Pietro Giannone - Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9
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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9: краткое содержание, описание и аннотация
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Anche gli Sbanditi in molte parti del Regno facevan guasti terribili; tanto che bisognò al Vicerè che vi spedisse D. Ferrante di Ribera suo figliuol naturale con titolo di Vicario Generale di tutto il Regno, e con tutta l'autorità, che in lui risedeva, a fin di sterminarli e di visitar le Fortezze. I tremuoti, che si fecero sentire a' 2 aprile di quest'anno 1630, posero ancora gran timore e spavento: ma assai maggiori furono i timori, che s'avevano della peste, che in Lombardia faceva stragi crudeli, e che manifestossi più volte ne' confini del Regno. S'aggiunse eziandio la voce sparsa, che camminassero per l'Italia alcuni infami, li quali inventando nuove fogge di morte, proccuravano con peste manufatta estinguere, per quanto potevano, il genere umano, avvelenando l'acque per le Chiese e per le strade, ed in cotal guisa andavano spargendo la contagione. Se ben l'immaginazione de' popoli, alterata dallo spavento, molte cose si figurava; ad ogni modo il delitto fu scoperto, e punito, stando ancora in Milano l'iscrizioni, e le memorie degli Edificj abbattuti, dove que' mostri si congregavano 22 22 Nani Ist. Ven. lib. 8 ann. 1631.
; laonde fu ordinato per tutto il Regno, che si facessero diligentissime guardie, e che non si permettesse far entrar persona alcuna, senza le debite fedi di sanità.
In tale costernazione trovandosi il Regno, ogni cosa andava in perdizione. La poca giustizia, che s'amministrava ne' Tribunali, e le sordidezze d'alcuni Ministri, costrinsero il Vicerè ed il Visitator Alarcone con ordine della Corte, di sospenderne alcuni. Gli Avvocati si congiurano e non vogliono esporsi all'esame ordinato dal Re e s'astengono d'andare a Tribunali; ed i Ministri senz'alcuna difesa votano le cause; onde fu costretto il Vicerè usar contra essi rigore, perchè ripigliassero il lor mestiere La Regal Giurisdizione, posta a terra, dà sommo adito agli Ecclesiastici di maggiormente insolentire, ed il presente Duca d'Alcalà, troppo diverso dall'altro suo predecessore, gli soffre e non ne prende severo castigo, ma usando piacevolezza, vie più gli rende insolenti; siccome chiaramente si vide a quel che accade all' Auditor Figueroa . Avea il Duca d'Alba mandato certo Spagnuolo con sua commessione ad eseguire i beni d'alcuni di Nicotera, siccome eseguì; ma fatta l'esecuzione, pretendendosi, che fra le robe eseguite ve ne fossero alcune appartenenti al Vescovo, fu da costui il Commessario di propria autorità fatto carcerare. All'attentato commesso a fin di ripararlo, si mosse il Preside della Provincia a mandar l'Auditor Figueroa in Nicotera, affinchè lo sprigionasse; ma il Vescovo intanto avealo fatto trasportare altrove in sicura custodia: onde giunto quel Ministro in Nicotera e fatte gittar a terra le porte delle prigioni, rimase deluso, non trovandovi dentro persona alcuna; e non bastando al Vescovo d'averlo così schernito, per l'ardir usato di rompere le carceri, lo scomunicò, e ne affisse i cedoloni. Il Figueroa niente curando tali fulmini, ch'ei riputava senz'alcuna ragione essersi scagliati, e per ciò da non temersi, non pensò nemmeno farsene assolvere; ma passato l'anno della censura, si vide citato a dire ciò, che sentiva della Fede Cattolica: non curò pure il Figueroa tal citazione; ma passato un altro anno, si vide, che l'Inquisizione di Roma gli avea fabbricato un processo e con solenne sentenza lo dichiarò eretico. Forse di ciò nemmeno se ne sarebbe egli molto curato; ma gl'Inquisitori di Roma, fatto questo, mandarono ordini precisi a Monsignor Petronio Vescovo di Molfetta, che si tratteneva ancora in Napoli con carattere di Ministro del S. Ufficio, che in tutte le maniere lo imprigionasse. Il Vescovo Inquisitore, senza darne notizia al Vicerè, e senza richieder da quello l' Exequatur Regium agli ordini venutigli da Roma, chiamati a se tutti i Cursori dell'Arcivescovo e