Vittorio Bersezio - La plebe, parte II

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Questa non ringraziò che con uno sguardo, poichè colla voce non lo poteva, ma quello sguardo era pieno di riconoscenza. In quella all'uscio della miserabile soffitta ecco suonare una voce di donna armoniosa e soavissima:

– Si può entrare?

– Avanti: disse la voce rauca ed aspra di Andrea.

L'uscio si aprì e comparve nel vano della porta, spiccando in chiaro sopra lo scuro del corridoio la splendida bellezza della nobile signora damigella Virginia di Castelletto.

Era vestita di scuro a le sue carni bianchissime e le sue chiome color d'oro parevano mandare attorno l'aureola d'una mitissima luce. Dietro di lei veniva una vecchia governante, e nell'ombra del corridoio vedevasi il cappello gallonato d'un domestico in piccola livrea. Stette ella un istante sulla soglia, guardando intorno co' suoi occhi splendidi, smaglianti, in cui avreste detto in quel momento esservi tutto il riflesso del più bel sereno di cielo in un purissimo lago, mentre un sorriso pietoso e pieno di dignità appariva sulle labbra con fiera eleganza disegnate; poi s'inoltrò con passo leggiero e spedito, che pareva sorvolare sullo spazzo con mossa di persona di naturalissima leggiadria, e si accostò alla donna giacente. Maria si tirò indietro d'alcuni passi per lasciarle luogo, e Virginia, entrandole innanzi le fece col capo un saluto cortesissimo, però senza mostrare che ella l'avesse altrimenti riconosciuta. Andrea stava colà dritto, quasi attonito, senza sapere che fare nè che dirsi; e i bambini medesimi tenevano aperto tanto di bocca e tanto d'occhi a guardare meravigliati quella giovanile ed elegante bellezza che attraversava come una splendida visione la squallida atmosfera della loro miseria.

Quando fu presso alla inferma, la nobile visitatrice, fece suonare quella sua voce piena di soavissimo incanto.

– Povera Paolina! Voi state poco bene?

La moglie d'Andrea, confusa e commossa balbettò:

– Oh signora marchesina… Lei qui… in questo miserabile buco… Lei venire fino quassù… Che degnazione!

E volle fare uno sforzo per levarsi su colla persona a seder sul giaciglio.

Ma Virginia le pose amorevolmente la sua piccola mano inguantata sopra una spalla e la impedì di muoversi.

– State lì, buona donna: disse: non vi muovete. Appena ebbi inteso che voi eravate venuta a cercare di me e con tanta fervorosa sollecitudine, amaramente mi dolse che non vi avessero introdotta, ed avvisando che forse premuroso sarebbe stato il motivo della vostra venuta, pensai miglior consiglio non aspettare che tornaste, ma venire io stessa a vedervi… Ed eccomi.

Queste cose erano dette con sì dignitosa semplicità e con tanto avvenente soavità di voce che chiunque le udisse doveva dar loro un pregio e provarne un effetto che è impossibile esprimere.

Virginia aveva diffatti un cuore generoso e nobilissimo, di tal natura da essere non solo facilmente accessibile ad ogni istinto di pietà, ad ogni sentimento di carità, ma ancora da sapere ogni atto misericordioso accompagnare con quelle forme e quei modi che maggior prezzo e nuovo merito accrescono all'atto medesimo.

Di siffatta natura era stata l'ispirazione che subitamente erale nata quella mattina udendo come la Paolina, con aspetto di tanto dolore e di tanta passione, fosse venuta cercando di lei; l'ispirazione voglio dire di recarsi ella stessa nella soffitta della povera donna, di cui ben conosceva l'indirizzo, affine di vedere cogli occhi proprii e più sollecitamente quali fossero i bisogni della disgraziata famiglia. Ben sapeva ella che un soccorso portato in persona, una buona parola detta a viva voce dal ricco e dal potente producono assai più bene al povero; e in quel punto ella sentivasi maggiore del solito nella bell'anima l'impulso di fare, a chi soffrisse, il maggior bene ch'ella potesse.

