Alessandro Manzoni - Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2

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Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2: краткое содержание, описание и аннотация

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Anche a pp. 369-370 del tom. IV delle Opere, Firenze, Le Monnier, 1851, scaglia le sue folgori contro il Manzoni, e trova il Conte di Carmagnola «tragedia senza capo nè coda, e senza quasi nessuno di que' pregi che rendono bella, e di assai malagevole composizione, una tragedia». Riconosce però che «vi ha di be' versi, di belli e profondi concetti, qualche bella parlata; ma nè un atto, nè un'intera scena che corrano bene». Nè lo risparmia nel dialogo: La letteratura classica e la romantica , che si legge a pp. 101-178 del tom. III delle Opere stesse.

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Giornale Arcadico ; tom. XXXII [1828], pp. 366-367.

12

Indicatore Genovese , n.º 11, 9 agosto 1828, Cfr. Mazzini G., Scritti editi e inediti (4.ª edizione); II, 57-61.

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Il Cesari lasciò manoscritti alcuni Pensieri sui Promessi Sposi, che vedranno la luce ne' suoi Opuscoli linguistici e letterari , che sta raccogliendo e ordinando il sig. Giuseppe Guidetti di Reggio dell'Emilia.

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In una lettera del Giordani al Testa, scritta da Milano il 5 novembre 1821, si legge: «Vidi la canzone» [ Il Cinque Maggio ] «del Manzoni; lodata da molti. Non disputo sull'argomento: ognun dice quello che vuole. Ma a me pare (quanto alla frase) che alle volte non abbia saputo dire quel che voleva; e alle volte non so che cosa volesse dire. È bello il suo Inno sulla Risurrezione di Cristo».

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Giordani P., Lettere inedite a Lazzaro Papi , Lucca, tip. di Gio. Baccelli, 1851; pag. 105.

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Il 6 luglio del '32 scriveva a Ferdinando Grillenzoni, a Genova: «Sarà costì il Manzoni; ed ella lo vedrà dal Marchese [ Di Negro ]. Io la prego di ossequiarlo da mia parte; e di scrivermene poi copiosamente». E il 24 del mese stesso: «Mi piace che abbia veduto Manzoni; e la prego di rammentarle una mia veramente affettuosa venerazione; perchè io lo tengo per uomo glorioso e utile all'Italia… Veda un poco se è vero quel che dice quel giornale, che ora Manzoni siasi dato a studi di purismo; e in che forma: e che cosa sta ora lavorando. E veda un poco (ma con garbo) se conosce le cose di Leopardi, e che opinione ne ha». Il 30 gliene tratta di nuovo: «Le ripeterò che bramo di sapere se Manzoni è costì per salute, o per piacere. Desidero che sia per solo piacere. Egli ha la coscienza e l'Europa, che devono rendergli inutili le ammirazioni di tutti i pari miei: ma io confesso che mi fa un vero piacere l'ammirarlo. E prego V. S. d'imprimersi bene in mente i suoi discorsi, per potermene far godere in qualche modo. Io sento un pungente dispiacere di non esser costì, e potere ascoltarlo. Se io fossi capace di fare una Deca di Livio (mi pare dir molto), io cambierei questo piacere col piacere di udir lui. E, per ispalancare il fondo dell'animo mio, ci sono alcuni (non molti) ch'io posso ascoltar volentieri; ma egli è il solo ch'io veramente desidero di potere udire, e in quelle cose ch'io non so, o alle quali non ho pensato; e in quelle nelle quali non penso ora come lui. Egli è il solo (Dio perdonami questa sciocchezza) dal quale io desidererei imparare. Facilmente mi accorderei seco circa i romanzi storici (come si chiaman ora), nè piangerei se il mondo non ne vedesse più. Ma non consento di porre in quel genere i Promessi Sposi ; che mi paiono uno stupendo lavoro Senofonteo, un carissimo e utilissimo lavoro; e ben vorrei che Manzoni (ch'egli solissimo può) ne facesse un secondo. Del resto, la sua sentenza su tutte le finzioni è nobilissima; è degna dell'intelletto giunto al suo equatore; e la ricevo nell'anima; anzi già l'avevo, e mi giova di vederla confermata da lui. Oh mi è ora un vero tormento al cuore non esser costì! Ella mi riverisca tanto, con ogni effusion di sentimento quel Manzoni, che è proprio l'idolo de' miei pensieri. Oh (mi viene in mente) quanto son poco degni di lodarlo certi cervellacci frateschi; come per esempio quel frataccio Niccolò [ Tommaseo ]. Ma di ciò zitto, veda: ch'io non voglio pettegolezzi. Ma se lei come lei potesse destramente sentire che cosa pensa Manzoni di quel sì fanatico e sconvolto cervello, l'avrei caro. E tal gente crede d'avere la religione, la poesia, la filosofia di Manzoni! Ma dov'hanno la sua testa e il suo cuore? Per dio, credo esserne meno lontano io, colla mia impotenza poetica, e la mia piena incredulità. Io gli sono lontano, e io meglio di tutti so il quanto; ma almeno non gli volto le spalle». Il 17 d'agosto rincalza: «Mi riverisca senza fine Manzoni, e molto le sue Signore. Ma è un eccesso di cortesia il dire che a lui abbian potuto in nessun modo giovare le mie parole; perchè io lo vidi troppo poco, a ragione del mio desiderio; e amai molto più (come ancora farei) di ascoltarlo che di parlare; e poco, troppo poco potei goderne, poichè tanti cercavano di occuparlo».

