Pietro Giannone - Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5
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Per la celebrità della fama, che aveasi con sì generosi modi acquistata, fu mosso il Re Giacomo d'Aragona a volersi imparentar con lui, sposando il suo primogenito Pietro d'Aragona alla sua figliuola Costanza , ch'egli avea generata di Beatrice figliuola di Amadeo Conte di Savoja sua prima moglie, presa in tempo, che ancor vivea l'Imperadore suo padre [70] Anonym. Et filiam suam Constantiam, quam ex prima consorte sua Beatrice, filia quondam A. Sabaudiae Comitis, Imperatore vivente, susceperat, Don Petro primogenito dicti Regis Aragonum matrimonio copulavit.
; ed il Marchese di Monferrato si sposò un'altra sua figliuola.
Dispiacquero al Pontefice Alessandro queste parentele, e per impedire quella col Re d'Aragona ingiunse a Raimondo di Pennaforte Frate Domenicano, e celebre per la sua Compilazione delle Decretali , che s'adoperasse con ardore, ed efficacia appresso quel Re, di cui egli era Confessore, per frastornarla; ma tutti gl'impegni del Papa, e le insinuazioni di Fra Raimondo a nulla valsero; laonde vedutosi Alessandro fuor di speranza, non ebbe ardire per quel tempo, che sopravvisse, di mai più molestarlo; per la qual cosa Manfredi insino alla morte d'Alessandro, regnò con molta quiete e felicità, riordinando le cose del Regno; e nato per opre magnifiche, volle anco presso di noi lasciar di se perenne ed immortal memoria, con fondare alla falda del Gargano ne' lidi del mare Lina magnifica città, che estinse affatto l'antica Siponto, e che dal suo insino ad ora ritiene il nome di Manfredonia , ancorchè Carlo d'Angiò occupato il Regno, ed i romani Pontefici per l'implacabil odio al nome di Manfredi, avessero fatto ogni studio, perchè non Manfredonia , ma Nuovo Siponto s'appellasse.
Il Pontefice Alessandro non potendo sostener di vantaggio i continui dispiaceri, che per le prosperità di Manfredi, e de' Ghibellini riceveva nell'animo, vinto finalmente da grave cordoglio, mentr'era colla sua Corte a Viterbo, gravemente infermossi, ed indi a poco uscì di vita in quest'anno 1260 secondo l'Anonimo, perchè il Sigonio, Inveges ed altri comunemente riportano la sua morte nell'anno seguente 1261.
I Cardinali nell'elezione del successore furono in grandissimi contrasti; e finalmente non potendo infra di loro convenire, dopo tre mesi elessero persona fuori del lor Collegio. Questi fu Giacomo Patriarca di Gerusalemme, che si trovava allora in Viterbo per promovere col Papa alcuni interessi della sua Chiesa. Egli era di nazione franzese, uomo di grande spirito, zelantissimo di promovere le pretensioni della romana Corte, ed in conseguenza fiero inimico di Manfredi, e de' suoi Ghibellini. Urbano IV nomossi; nome assai luttuoso, e memorando all'infelice Casa di Svevia.
CAPITOLO I
Spedizione d' Urbano IV contro Manfredi; ed inviti fatti in Francia per la conquista del Regno
Il Re Manfredi intesa l'elezione d'Urbano oltremodo turbossene, e cominciò a temere non volesse ricorrere alle forze di Francia per turbar quella pace, ch'ora godeva il Regno. Nè furon vani i suoi sospetti, poichè il nuovo Pontefice, appena assunto al Ponteficato, adoperò nuovi mezzi perchè il Re Giacomo d'Aragona disfacesse il matrimonio già conchiuso da Pietro suo figliuolo con Costanza figliuola di Manfredi [71] Inveges Ann. di Palermo, tom. 3.
; e per mostrare maggior coraggio del suo predecessore, volle sul bel principio ritrattar la causa di Manfredi; onde nel dì della Cena del Signore in presenza d'innumerabil concorso di popolo solennemente gli spedì una terribile citazione [72] Anonym.
, e per renderla più strepitosa, la fece affiggere nelle porte delle Chiese, per la quale citava Manfredi di dover comparire avanti di lui per purgarsi e difendersi sopra molti altri gravi ed enormi delitti, e ricever da lui que' castighi e quelle pene, che la giustizia gli avrebbe persuaso d'imporgli.
I delitti ch'erano espressi in quella citazione rapportata dal Tutini [73] Tutin. de' Contest. del Regno fol. 67.
