Pietro Giannone - Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8

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Pietro Giannone

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8

LIBRO TRENTESIMOSECONDO

Don Pietro di Toledo nacque in Alva di Tormes del Regno di Castiglia nell'anno 1484 da D. Federico di Toledo, II Duca d'Alva, e D. Isabella Zuniga figliuola del Duca di Bedmar, donna non men grande per valor d'animo, che alta di corpo e di leggiadre fattezze, tanto che piacevolmente soleva dire, che era venuta ad ingrandire i corpi di Casa d'Alva, li quali erano di piccola statura. Fu nella sua fanciullezza dato D. Pietro ad allevare sotto buoni Maestri nello studio delle lettere, ma conosciutosi, che non molto vi riusciva, e che la sua inclinazione era più nelle cose agibili, che nelle speculazioni delle Scuole, il Duca padre lo pose per paggio nella Corte del Re Cattolico, da cui, ancorchè fanciullo, attentamente osservando le sue geste e raccogliendo le parole, che uscivano dalla bocca di quel savio Re, apprese l'arti della prudenza e del senno; ed ingegnandosi negli esercizi di cavalleria superar gli altri Cortigiani suoi pari, così in servire il Re, come in comparir bene ne' torneamenti, nelle giostre, e negli altri trattenimenti del Palazzo, divenne non pur sopra tutti gli altri caro al Re, ma peritissimo nell'esercizio di cavalcare e di giostrare, tanto che in Ispagna ebbe nome di gran Toriatore ; onde avvenne, che venuto per Vicerè in Napoli, introducesse fra noi il giuoco de' Tori, e tante altre giostre e tornei, che sovente nel suo governo faceva replicare.

Entrato per queste sue doti in somma grazia del Re, piacquegli dargli moglie, e lo casò con D. Maria Osoria Marchesa di Villafranca nipote del Conte di Benevento, giovanetta di 13 anni, bella ed unica erede dello Stato, ed ancorchè D. Pietro non fosse il primogenito della sua Casa, ma un semplice cadetto, piacque così al Re, come al Conte avolo di D. Maria, sotto il cui baliato era, di preferir D. Pietro a molti altri Titolati di Spagna, che la pretendevano. Per queste nozze prese egli il titolo di Marchese di Villafranca, ed il possesso dello Stato, con gran contento de' suoi vassalli, sperimentando un governo assai prudente e giusto, dando egli con ciò i primi saggi quanto nell'arte del governare fosse espertissimo. Non molto da poi fugli conferita dal Re una Commenda di S. Giacomo, di rendita di 6000 ducati l'anno, sotto la qual Religione visse tutto il tempo di sua vita. Essendosi poi mandato dal Re Cattolico il Duca di lui padre per Capitan Generale del suo esercito alla conquista del Regno di Navarra, vi andò anche il Marchese, e prese soldo del Re, militando sotto i suoi stipendj insino che rotto e discacciato Giovanni Albret, non fosse il Regno dal Duca conquistato: nella quale espedizione diede saggio il Marchese del suo valore, e fece conoscere, che non meno nell'arte del governo, che militare era peritissimo.

Morto il Re Cattolico, nacquero rumori in Ispagna, pretendendo, come si disse nel precedente libro, alcuni Signori di non accettar Carlo Arciduca d'Austria suo nipote per Re, vivendo ancora la Regina Giovanna sua madre, ma ben riceverlo per Principe e successore del Regno dopo la morte di quella. Ma quietanto questo rumore con certe condizioni, ed essendo stato da poi Carlo eletto Imperadore per morte di Massimiliano suo avolo, nacquero, come si disse, altri rumori ne' Popoli di Spagna, molti de' quali tumultuando per quelle illicite esazioni, che facevano alcuni Ministri Fiamenghi, che l'Imperadore avea seco portati da Fiandra, presero l'armi, ma rotti e castigati i Capi del tumulto, finirono i rumori. Nelle quali fazioni il Marchese, seguendo l'orme del Duca suo padre, prestò all'Imperadore segnalati servigj; onde avvenne, che fu a Cesare sempre caro e sommamente da lui onorato e favorito, e sopra tutti gli altri della sua Corte stimato; in guisa che non lo lasciava da se partire, e ne' suoi viaggi ora di Fiandra, ora d'Italia e d'Alemagna, l'ebbe sempre seco: siccome in quest'anno 1532 seco trovavasi in Ratisbona, quando Solimano già con trecentomila combattenti era entrato nella Servia per soggiogare l'Ungheria, minacciando gli altri suoi Dominj; e l'Imperadore era tutto inteso a resistergli con valida difesa, onde avea scritto a questo fine ad Andrea Doria, già fatto Principe di Melfi, che unisse la sua armata quanto più numerosa potesse, e s'avviasse alla volta di Levante ne' mari di Grecia per assalire le Terre marittime del Turco, acciò divertisse l'impresa d'Ungheria.