Sei anni dopo, il 27 novembre '38, scrivendo parimente al Grillenzoni, esce a dire: «Compreso Walter Scott, non trovo uno di tanti romanzi, che possa produrre un minimo bene: eccetto l'unico Manzoni; che mi par sempre cosa bellissima e utilissima».

17

All'attrice Maddalena Pelzet, la degna interpetre delle sue tragedie, che era allora a Milano prima donna nella Compagnia Rattopulo, scrisse il 19 febbraio del '29: «Ricordatemi al Bertolotti, alla cui tragedia desidero un esito fortunato: se io fossi, com'egli dice, il primo dei tragici viventi, bisogna dire che si stia male davvero: egli parlerà del Manzoni, le cui tragedie, quantunque non siano per la scena, almeno secondo le nostre abitudini, contengono tante bellezze, che il plauso dell'Europa meritamente lo corona sopra tutti. Voi sapete qual concetto io abbia fatto sempre di questo veramente grand'uomo: ciò che vi scrivo a Milano, ve l'ho detto a Firenze.»

18

In una lettera di Pierfrancesco Leopardi al fratello Giacomo, del 1º giugno '28, si legge: «Avendoci voi scritto una volta che conoscevate il celebre Manzoni, ho pensato di farvi cosa grata col mandarvi una copia dei suoi Inni . Volendo la marchesa Roberti stampare qualche cosa per la monaca Rossi, babbo le propose quest' Inni , e vi fece la dedicatoria. E vi mando questo libro, più perchè leggiate questa, che gl' Inni , perchè m'immagino che lo stesso Manzoni ve li avrà dati a leggere. Fatemi dire in una delle lettere che ci scriverete, dove attualmente si trovi il suddetto Manzoni».

19

Antologia , di Firenze, tom. XXVII, n. 81, settembre 1827, pp. 71-75.

20

Guerrazzi F. D., Manzoni, Verdi e l'Albo Rossiniano, Milano , Tip. Sociale, 1874; p. 73.

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A proposito di questa scatola scrive lo Stampa [II, 87-88]: «Il Manzoni raccontò (e lo udii colle mie orecchie) «ch'egli aveva l'intenzione di lasciar fuori, come superfluo, l'episodio del P. Cristoforo che, chiamati a sè i due sposi, dice loro: Figliuoli! voglio che abbiate un ricordo del povero frate , e dopo di aver data loro la scatola, lavorata con una certa finitezza cappuccinesca , contenente gli avanzi di quel pane , dice loro: Fatelo vedere ai vostri figliuoli. Verranno in un tristo mondodite loro che perdonino sempre, sempre! tutto, tutto! e che preghino anche loro, per il povero frate! Ma per l'appunto il consigliere abate don Gaetano Giudici non gli permise assolutamente quella ommissione, dicendo che era il più bello e commovente episodio del romanzo». Il figliastro gli chiese la ragione di questo taglio che avrebbe voluto fare, e rispose: «Che vuoi!.. a me pareva un di più».

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