Pietro Giannone - Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6: краткое содержание, описание и аннотация

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Nell'istesso tempo il Re Federico con potente armata infestava le Calabrie, e certamente le cose di Roberto sarebbero capitate male, se morte opportuna non l'avesse liberato; poichè mentre Errico se ne tornava in Toscana per quindi venire con gagliardo esercito a' danni del Re Roberto, per cammino cadde infermo, e arrivato a Buonconvento, castello del Contado di Siena, a' 24 agosto di quest'istesso anno 1313 se ne morì. Non mancano Scrittori che rapportano la sua morte essere stata proccurata da' Fiorentini, i quali avendo corrotto un Frate Domenicano nominato Pietro di Castelrinaldo, narrasi che questi gli dasse un'ostia attossicata nel tempo che gli richiese di voler prendere il Viatico.

(Il nome del Frate Domenicano che nell'Eucaristia attossicò l'Imperadore Errico VII non fu altrimente di Pietro di Castelrinaldo, ma di Bernardo di Montepulciano , e l'abbaglio d'alcuni Scrittori nacque d'aver confuso Frate Pietro, che presso il Re di Boemia Giovanni figlio d'Errico, prese la difesa di Frate Bernardo e del suo Ordine Domenicano, con Frate Bernardo imputato d'una tale scelleraggine nelle lettere apologetiche del Re Giovanni impresse dal Baluzio T. 1, Miscel., p. 162 si legge così: Nuper autem retulit nobis Religiosus Vir frater Petrus de Castro-Reginaldi, ordinis fratrum Praedicatorum, quod in magnum ipsius ordinis dedecus et contemptum facti sunt Romancii, Chronicae et Moteti, in quibus continetur, quod clarae memoriae Dominum et genitorem nostrum Imperatorem Henricum, Frater quidam Bernhardus de Montepeluciano, ordinis supra dicti, administrando ei Sacramentum Eucharistiae, venenavit; et propter hoc, ad defensionem veritatis, praedictus frater Petrus de Castro Reginaldi, habere super hoc litteram testimonialem humiliter supplicavit . E questo medesimo nome gli danno Tritemio Chron. Hirsaug. ad An. 1313 e Cuspiniano pag. 366. Parimente è da notarsi, che durando ancor a' tempi d'Errico VII il costume di darsi anche ai Laici la communione sub utraque specie , molti Scrittori antichi rapportano che il veleno non fu propinato nell'ostia, ma mescolato dentro il calice che se gli diede a bere: ed in questa maniera narra esser seguito l'avvelenamento Alberto Argent. pag. 118 dicendo: Dicebatur enim, quod ipse praedicator venenum sub ungue digiti tenens absconsum, post communionem potui Caesari immississet et illico discessisset . E lo stesso scrisse H. Stero ad A. 1313. Hic Imperator, ut communis fuit opinio, per penitentiarium suum, immixto veneno in Calice Domini, cum Imperator ab ipso Eucharistiam sumeret, extinctus fuit, et Pisis sepultus . Veggasi Martino Disembachio, il quale compilò una particolar dissertazione, de vero mortis genere, quo Henricus VII. obiit . Dove nel §. 39 sulla fede di Tritemio Cron. Hirsaug. ad Annum 1313 rapporta, che a que' tempi fu così comune e costante la credenza che Errico fosse stato avvelenato da un Frate Domenicano, che per questo misfatto fosse stata imposta pena a tutto l'ordine de' Predicatori, che i loro Monachi non potessero comunicare se non colla mano sinistra coloro, che s'accostavano all'altare. Veggasi parimente Burcardo Struvio Syntag. Hist. Germanor. Dissert. 25, §. 15, il quale rapporta le arti e gli sforzi che fecero i Domenicani presso Giovanni Re di Boemia, per purgarsi di questa imputazione; e la propensione di quel Re di favorirli, così perchè temeva che non gli concitassero l'odio del Clero, come anche perchè de' medesimi valevasi per Confessori e Consultori di sua coscienza, rapportando eziandio i sospetti che s'aveano, non quelle lettere apologetiche trascritte da Baluzio, fossero false o almanco estorte da Giovanni per loro importunità ed artificj).

Altri lo niegano, e dicono essersi ammalato per contagion d'aria e morto di febbre 33 33 Baluz. pag. 21, 53, 94, 614. . Checchè ne sia, la morte d'Errico pose in tanta confusione i Capi del suo esercito ed il Re Federico che, ciascuno tolse la sua via, e Federico mesto si ritornò in Sicilia; ma essendo il Re Roberto fieramente con lui adirato, il qual rotta la pace, che avea seco, s'era scoperto in su quella venuta amico dell'Imperadore; fatta un'armata di cento venti galee tra quelle di Provenza, del Regno e de' Genovesi, andò egli stesso in persona con Giovanni e Filippo suoi fratelli a danni di quell'isola. E furono i principj molto lieti, perciò ch'egli prese per forza Castello a mare, e posto l'assedio a Trapani, ebbe grande speranza d'averla; ma ingannato da' terrazzani che l'aveano tenuto in parole di concerto con Federico, l'indugio fu tale che vedendosi mancata la vettovaglia, ed andar tuttavia infermando il suo esercito, nè volere il Re Federico venire seco a battaglia, nè in mare, nè in terra, fu costretto far tregua co' Siciliani per tre anni, e tornossene il primo giorno dell'anno 1315 a Napoli molto peggiorato.