Ma poichè, come si disse, quando i Franzesi finirono, cominciarono i Turchi ad inquietar questo Reame, si ebbe nel medesimo tempo avviso, che l'armata del Turco era uscita, e si dubitava, che venisse ad assalire il nostro Regno. Venne ancora a Cesare in questo tempo l'avviso della morte del Cardinal Colonna; onde non mancò di spedire immantinente il Marchese di Villafranca per Vicerè e Capitan Generale del Regno, non men per dargli un tal onore, che per la difesa contro i tentativi del Turco, poichè della sua prudenza e valore era assai ben persuaso. Partì egli subito cavalcando a gran giornate, accompagnandosi con lui Niccolò Antonio Caracciolo Marchese di Vico, che si trovava parimente in Ratisbona, il quale diceva, che dalle cose di Napoli, che ragionarono insieme per via, avea preveduto il rigoroso governo che ei dovea quivi esercitare 1 1 Gior. del Rosso, pag. 85. . Passò per Roma, ove fu accolto da Papa Clemente con molto onore, e giunto a Napoli, fu ricevuto con plauso grande, e con fama di dover governare con gran prudenza e giustizia, e riformare li tanti abusi e le corruttele e le insolenze de' Nobili.

Ritrovò egli il Regno, come si è detto, in istato pur troppo infelice per le precedute calamità: la Città per la peste ed altri infortunj quasi vota di gente e di denari: gli edificj rovinati, i campi deserti, ma sopra tutto la giustizia depressa; onde riputò cominciar dal rialzamento di questa.

CAPITOLO I

D. Pietro di Toledo riforma i Tribunali di Napoli, onde ne siegue il rialzamento della giustizia

Conoscendo questo savio Ministro, che il principal fonte, onde deriva il riposo de' Popoli, sia quando fra quelli la giustizia venga ugualmente a tutti distribuita, e non potendosi quella a dirittura amministrar da' Re, sian questi forzati d'esercitarla per mezzo de' loro Ministri: il primo passo che diede fu di chiamarsi a se li Consiglieri del Re, e tutti gli altri Magistrati ed Ufficiali di giustizia, incaricando loro, che avessero la giustizia sempre innanzi agli occhi: alla retta amministrazione di quella fossero rivolti tutti i loro pensieri: la distribuissero a tutti senza umani rispetti, non per favore, non per odio, ma unicamente per Dio, e per maggior servizio del loro Re.

A questo fine per maggiormente accertarsi del frutto delle sue ammonizioni, non fidandosi di niuno, dava udienza ogni giorno a tutti con grandissima attenzione, volendo egli sentire e conoscere cosa per cosa: per la qual via ebbe tosto notizia de' difetti degli ufficiali, li quali sicuri, che non vi sarebbe cosa, che al Vicerè non fosse nota, alcuni emendandosi per se medesimi, si riducevano a buona vita, altri, ciò trascurando, ne erano ammoniti, ed altri aspramente ripresi, ed alcuni anche deposti dalle loro cariche.

Ritrovò, che intorno al punire i delinquenti, era di molto impedimento il favor de' grandi Baroni e Nobili della Città, li quali, o importuni tosto correvano a dimandargli grazia, ovvero, usando della lor potenza, minacciavano i Giudici perchè li liberassero: fece per ciò lor sentire, che cessassero di tentar simili cose, perchè con lui non varrebbe ad essi nè il favore, nè le minacce. E perchè maggiormente se n'accertassero, volle con un grande ed illustre esempio porre in esecuzione questa sua deliberazione, nella giustizia che fece fare del Commendator Gio. Francesco Pignatelli il quale, ancorchè reo di molti delitti, nulladimanco per essere di gran parentado, e da molti Signori favorito, avea tenuto gran tempo impedita l'esecuzion della giustizia, i poveri offesi, ed i querelanti con minacce oppressi; il che inteso dal Vicerè, diede sicurtà a' querelanti, ed a' Giudici, che procedessero con libertà; tanto che sentenziato a morte, gli fu fatto mozzar il capo nel largo del Castel Nuovo, luogo solito a giustiziarsi i Nobili ne' casi importanti. Lo stesso accadde al secondo Conte di Policastro e ad un cittadino molto ricco, e ben imparentado, nomato Mazzeo Pellegrino, il quale per forza di denari teneva occultate le querele, perseverando ne' delitti; ma con tutto che avesse offerte somme esorbitantissime per comporsi, non fu l'offerta ricevuta, e condannato a morte, lo fece con molto rigore giustiziare.

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