, e sopra de' quali voleva prender ammenda, erano, che Manfredi per mano de' Saraceni avea fatto abbattere e ruinare sin da' fondamenti la città d'Ariano; che avea fatto vergognosamente uccidere Tommaso d'Oria e Tommaso Salice; avea data crudel morte, e con tradimento a Pietro Ruffo di Calabria Conte di Catanzaro, e fatta crudel strage di molti fedeli della romana Chiesa.
Che in disprezzo dell'autorità Appostolica, e delle censure ecclesiastiche, ed in destruzione di quelle, faceva celebrare avanti di lui ne' luoghi interdetti i divini Ufficj, ciò che non era senza sospetto d'eretica pravità: e che citato perciò dal suo predecessore Alessandro, nè comparendo, era stato da colui scomunicato.
Che egli in obbrobrio della fede cattolica, preferiva a' Cristiani i Saraceni, valendosi de' loro riti, e conversando con essi assai famigliarmente; che avea ridotto il Regno di Sicilia ad uno stato ignominioso ed in dura servitù, per l'acerbe taglie ed imposizioni, colle quali gravava gli abitatori; che s'era anche imbrattato del sangue de' suoi congiunti; ed avea fatto proditoriamente trucidare Corrado Busario Nunzio e vassallo di Corradino; oltre di molti esecrandi eccessi, per li quali era dannato di notoria infamia.
Manfredi, ancorchè non personalmente citato, ma in quella maniera, per editto, udita la citazione, non volle mancare di mandar tosto suoi nunzj al Papa per difendersi di quanto se gl'imputava; ma ne furono tosto rimandati indietro senza conchiuder niente; ed approssimandosi il tempo prefisso alla citazione di dover comparire, tornò Manfredi a mandare altri suoi Messi; vi spedì il Giudice Attardo da Venosa, e Giovanni da Brindisi Notai suoi famigliari, i quali con premurose istanze dimandarono, ch'essendo stato Manfredi citato per cause ardue e gravi, non poteva commettere a niuno de' suoi Nunzj la sua difesa, ma che sarebbe egli personalmente venuto a presentarsi avanti il Papa ed il Collegio de' Cardinali, purchè però se gli spedissero dal Pontefice lettere di assicuramento, affinchè dovendo passare per luoghi della Chiesa non ricevesse molestia ed ostilità. Il Papa gli concedè sì bene licenza di poter venire, ma ristrinse il numero di coloro, che doveano per sua custodia accompagnarlo, e che entrasse senz'armata; onde Manfredi temendo di qualche insidia incamminossi alla volta del Pontefice, ma per sua sicurezza portò seco competente numero di soldati e molti Cavalieri per sua compagnia. Urbano ciò reputando una gran temerità di Manfredi, sordo ed implacabile a quel, che per sua discolpa allegavano i suoi Ambasciadori, rotto ogni indugio, rinovò le censure contro Manfredi, e con celebrità grande non altrimente di quel che fece il suo predecessore di nuovo lo scomunica, lo dichiara tiranno, eretico ed inimico della Chiesa [74] Anonym. Excusatorum itaque praedictorum allegationibus non discussis, ipse Summus Pontifex cum vinculo excommunicationis adstrinxit.
.
Allora Manfredi toltasi ogni lusinga di poter entrare in grazia d'Urbano, vedendolo risoluto ai suoi danni, e che non vi era altro rimedio, che reprimere la sua alterigia colla forza, mandò subito ad assoldare nuove compagnie di Saraceni, spedendole a' confini del Regno, perchè infestassero lo Stato della Chiesa in Campagna di Roma; ed altre truppe mandò nella Marca d'Ancona, ritirandosi egli in Puglia a provvedere a' bisogni d'una buona guerra, che già prevedea doversi fare con Urbano.
Queste mosse accrebbero in guisa lo sdegno e l'ira nell'animo del Papa, che non contento d'aver umiliati i Svevi in Germania, cercò anche abbattergli in Italia; ed avendo scorto, che i ricorsi fatti da' suoi Predecessori in Inghilterra erano riusciti tutti vani, volle tentare se in Francia potessero avere miglior successo. Spedì pertanto ivi M. Alberto Notajo Appostolico, a trattare col Re Lodovico perchè accettasse l'investitura per alcuno de' tre minori suoi figliuoli, che erano Giovanni Conte di Nevers, Pietro Conte d'Alenzon, e Roberto Conte di Chiaramonte. Ma il Santo Re non accettò l'offerta, temendo (come rapporta Rainaldo [75] Rainald. ad ann. 1262 num. 21.
per una lettera di questo Pontefice scritta al soprannominato Alberto) di non scandalizzar il Mondo, assaltando un Regno, che a Corradino Svevo era dovuto per eredità, e ad Edmondo d'Inghilterra donato per investitura d'Alessandro IV.
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