Vittorio Bersezio - La plebe, parte IV

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– Che ha, signora marchesa? disse ella; e vedendo lo sguardo intelligente con cui la padrona la fissava, soggiunse: Dio sia lodato! Ella è pur finalmente tornata in sè.

Aurora diceva mille cose col suo sguardo acceso; ma le labbra non poterono che sommessamente balbettare:

– Mio figlio?

Era stato deciso che alla infelice madre, se e quando risensasse, si sarebbe detto che il bambino, durante il terribile periodo trascorso della infermità di lei, era morto; ma ora, vedendone tanto spasimo, giudicando che tal novella sarebbe stato un precipitarla di nuovo in quello stato da cui appena era venuta fuori, sarebbe anzi molto più facilmente un ucciderla addirittura, Modestina non ebbe il coraggio di darle un colpo così crudele. Rispose adunque esitando che il piccino si era dovuto per forza allontanarlo per dargliene una nutrice, ma che Aurora intanto non istesso in pena per lui, al quale in ogni modo era accuratamente provvisto.

L'inferma trovò per prima cosa che si sarebbe dovuto far venire questa nutrice presso di lei, piuttosto che allontanare da lei il figliuolo; volle sapere se il luogo dove egli era a balia fosse lontano, se lo si sarebbe potuto aver di frequente colà dove essa giaceva inferma, che già star lungo tempo senza vederlo, non la voleva a niun patto; se la famiglia presso cui s'era allogato il bambino fosse tale da ispirare tranquillità e fiducia per le cure che si avessero di lui: alle quali cose tutte, Modestina, non preparata, rispose impacciatamente e con affatto nessuna soddisfazione di Aurora.

Ed era già costei piena di dubbi parecchi e di ansie indefinite, quando sopravvenne Padre Bonaventura, al quale con più ardore, con più sollecita insistenza ella rivolse le interrogazioni medesime.

Il gesuita sedette presso al letto dell'inferma, cogli occhi bassi, le mani incrociate sul ventre, la mossa d'uomo in sè raccolto, scambiò due o tre occhiate colla Modestina che gli ammiccava di soppiatto per significargli come la pietà le avesse consigliato di parlare alla padrona un po' diversamente da quel che era stato inteso fra di loro, e quando Aurora ebbe finito le sue domande e stava attendendo ansiosamente risposta, il frate diede alle sue sembianze l'espressione d'un intimo, profondo cordoglio, d'un rassegnato dolore, mandò un sospiro, levò gli occhi al cielo, e tutto compunto incominciò un sermoncino di melliflua rettorica per esporre che questa terra è una valle di lagrime, che Dio non vuole si metta nella creatura tutto il nostro affetto, che dobbiamo prepararci alle grandi prove e sostenerle con fermo animo, quando le ci arrivano, eccetera, eccetera.

La povera madre che aveva notalo l'impaccio della cameriera, gli sguardi scambiati fra costei ed il gesuita, interruppe ad un punto quella predica con un grido straziante che partiva dal profondo dell'anima.

– Gran Dio! Mio figlio non è più!

Le rispose troppo eloquentemente il silenzio della cameriera e di Padre Bonaventura. L'infelice arrovesciò il capo sui guanciali, divenne più pallida che un cadavere, chiuse gli occhi e mandò un fievol gemito: era svenuta.

– Misericordia! esclamò la Modestina: ella è morta.

Il gesuita si curvò sulla giacente ad esaminarne l'aspetto, e le pose una mano sul cuore.

– No, diss'egli; la Provvidenza non le vuole far questa grazia.

Si dovette ricominciare la lotta colla morte, ed anco questa volta vinsero la gioventù e la natura.

