primi cavalieri) aveva deliberato di entrarvi, e sbocconcellare una fetta di arrosto e far ora sul bicchiere. Occorse poi che qualche sfegatato ammiratore della prima donna, o delle due ballerine __comprimarie__ del teatro vicino, riscaldatosi nella controversia, si fermasse un'ora di più nella trattoria, dov'era venuto col proposito di rimanere appena dieci minuti, e nei nuovi arrivati riconoscendo amici suoi di vecchia data, trovasse l'addentellato per altre due ore di conversazione. Tutti costoro, raunati dal caso, rimasero uniti dalla chiacchiera; e videro che ciò era buono.

La promessa di Adalgisa fu ripetuta, e dopo la promessa il giuramento. In progresso di tempo, non fu più bisogno di tanto; la consuetudine s'era formata, e i nostri primi Templarii, che non si chiamavano ancora con quel nome, furono il centro, il nocciolo, intorno a cui vennero raggruppandosi tutti i capi scarichi ed ameni della città. Molti, che pure, a cagione dei loro negozi, non avrebbero potuto far quella vita notturna, ci andarono perchè la tentazione era più forte della loro virtù. I giornalisti, gente avvezza a lavorar di sera, diedero un largo contingente d'uomini alla lega; gli artisti di teatro, legione avventizia, furono gli ausiliarii che venivano quivi, di stagione in stagione, a darsi la muta. E sempre nuovi erano i commensali, e non c'era bisogno dei capi per convocarli in assemblea. Non c'erano statuti, abbiamo già detto, ed aggiungeremo che non c'erano vincoli. Oggi mancava uno; domani l'altro; i primi tre che si radunavano, facevano manipolo; non passava un'ora, ed erano covone; liberi tutti di andarsene, di sparpagliarsi da capo, ma rattenuti dal sapore di una cena dond'era sbandito il cerimoniale, allettati dalle dolcezze di una fruttuosa comunione di pensieri, che sgocciolavano allegramente dai calici, o vaporavano mollemente, raccomandati a buffi di fumo.

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