Pietro Giannone - Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9
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CAPITOLO III
Di D. Emmanuele di Gusman Conte di Monterey ; e degl'innumerabili soccorsi, che si cavarono dal Regno di gente e di denaro in tempo del suo Governo
Cominciò il Conte di Monterey ad amministrare il Regno con funeste apparenze, che diedero presagi d'un calamitoso governo: nella Villa del Vomero diede una donna alla luce un mirabil mostro: una spaventosa Cometa comparsa ne' principj di settembre di quest'anno diede a molti terrore; ma i tremuoti, le orribili errutazioni, le orride nubi, gli spaventosi torrenti di fuoco, le orrende piogge di cenere, che dalla notte de 15 di dicembre avea il Monte Vesuvio cominciato a spandere, non solo empiè la città ed il Regno di spavento e d'orrore, ma presagirono altri mali e nuove calamità. Vomitò il Monte fiamme con tanto empito e con tale spavento, che Napoli temè, o d'abissarsi ne' tremuoti, o di seppellirsi nelle ceneri. Lo scuotimento abbattè edificj, arrestò il corso a' fiumi, rispinse il mare ed aprì le montagne. Esalarono in fine con oppositi ed orribili effetti acque, fiamme e ceneri, dalle quali non solo restarono oppressi alcuni luoghi vicini, ma si temè, che levato il respiro dell'aria, non fosser tutti per soffocarsi. Ma placato il Cielo dalle pubbliche penitenze, spirò tal vento dalla parte avversa, che le portò a cadere oltre mare fin'a Cattaro, ed altri luoghi dell'Albania e della Dalmazia; e consumato in fine nelle viscere della Terra il sulfureo alimento, il fuoco s'estinse.
Ma non s'estinsero in noi le calamità maggiori, che ci cagionavano le guerre d'Italia. Il Conte Duca più famoso che fortunato, per gl'infelici successi delle arme Spagnuole in Lombardia, vedeva che i Ministri di quella Monarchia avevano perduta in Italia quell'autorità, che solevan prima godervi fino a tal segno, che sovente con imperiosi modi comandavano al Duca stesso di Savoia, che disarmasse. Ora li Franzesi eransi cotanto intrigati negl'interessi di quella, che avendosi resi dipendenti il Duca di Savoia per lo freno di Pinarolo, il Duca di Mantua per la custodia di Casale e del Monferrato, e gli altri Principi, chi per inclinazione, e chi per profittare, aveano posto in bilancia tra la corona di Spagna e la franzese l'Italia. Si credeva eziandio, che il Pontefice Urbano VIII per l'antiche parzialità verso la Corona franzese, per esservi stato Nunzio, e per essere compare del Re, pendesse dalla sua parte, e traversasse gl'interessi degli Austriaci; e ne diede non oscuri indizi, per vedersi il Cardinal Antonio Barberino suo nipote aver con ricche pensioni accettata la protezione di quel Regno; e dicevasi, che il Papa, quando entrarono gli Alemani in Mantova, avesse chiesto a' Cardinali soccorso per discacciarneli: e che nelle angustie maggiori, che soffriva la Religione in Germania, oppressa dagli Eretici, e calpestata dalle armi del Re di Svezia, non si fosse egli mosso, ancorchè in nome del Re Cattolico ne gli fossero state fatte in pubblico Concistoro dal Cardinal Borgia premurose istanze. S'aggiungevano le male soddisfazioni, che ricevevano in Roma i Ministri di Spagna, le quali ridussero il Cardinal Sandoval a partirsi mal soddisfatto da Roma, e ritirarsi in Napoli.
Per ciò gli animi de' Ministri spagnuoli erano pregni d'acerbi disgusti e di gravi pensieri, intendendosi esagerazioni frequenti del Conte Duca , che non sarebbe mai per godersi la pace, se non si restituisse l'Italia nell'esser di prima. A tal fine fu deliberato, che il Cardinal Infante fratello del Re passasse a Milano, per di là trasferirsi al suo Governo di Fiandra; ed a comandare nuovi apparati di guerra, ed in particolare al Regno di Napoli, che provvedesse di danaro, ammassasse gente, ed allestisse legni.
Per far argine alle male inclinazioni del Pontefice, di cui erasi sparsa voce, che avesse spedito buon numero di soldati alle frontiere del Regno, bisognò al Vicerè, che mandasse a' confini mille e cinquecento cavalli sotto il comando d'Annibale Macedonio, Marchese di Tortora; e che per fornire il Regno di nuove soldatesche comandasse a tutti i Baroni e Terre demaniali, che somministrassero buon numero di soldati.