del Nunzio, co' quali avea concertata la carcerazione, saputo che il Figueroa soleva trattenersi dentro il Convento di S. Luigi de' PP. Minimi, poco prezzando la riverenza del luogo, e molto meno d'esser così vicino al Palagio Regale, comandò loro, che andasser tosto ad arrestarlo. Un attentato così enorme commesso in faccia al Principe, ed una carcerazione così strepitosa fatta innanzi a' suoi occhi, mosse il Vicerè a mandar subito una compagnia di Spagnuoli per reprimer tanta arroganza, li quali avendo posto in libertà il Figueroa lo condussero nel Regal Palagio. In altri tempi si sarebbe di ciò fatto altro risentimento, e si sarebbero severamente puniti gli autori d'un sì scandaloso insulto; ma assembratisi i Regj Ministri, non fu risoluto altro, che di disarmare tutta la famiglia dell'Arcivescovo, del Nunzio e dell'Inquisitore; onde in una notte fur tolte le armi a tutte le Corti Ecclesiastiche, nè contra il Vescovo Inquisitore si procedè a castigo. Tanta moderazione nè pure bastò, perchè Roma si quietasse, la quale profittandosi del tempo, fece di questa esecuzione un rumor grandissimo, spedendo monitorj e censure contra gli esecutori e tutti coloro, che l'aveano consigliata e comandata: ciò che intorbidò alquanto le feste, che si stavano celebrando allora in Napoli per la natività del Principe D. Baldassar Carlo primogenito del Re Filippo IV, il quale fece poi cessar tutti i timori, con una sua regal carta, che mandò al Vicerè, nella quale approvando ciò ch'erasi fatto, comandò, che gli ordini del S. Ufficio di Roma non s'eseguissero affatto nel Regno, senza saputa del Vicerè, e senza sua permissione.
Mentre, per la partita della Regina Maria, il Duca d'Alcalà avea ripreso con maggior libertà il governo del Regno, vennegli avviso, che il Duca d'Alba per molte accuse fattegli alla Corte circa il trattamento fatto alla Regina, avea ottenuto, che fosse colà chiamato. Ma non furon tanto le imputazioni fattegli per ciò alla Corte, che lo rimossero, quanto che il Conte Duca , per cui si reggeva la Monarchia, volendo gratificare il Conte di Monterey Ambasciadore del Re in Roma, a lui doppiamente congiunto in parentado, per tenere il Monterey una sua sorella per moglie, ed il Conte Duca parimente erasi ammogliato con una sorella del Monterey, ricevè volentieri le accuse fatte all'Alcalà, perchè potesse servirsene di spezioso pretesto. E per non amareggiare cotanto il Duca, con grave dispendio del Re, comandò, che il Duca d'Alcalà venisse a giustificarsi in Corte de' carichi, che gli s'adossavano, non intendendosi per ciò privato del Governo, e che per ciò gli corresse il soldo di ventiquattromila ducati l'anno; e che in sua assenza andasse a governar il Regno il Conte di Monterey, al quale corresse per ciò lo stipendio di soli ducati dodicimila l'anno, come interino . Ma il Duca non vi tornò mai più, se non quando fu per passar al Governo della Sicilia; ed il Conte, ch'era interino, vi stette sei anni. Così postergato il servigio del proprio Principe, per privati interessi del Favorito, fu a noi tolto il Duca d'Alcalà, il quale, partito da Napoli ai 13 maggio di quest'anno 1631, diede luogo al Monterey, che da Roma fin da' 17 d'aprile erasi portato in Napoli, trattenendosi intanto in Chiaja nel palagio del Marchese della Valle, insino alla partita del suo predecessore. Lasciò il Duca di se un grandissimo desiderio, ed un rammarico a' Napoletani, che sentirono al vivo le calunniose imputazioni fattegli in Corte. Egli ci lasciò dodici Prammatiche tutte savie e prudenti: fu terribile contra gli sbanditi e loro ricettatori: vietò alle Piazze di Napoli ed alle Comunità tutte del Regno, di assegnar salarj, o far donazioni, anche per causa pia, senza precedente assenso e licenza del Vicerè: riformò i Regj Studi, e comandò, che non si fosse dispensato all'età necessaria per ascendere al grado del Dottorato: fece molte ordinazioni attenenti all'ufficio di Commessario Generale di Campagna; e diede altri savi provvedimenti, che si additano nella Cronologia prefissa al primo tomo delle nostre Prammatiche.
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