Carlo Bini - Scritti editi e postumi

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CAPITOLO XV

– Devo dirla come la penso? – Per un tratto del vostro discorso mi avete fatto una paura diabolica; – io credeva, che voi voleste volare; – io tremava per voi, ma poi mi sono rassicurato; – vi ho guardato i piedi, e li ho veduti immobili, e fissi come chiodi. – Per altro avete fatto un gran fare; – sbracciavate, – sbuffavate, – gli occhi fuori dell'orbita, – il volto infiammato, – le vene della fronte rigonfie; – vi pare a voi? – è la maniera di farsi venir male. E che paroloni! sesquipedalia verba: – e che voce avete fatto! ne ho sempre rintronate le orecchie! voi eravate in un accesso! mi avete fatto paura! io già pensava a una cavata di sangue.

Volete un consiglio da amico? Smettete cotesto stile, – non è per voi, – non ci guadagnerete, che l'asma. Voi non siete un uomo esaltato, – non potete esserlo, – avete troppo umore . Io lo so; – vorreste esser poeta; – ognuno ambisce di essere quel che non può. Invece di un buon cappello di feltro vorreste una bella ghirlanda d'alloro, – per mille ragioni, e, non fosse altro, per campar la testa dalle saette. Ma datevi pace, l'alloro non è per voi; – e ve ne regalassero anche un albero, non sapreste mai trarne una corona di poeta; – gran mercè, se voi ne cavaste una frasca da osterie. – Io lo so; – vorreste esser poeta, e vorrei essere anch'io; – ma come fareste quando il filo non arriva? – Vi compatisco; – avete letto Dante, l'Ariosto, Byron, Schiller, Goethe; – li avete gustati, – li avete sentiti; – vi compatisco; vorreste anche voi avere un'anima temprata come l'arpa eolia, che ad ogni minimo fiato rendesse armonia; vorreste avere un'anima limpida, trasparente, in cui l'universo si riflettesse come in uno specchio. – Ma è tutt'una, – non siete nato, – i poeti nascono belli e fatti: Vates nascuntur. Ditemi voi, – dove andarono a scuola Omero, Ossian, Burns? – E poi sentite questi due versi, che paiono fatti a posta per voi:

E cui Natura non lo volle dire

Nol dirian mille Rome, e mille Ateni.

Avete capito? e badate, son versi di un classicista, che credeva nell'Arte forse più del dovere. – Smettete, – vi ripeto – sarà meglio per voi. Consultate bene l'indole vostra, e quella seguite; non farete mai male. Perchè, se avete corta la vista, volete farmi l'astronomo? Fate il sartore piuttosto, che cucirete a punti piccoli e bene uniti, e così vi acquisterete una lode moderata, è vero, ma pure una certa lode. – Non fate l'astronomo; – potreste scambiare un fanale col mondo di Saturno, e allora – risum teneatis, amici? – Smettete lo stile eroico, – non è per voi; invece di fare della poesia, fate della rettorica, – cosa veramente insoffribile in un secolo come il nostro. Non ve l'ho detto io sempre? Il cavalcare non è per voi; – crederete di fare la figura di un S. Giorgio, e invece siete una balla a cavallo. Non ve ne abbiate per male, – andate a piedi, – è la vostra condanna. Cosa ci volete fare? Tanto, poeta non sarete mai; vi manca l'ispirazione. Se l'esser poeta consistesse nel tornir bene un verso, come usava nel cinquecento e nel settecento, – vada; avete l'orecchio abbastanza armonico, e, quando vi piace, sapete scegliere una frase elegante. Ma tutto questo non è poesia, – è un lavoro da monache. Avete bensì l'anima spruzzata di poesia, – ma quella vena larga, inesausta, – che costituiva Dante e compagni, – voi non l'avete. – Non bisogna pretendere di far tutto, – anche il genio ha i suoi limiti. – Newton, che poteva leggere a suo beneplacito la facciata immensa del firmamento, si smarrì nei pochi fogli dell'Apocalisse, e riuscì un infelice teologo. – Chi nasce artefice per tessere un drappo prezioso, – chi nasce tignuola per guastarlo. E la tignuola, – è inutile, – non sa che rodere. Ve lo dica un Professor dal fiocco rosso, quando si propose anch'egli di fare una stoffa! – Fece una tal cosa, che anch'egli ne avrebbe riso, se non fosse stato giudice e parte. Ma non fu così quando si trattò di rodere; – vero è bensì, che in ultimo torse la bocca, perchè le tinte delle vesti corrose contenevano troppo d'acido. – Smettete, – non cesserò mai di ripetervelo, – lo stile poetico; – credete di suonare la tromba epica, e invece non fate che gonfiar le guancie. Voi non siete veramente nè poeta, nè oratore, nè storico, nè filosofo, nè tignuola; – siete un non so che, che non lo sappiamo nè io nè voi. – Quando la Natura vi architettava, invece di farvi la testa, sopra pensiere fece una gabbia da grilli; – poi si accôrse del fallo, ma non volle tornare indietro, e lasciò il lavoro come stava; – pure perchè la gabbia avesse uno scopo, una conveniente destinazione, la riempì liberalmente di grilli, e così voi siete riuscito quel che siete. Dovete convenirne per maledetta forza, – l'enfasi, il far di Pindaro, a voi non si addice; – voi non potete aspirare, che a una certa ironia, a una certa malizia, talvolta a un poco di grazia, a uno stile negligente giusto appunto come siete voi. Datemi ascolto: scrivete sempre alla buona, alla sans souci , e terminate la storia del Povero carcerato. —