Da questi disgusti, che passavano colla Corte di Roma, nacque a questi tempi qualche rialzamento della regal Giurisdizione, presso noi quasi che depressa; poichè la Corte di Madrid, per vendicare i disgusti co' disgusti, spedì a Roma il Vescovo di Cordova, e Giovanni Chiumazzero in qualità di Commessarj, per richieder riforma di molti abusi, che la Dataria di Roma avea introdotti in Ispagna, onde si portavano grandi aggravj a quel Regno 23 23 Nani Istor. Ven. lib. 9.
, de' quali avevan fatto lungo catalogo, e con una dotta scrittura 24 24 Memorial de S. M. C. que dieron a nuestro muy S. P. Urbano P. VIII. D. Fray Domingo Pimentel Obispo de Cordova, y D. Juan Chumacero, y Carillo, etc. en la embajada, a que vinieron en el an. de 633.
, rispondendo ancora ad un'altra, fatta per ordine del Papa da Monsignor Maraldi Segretario dei Brevi, li giustificavano per abusivi e intollerabili; e si stimava, che tenessero segrete istruzioni di chiedere un Concilio, ed angustiare il Pontefice con minacce e con moleste dimande 25 25 Nani loc. cit.
. Di che accortosi Urbano, pensò con frapporre lunghezza di render vani i disegni; poichè negando in prima d'ammetterli col titolo di Commessarj, dicendo, che ciò pareva che significasse certa giurisdizione ed autorità, stancò tra queste, ed altre difficoltà e lunghezze in modo il negozio ed intiepidì anche il Vescovo con isperanza di maggior dignità, che il Re accortosene lo richiamò, e conferito al Chiumazzero il titolo d'Ambasciadore, mentre col tempo si mitigava il bollore degli animi, e per l'avversità de' successi si piegava dagli Spagnuoli sempre più alla sofferenza, svanì da se stesso il negozio.
Ma intanto fra noi, animati da questi disgusti il Vicerè ed i Regj Ministri, non tralasciavano, ne' casi che occorrevano, di procedere con fortezza e vigore; poich'essendo stato con modi barbari e crudeli ucciso da alcuni Preti il Governador della Sala fratello del Consigliere D. Francesco Salgado, ancorchè Francesco Maria Brancaccio Vescovo di Capaccio, sotto la cui Diocesi si comprende la Sala, ne avesse presa di ciò conoscenza, con aver condennati alcuni degli uccisori in galea; nulladimanco riputandosi ciò troppa indulgenza ad un così scandaloso ed enorme delitto, per la qualità e carattere dell'ucciso; il Vicerè spedì una compagnia di Spagnuoli nella Sala, dove coll'alloggio a discrezione, trattarono, alla rinfusa così Preti come laici, malamente que' Cittadini: di che avendone voluto far risentimento il Vescovo con monitorj, fu il di lui fratello D. Carlo Brancaccio mandato prigione in Castello, ed egli fu costretto sgombrar dal Regno, e girsene in Roma. Ciò che gli riuscì di maggior favore; poichè mentre trattenevasi nella Corte del Papa angustiato dalle spese e da' debiti, entrato in somma grazia del Cardinal Antonio nipote del Papa, fu per esempio degli altri (affinchè si mostrassero sempre forti nella difesa della giurisdizion Ecclesiastica, con la speranza d'esserne ben premiati) nel Concistoro de' 20 novembre dell'anno 1633 promosso, senz'aspettarlo, al Cardinalato; e per aggiungerci maggior onta e disprezzo, gli fu dal Papa conferito l'Arcivescovado di Bari, e rimandato nel Regno per prenderne la possessione. Ma il Vicerè di ciò fortemente crucciato, al suo arrivo, in vece del possesso, gli fece apprestare una Galea, perchè tosto ritornasse in Roma, nè mai più nel Regno capitasse; di che il Papa fecene gran romore, e ne ricevè sommo dispiacere: a' quali disgusti se ne aggiunsero poco da poi altri, perchè dalle genti di Corte fu fatto uccidere in Pozzuoli un Canonico di quella Chiesa: e trovandosi nelle carceri di Vicaria un ribaldo, che pretendeva, per essersi estratto dalla Chiesa di S. Giovanni a Mare, esser in quella riposto; mentre si disputava dell'articolo della reposizione, commise un nuovo delitto nelle carceri stesse, onde il Vicerè la notte de' 19 di aprile del 1633 lo fece morire su le forche, che fece piantare davanti al Palagio della Vicaria, poco curando le istanze e le censure, che l'Arcivescovo fece lanciare contra coloro, che il fecero imprigionare.
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