Il perchè di questa sua maggior tendenza alla benefica pietà, ella non avrebbe saputo pur dirlo dove altri ne l'avesse interrogata; ma in vero proveniva da ciò che il suo cuore fosse allora oppresso da non lieve angustia, a scemar la quale, come alle anime veramente gentili avviene, sentiva non esservi mezzo migliore che recar soccorso alle angustie altrui.

Cagione della sua angustia era il duello ch'ella non dubitava punto sarebbe intravvenuto fra suo cugino il giovane marchese di Baldissero e l'avvocato Benda, del qual duello ella, benchè involontaria affatto, era pur tuttavia la causa, o, per meglio dire, il pretesto.

Il pensiero che per lei due uomini stanno ponendo a cimento la vita è pur sempre doloroso ad ogni mite animo di donna; ma è tale tanto più allora quando di questi due uomini uno è legato a lei per vincoli di sangue, e verso l'altro inchina il suo cuore per profonda simpatia. Con Virginia il marchesino di Baldissero erasi allevato come fratello; il padre e la madre di lui – il padre soprattutto – avevano tenuto e tenevano luogo di genitori ad essa orfana e sola. Se una disgrazia fosse accaduta a quel giovane – il primogenito di quella famiglia supremamente aristocratica – qual dolore non sarebbe egli stato quello della marchesa, e a mille doppi più, benchè di più contenuto certamente, quello del vecchio marchese! E d'altra parte, se non al marchesino, ma al suo avversario fosse stata nemica la sorte? A tal pensiero, Virginia sentiva una stretta nell'animo tanto forte che non sapeva darsene una spiegazione. Era assai più dell'interesse cui suscita in un'anima cristiana il pericolo d'un indifferente; era lo sgomento che ci coglie, quando vediamo minacciata un'esistenza la quale per mille tenacissimi legami s'attiene alla nostra. Codesta fu come una rivelazione a Virginia medesima. Quel giovane non erale nulla di nulla, eppure perchè, palpitava cotanto il suo cuore al sol pensiero d'una disgrazia che potesse sovraccoglierlo? Secondo le strette regole delle usanze mondane potevasi dire ch'ella appena se lo conoscesse; egli non apparteneva alla casta di lei; nella sfera sociale in cui essa era nata e viveva, appena se quel giovane potesse comparire alla sfuggita, per tolleranza, per suo diritto mai; e tuttavia ella sentiva che della sorte di lui era troppo più sollecito il suo cuore che non di quella d'ogni altro. Ricordava ad un punto come lo avesse conosciuto, ed ogni occasione in cui l'avesse visto.

La prima volta che la esistenza di quel giovane si fosse a lei manifestata, era per mezzo d'una graziosa romanza piena di soavità e di affetto, ch'ella si piacque a suonare più d'ogni altro pezzo di musica sul suo gravicembalo ed a cantare colla sua voce d'argento. Era intitolata Crepuscolo , e con vera e piacevole commozione in quella stagione autunnale in cui si trovava, Virginia si accresceva coll'esecuzione di quella ispirata romanza la soave mestizia delle ore vespertine. Quella musica le diceva di tante cose, le accarezzava sì dolcemente l'anima vibrante! Dopo averla fatta risuonare pel mite ambiente delle prime ombrie, ella appoggiava il suo gomito sui tasti d'avorio, reclinava sulla mano la sua bella fronte, e pensava, o, per dir meglio fantasiava di così vaghe ed ineffabili immagini, e il venticello della sera che per la finestra aperta veniva ad agitarle i ricci graziosamente scomposti della sua capigliatura color d'oro, parevale che ancora sommessamente le ripetesse la graziosa melodia. Volle che il mercante di musica le provvedesse tutte le composizioni che vi fossero del medesimo autore, e in tutte trovò qualche cosa che le parlava all'anima. Alla persona di codesto autore che tanto sapeva scuotere le intime fibre dell'esser suo, ella non aveva pensato neppur mai. Che fosse vicino o lontano, di queste o di quelle sembianze, dell'una o dell'altra età; non erale venuto in mente nemmanco che ciò la potesse interessare. Non nascondeva a nessuno la sua preferenza per quelle musicali composizioni, e dopo i grandi maestri, di cui ella era tanto buona esecutrice da intendere e sapere interpretare i concetti, a sè medesima la non regalava altre suonate più che quelle dello sconosciuto Francesco Benda.

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