Ma una persona era intorno all'inferma che aveva di lei la massima pietà e sentiva nel cuore un cocente rimorso dei fatti suoi: la povera Eugenia. Ella si diceva di aver empiamente mancato alla solenne promessa da lei data ad Aurora di fare ogni possibil cosa affine di salvarle il figliuolo; degli spasimi che soffriva la madre orbata ella accusava sè stessa che se avesse mantenuto fede, avrebbe potuto conservarle allato il bambino. Qual modo avrebbe potuto avere per ciò non sapeva bene; ed anzi talvolta per iscusarsi innanzi a sè stessa dicevasi che nessuno affatto era in poter suo e lo avesse anche tentato, ella ad altro non sarebbe riuscita che a farsi cacciare di colà; ma pur tuttavia non poteva tranquillare la sua coscienza. Non aveva ella accettato un compenso pel suo silenzio? Lo aveva fatto per suo figlio: ma doveva ella per un vantaggio al suo sacrificare il figliuolo della donna che in lei s'era affidata? Un pauroso presentimento, allora invadeva il suo animo. Codesto le avrebbe recato disgrazia; Dio ne l'avrebbe punita, dicevasi; ma purchè non la volesse punir poi nel figliuol suo! Raccapricciava a questo pensiero. Se la sorte l'avesse voluta colpir poi colla pena del taglione? Se anco a lei una mano crudele venisse a rapir poi quel frutto delle sue viscere che già amava cotanto? Sentiva allora che togliere un figlio a sua madre era il più iniquo delitto che si potesse compire: ed ella di questo infame delitto s'era fatta complice! Infelice! I suoi paurosi presentimenti dovevano aver ragione; ed ella stessa un anno dopo doveva provare, prima di morire, lo spasimo atroce di vedersi rapito il figliuolo.

Codesto faceva che amorosissime, incessanti, piene d'uno zelo impareggiabile fossero le cure che Eugenia prodigava all'inferma. Avrebbe dato tutto di sè per restituirle la salute e il figliuolo; la sua vita non fosse stata necessaria per un altro essere, avrebbe offerta anche quella in benefizio d'Aurora.

A questa intanto ritornando a poco a poco la salute e la possibilità, non certo la voglia di vivere, era più forte rinato il desiderio di conoscere ogni particolarità della morte del suo bambino. Voleva le si dicesse ogni menoma cosa che riguardasse quel luttuoso avvenimento; domandava dove fosse stato il corpicciuolo sepolto, voleva che colà sorgesse un modesto tumulo a segnarne il luogo che sarebbe stato in avvenire meta a frequenti e pietosi di lei pellegrinaggi, moveva un'infinità di interrogazioni che mettevano in imbarazzo le due donne e sopratutto l'Eugenia, alla quale sentendo per lei più simpatia, Aurora volgeva con più amorevole insistenza, con più pressante supplicazione le sue domande.

Eugenia non sapeva mentire. Oltre ciò, col pensare e ripensare a quel crudele atto a cui ella aveva partecipato in danno della povera Aurora, aveva finito per giungere alla conclusione che il male cagionato non era irrimediabile; ella sapeva quali contrassegni fossero stati posti al bambino, mercè cui poterlo riconoscere; svelando tutta la verità alla giovane madre, questa poteva ottenere da Nariccia le dicesse il luogo dove il fanciullo era stato abbandonato e, per via di que' certi indizi, riaverlo: stava adunque discutendo seco stessa intorno all'opportunità di tutto rivelare ad Aurora. Questa, da parte sua, guidata da una specie di segreto istinto, aveva maturamente riflettuto seco stessa sull'imbarazzo, sulle incertezze, sulle contraddizioni che aveva dovuto notare nelle risposte fatte alle sue domande intorno la morte del bambino, ed una vaga, inesplicabile speranza le era nata in cuore che la si fosse voluta ingannare, che il suo figliuolo non fosse morto. Le pareva impossibile che ella potesse rimanere ancora sulla terra quando ne fossero partiti lo sposo ed anco il bambino; Dio avrebbe avuto tanta pietà almeno da farla morire, lei pure; se la aveva conservata malgrado tutto a questa vita, gli era dunque ch'ella ci aveva da fare ancora qualche cosa, e qual altro dovere poteva incomberle oramai fuor quello di madre?

Da queste mutue disposizioni dei loro animi avvenne che una volta finalmente che Aurora ed Eugenia eran rimaste sole, si fu molto presso a venir fuori la verità. La figliuola del marchese aveva riprese le sue dimande e le ripeteva con maggiori l'insistenza e la pressa; la cognata di Modestina rispondeva più impacciata che mai. Aurora la guardava con occhi penetranti che parea le volessero leggere nell'anima, e nella sua voce si mise a palpitare, per così dire, un'emozione che era l'effetto di un'incantevole speranza.

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