Pietro Giannone - Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8
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Fu dal Toledo trattenuto l'Imperadore in Napoli in continue feste, giuochi, tornei, giostre e conviti. La Città si vide ornata allora di personaggi assai illustri; oltre i Signori spagnuoli, il Duca d'Alba ed il Conte di Benevento e gli altri Signori e Principi del nostro Regno, i Capitani più famosi e gli altri forastieri di conto, che vennero ad inchinarsi a Cesare, il Duca d'Urbino, il Duca di Fiorenza, Pier Luigi Farnese, figliuolo di Paolo III, quattro Ambasciadori de' Vineziani e D. Ferrante Gonzaga Principe di Molfetta. Ci vennero ancora in quest'occasione li Cardinali Caracciolo, Salviati e Ridolfi, e vi saria anche venuto il Cardinale Ippolito de' Medici, se per strada non moriva in Itri; e trovossi ancora in quel tempo in Napoli D. Francesco da Este Marchese della Padula. Ma ciò, che la rendeva più augusta e superba, fu l'adunamento in quest'occasione delle più illustri Dame, fregiate della più rara beltà e d'altre eccellentissime doti e maniere. Eravi D. Maria d'Aragona Marchesa del Vasto, donna di singolar bellezza, di real presenza, e d'ingegno e di giudicio incomparabile, e quasi al par di lei D. Giovanna d'Aragona sua sorella moglie d'Ascanio Colonna: D. Isabella Villamarino Principessa di Salerno: D. Isabella di Capua Principessa di Molfetta moglie di D. Ferrante Gonzaga: la Principessa di Bisignano: D. Isabella Colonna Principessa di Sulmona: D. Maria Cardona Marchesa della Padula moglie di D. Ferrante da Este: D. Clarice Ursina Principessa di Stigliano: la Principessa di Squillace: D. Roberta Caraffa Duchessa di Maddaloni, sorella del Principe di Stigliano: D. Dorodea Gonzaga Marchesa di Bitonto: D. Elionora di Toledo figliuola del Vicerè; e molte altre grandi Signore e Titolate del Regno. Eravi ancora la famosa Lucrezia Scaglione, la quale ancorchè non titolata per la sua estrema bellezza, audacia e valore, era sopra tutte le altre commendata.
Ma mentre l'Imperadore in continui conviti e giuochi si sollazzava in Napoli, gli venne avviso della morte di Francesco Sforza Duca di Milano, il quale non avendo di se lasciati figliuoli, decaduto il Ducato all'Imperadore, mandò Antonio di Leva a prenderne il possesso, creandolo Governadore di quello Stato. Ciò che fe' accelerare nuove cagioni di disgusto e di rinovar nuove guerre, e contese con Francesco I Re di Francia, il quale avuto anch'egli l'avviso di questa morte, immantenente avea data commessione al suo Ambasciadore che teneva presso l'Imperadore, di dimandare a Cesare da sua parte il Ducato di Milano per doversene investire il Duca d'Orleans: di che turbato l'Imperadore, nè dandogli risposta aggradevole, intese poco da poi, che il Re di Francia trattava di movergli guerra; e di vantaggio, che oltre la pretensione promossa per lo Ducato di Milano, avea protestata la guerra al Duca di Savoia, suo Cognato, con disegno d'invadere il Piemonte; ed ancorchè apparentemente in Napoli non si tralasciassero le feste ed i conviti, nientedimeno non mancava l'Imperadore di pensar seriamente alla guerra, che fra breve avrebbe dovuto fare contra a quel Re: ed a disporsi a partire da Napoli per Lombardia, ed altrove, dove cose maggiori lo richiamavano.