CAPITOLO XVI

E così mandando al diavolo tutti i saccenti, e adoprando lo stile che meglio mi aggrada, ripiglio la mia storia tante volte interrotta.

Il pover'uomo non è morto ancora; – prova ne sia ch'io l'ho veduto. – Come mai? – mi direte. Ecco come; mentre quel ser saccente mi dava quei tanti consigli, che io non gli aveva chiesti, facevamo cammino, e questo era il meglio; a un terzo del discorso, siamo giunti dinnanzi alla carcere, e di lì a minuti è stata aperta, ond'io ho potuto vedere agiatamente i fatti miei tali e quali come vado a dirveli. – Il pover'uomo, come sapete, non è morto ancora; e s'ei fosse morto, (questo lo dico per rispondere a chi dianzi trepidava tanto per lui), s'ei fosse morto, certo sarebbe morto senza nessuno d'intorno, – solitario come una bestia del bosco. Chi volete che fosse passato per assisterlo in quel transito angoscioso? Fra il Povero e la Pietà sta di mezzo una prigione, e la Giustizia ne difende l'ingresso come la spada del cherubino alle mura dell'Eden.

Il pover'uomo non era più stupido, come quando io lo lasciai; – mi pareva anzi irritato, – e forse troppo. Le sue passioni erano rimontate, – le passioni fanno come la marea. Allora sì mi pareva, che più di prima egli avesse bisogno d'un amico, che con modi cordiali e con suoni di conforto si provasse di acchetare quella tempesta, che gli ruggiva dentro, e gli capovolgeva la ragione. Egli passeggiava furiosamente per tutti i versi i cinque passi della sua stanza; – spesso si dava nella fronte con una palma, – spesso batteva coi piedi la terra; – ora fischiava turbinosamente, – ora cantava in una lingua e in una musica affatto nuova; – ora s'incrociava le mani sul petto, nascondendosi le pupille terribilmente sotto le ciglia. Una volta si mise una mano sul cuore, – e fece atto di strapparselo, e di lanciarlo in aria con un grido disperamente salvatico, – uno di quei gridi, che atterriscono l'uomo e la fiera, – il grido della madre che fuga il leone, e gli cava il figlio di bocca… Dipoi si riconcentrò, e fece pochi passi adagio adagio, e senza intenzione: – quindi sembrava stanco, e si pose a sedere sopra uno scalino col capo fra le ginocchia. – Col capo in quella maniera, io non potei vedere se pregasse, se bestemmiasse, se piangesse. Forse egli faceva queste tre cose confusamente insieme; – forse era assorto in una di quelle estasi, prodotte dall'ambascia profonda, in cui l'anima abbandona il corpo, e s'ingolfa in una nuova esistenza, in un mondo incognito, pieno di forme strane; non mai vedute, non mai pensate, – dove l'anima giace immemore di quello che fu, di quello che è; – e solamente, tra il sì e il no, sogna, che in qualche parte le dolga, ma non sa dove, non saprebbe cercarvi, non è tentata a farlo.

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