Fra questo mezzo Papa Clemente V, morto Errico, avendo ripreso vigore il suo partito, cavò fuori una sua Bolla, colla quale rivocò, ed annullò la sentenza fatta dall'Imperadore contro Roberto. Questa oggi la leggiamo tra l'altre decretali de' romani Pontefici, avendola i Compilatori del dritto Canonico inserita fra le Clementine 34 34 Clement. pastoralis, de sent. et re judic. , e si legge ancora nel primo volume dei MS. giurisdizionali del Chioccarelli.

Re Roberto convenendogli portarsi ora in Provenza, ora nell'impresa di Sicilia, sovente in Fiorenza, in Genova ed altrove, avea costituito Vicario del Regno, secondo il costume de' suoi maggiori, Carlo Duca di Calabria suo figliuolo, di cui perciò, come si disse, abbiamo molti Capitoli , fatti da lui mentr'era Vicario in assenza di suo padre. Ma Roberto non avendo altri figliuoli, pensò di casarlo e conchiuse il matrimonio con la figliuola dell'Arciduca d'Austria, onde mandò in Alemagna il Conte Camerlingo, e l'Arcivescovo di Capua Ambasciadori con onoratissima compagnia di Nobiltà. Costei ebbe nome Caterina , la quale condotta con grandissimo onore a Napoli, fu poco fortunata, perchè dopo non molto tempo morì senza lasciar figliuoli; tanto che da poi Re Roberto diede a Carlo la seconda moglie che fu Maria figliuola di Carlo Conte di Valois, della quale ebbe tre figliuole, come diremo più innanzi.

Intanto essendo finito il tempo della triegua co' Siciliani, il Re Roberto deliberò seguire l'impresa di Sicilia, ed avendo posto in acqua un buon numero di navi, afflisse tanto quell'isola, e le forze del Re Federico, che fu comune opinione che se Roberto avesse continuata la guerra in quel modo, avrebbe certamente ricoverato quel Regno; ma i Siciliani, essendo morto nel mese di aprile dell'anno 1314 Clemente V e rifatto in suo luogo Gio. XXII mandarono subito una imbasciata de' maggiori uomini dell'isola a rallegrarsi della creazione, ed a pregarlo, volesse trattare la pace o la triegua fra que' due Principi. Il nuovo Papa mandò perciò un Legato al Re Roberto, che lo indusse a far nuova triegua per cinque altri anni.

CAPITOLO II

L'Imperador Lodovico bavaro cala in Roma, e muove guerra al Re Roberto . Il Duca di Calabria si muore, onde s'affrettano le nozze di Giovanna sua figliuola con Andrea secondogenito del Re d'Ungheria

Ma nuovo turbine interruppe i progressi, e turbò la quiete del Re Roberto: morto, come si disse, l'Imperadore Errico, essendosi gli Elettori adunati in Francfort l'anno 1314 si divisero sopra l'elezione del successore: gli uni elessero Lodovico di Baviera ; gli altri Federico figliuolo d'Alberto Arciduca d'Austria . Giovanni XXII ricusò di confermare alcuno de' due eletti, e dichiarò vacante l'Imperio. I due Pretendenti fecero guerra insieme in Alemagna, ed i lor partigiani in Italia. In fine Federico restò sconfitto l'anno 1323 e preso prigione insieme con suo fratello Errico da Lodovico di Baviera. Il lor terzo fratello Leopoldo ricorse al Papa, che pronunziò una sentenza contro Lodovico di Baviera. Questo Principe se ne appellò al Concilio generale, ed al futuro Pontefice legittimamente eletto 35 35 Baluz. Vitae Papar. Aven. tom. 2 p. 478 dove porta quest'appellazione. ; all'incontro il Papa non lasciò di continuare la sua azione, di scomunicar Lodovico di Baviera, e di dichiararlo eretico. L'Italia per conseguenza fu parimente turbata dalle fazioni de' Guelfi partigiani del Papa e de' Ghibellini partigiani dell'Imperadore; ma chi fra' Guelfi si segnalasse sopra tutti gli altri fu il nostro Re Roberto, e Carlo Duca di Calabria suo figliuolo. Il Papa lo chiamò, e fece levar delle truppe per far la guerra contro il partito di Lodovico. I Ghibellini veggendo, che i Guelfi per le forze di sì potente Re andavano tuttavia crescendo, sollecitarono che venisse in Italia il Bavaro. Lodovico calò in Italia, e giunto a Trento, andarono ad incontrarlo Cane della Scala Signor di Verona, Passerino Signore di Mantua, Azzo e Marco Visconte, Guido Tarlati Vescovo e Signore d'Arezzo, gli Ambasciadori di Castruccio Castracani e de' Pisani, e tutti i primi della fazione Ghibellina, tanto di Lombardia, quanto di Romagna e di Toscana. Fu celebrato un Parlamento, dove Lodovico promise e giurò di venir a Roma, e di favorire in tutta l'Italia il nome e la parte Ghibellina; ed all'incontro i Principi e gli Ambasciadori, che si trovarono al Parlamento, promisero dargli centocinquantamila fiorini d'oro, quando egli fosse giunto a Milano 36 36 Costanzo l. 5. .

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