§. II. Il Marchese del Vasto, ed il Principe di Salerno con altri Nobili procurano la rimozione del Toledo dal governo del Regno
Ma nella fine di quest'anno si cominciarono a stringere e palesare le negoziazioni, che finora s'eran tenute occulte, del Marchese del Vasto, e del Principe di Salerno, con altri Nobili contra il Vicerè per farlo rimovere dal governo di Napoli. Questo concerto erasi maneggiato fin da che Cesare era in Sicilia, e nel viaggio, tanto il Marchese, quanto il Principe non mancarono di far efficacemente le parti loro, con dipingere il suo governo per troppo aspro e rigoroso, e non confacente a quel Regno, insinuandogli che dovesse levarlo; ma questi ufficj niente valsero, sapendo Cesare onde veniva la cagione di tal odio, e di quelli n'era stato anche ben avvisato il Toledo; poichè giunto l'imperadore a Napoli, veduto il Vicerè, narrasi, che gli dicesse: Siate il ben trovato Marchese; e vi fo sapere, che non state tanto grasso, come mi è stato detto . Al che sorridendo il Vicerè facetamente rispondesse: Signore, io so bene che V. M. abbia inteso, che io sia divenuto un mostro, però non son tale . Non tralasciarono ancora di muovere alcuni popolari, perchè col pretesto di due gabelle imposte, e del suo rigore, chiedessero a Cesare, che lo rimovesse; ed aveano già tirato dal lor canto Gregorio Rosso , Eletto del Popolo, il quale perciò ne' suoi Giornali non molto favorisce il Toledo, e non mancò di far le parti sue; poichè egli stesso racconta, che ai 26 novembre di quest'anno 1535 fu fatto chiamare dall'Imperadore, da cui fu domandato delle condizioni del Popolo Napoletano, e che cosa avrebbe potuto fare in beneficio del medesimo. La sua risposta fu, ch'era fedelissimo, ed amantissimo della sua Corona, e che per mantenerlo soddisfatto e contento non ci bisognava altro, che mantenerlo abbondante, senza angaria, e che ogni uno mangi al piatto suo, con la debita giustizia, e che stava per ultimo assai risentito e disgustato, per le nuove gabelle poste dal Vicerè. Questa giunta, com'egli stesso dice, fu cagione, che il giorno seguente fosse levato d'Eletto, e rifatto in suo luogo Andrea Stinca Razionale di Camera, persona dipendente dal Vicerè.
Ma non perciò s'arrestarono i suoi rivali. Nel principio del nuovo anno 1536, Carlo per ricavar qualche frutto dalla sua venuta in Napoli, fece agli 8 di quel mese intimare un Parlamento nella Chiesa di S. Lorenzo, ove in sua presenza ragunati i Baroni e gli Ufficiali del Regno, espose egli di sua propria bocca i bisogni della Corona, e che per sicurezza del Regno e per le nuove guerre, che se gli minacciavano dal Turco e dal Re di Francia, bisognava sovvenirlo. Il giorno seguente ragunati di nuovo i Baroni, conchiusero in onore di Cesare, senza misurar le forze del Regno, più tosto per vanità e fasto, che per altro, di fargli un donativo di un milione e cinquecentomila ducati, donativo in niun tempo, nè in Napoli, nè altrove, giammai inteso e così sorprendente, e di somma cotanto immensa ed esorbitante, che l'istesso Cesare, vedendo l'impossibilità dell'esazione, bisognò, che loro facesse grazia di rimetterne ducati cinquecentomila, e contentarsi d'un milione 10 10 Privil. et Capit. di Nap. fol. 103 a ter. Tasson. De Antef. vers. 4 observ. 3 num. 27.
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Si giuntarono spesso i Deputati in San Lorenzo per trovare il modo della soddisfazione, e si determinò, che dovessero pagare i Baroni tre adoe, ed il rimanente i popolari. Parimente s'unirono per consultare quali altre nuove grazie e privilegi dovessero, in ricompensa di tanta profusione, cercare a Cesare. Se ne concertarono molte, e perchè questa Deputazione era maneggiata da Nobili, si pensò con tal opportunità chiedere a Cesare la remozione del Vicerè. Ma perchè dimandandogliela alla svelata, oltre al poco decoro del Ministro, eran certi di riceverne una ripulsa; fu proposto fra le cose principali, di dimandare in grazia all'imperadore di far rimuovere tutti i Ministri, così maggiori, come minori, per includervi con ciò anche tacitamente il Vicerè. A questa proposizione per se stessa imprudentissima, ancorchè vi concorressero la maggior parte de' Deputati Nobili, si opposero il Duca di Gravina, il Marchese della Tripalda, Cesare Pignatello e Scipione di Somma. Ma sopra tutti fortemente ripugnarono Andrea Stinca Eletto del Popolo, e Domenico Terracina, che, per essere stato Eletto negli anni precedenti, era stato fatto anche Deputalo del Popolo. Per ciò non si conchiuse niente, e furonvi gravi contese tra 'l Marchese del Vasto e Scipione di Somma, che vennero fra di loro sino a parole ingiuriose e piene di contumelie 11 11 Giorn. del Rosso, pag. 129 et 130.
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