Volodyk - Paolini2-Eldest

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«C'è una certa logica» osservò Eragon.

«La nostra missione è due volte difficile, ora. Oggi abbiamo vinto, ma l'Impero è ancora molto più numeroso, e adesso ci troviamo ad affrontare non uno ma due Cavalieri, entrambi molto più potenti di te, Eragon. Credi di poter sconfiggere Murtagh con l'aiuto dei maghi elfici?»

«Forse. Ma dubito che sia tanto sciocco da combattere loro e me insieme.» per lunghi minuti, discussero degli effetti che Murtagh poteva avere sulla loro campagna, e delle strategie per ridurli o eliminarli. Alla fine Nasuada disse: «Basta così. Non possiamo decidere ora, sporchi, stanchi e ottenebrati dalla battaglia. Andate a riposarvi, e riprenderemo il discorso domattina.»

Quando Eragon si volse per andarsene, Arya si avvicinò e lo guardò dritto negli occhi. «Non farti affliggere troppo da questa storia. Tu non sei tuo padre e non sei tuo fratello. La loro infamia non è la tua.»

«Giusto» disse Nasuada. «E non pensare che questo sminuisca la nostra stima nei tuoi riguardi.» Gli prese il viso fra le mani. «Io ti conosco, Eragon. Hai il cuore buono. Il nome di tuo padre non può cambiarlo.»

Eragon si sentì pervadere da un tiepido calore. Guardò una donna, poi l'altra, e infine girò il polso e lo avvicinò al petto, traboccante di gratitudine per la loro amicizia. «Grazie.» Una volta tornati all'aperto, Eragon si pose le mani sui fianchi e trasse un profondo respiro di aria fumosa. La giornata volgeva al tramonto, e lo sgargiante arancio del giorno aveva lasciato il posto a una caliginosa luce dorata che avvolgeva l'accampamento e il campo di battaglia, conferendogli una strana bellezza. «Così adesso lo sai» mormorò Eragon.

Roran si strinse nelle spalle. «Il sangue non mente.»

«Non dirlo» ringhiò Eragon. «Non dirlo mai più.»

Roran lo studiò per parecchi istanti. «Hai ragione; è stato un pensiero orribile. Mi mangerei la lingua.» Si grattò la barba e guardò con gli occhi socchiusi il grande disco del sole che lambiva l'orizzonte. «Nasuada non è quello che mi aspettavo.»

La frase strappò una risata stanca a Eragon. «Quello che ti aspettavi era suo padre, Ajihad. Ma lei è abile quanto lui, se non di più.» «La sua pelle è tinta?»

«No, è il suo colore naturale.»

In quel momento, Eragon avvertì Jeod, Horst e una ventina di altri uomini di Carvahall di affrettarsi verso di loro. Nello svoltare da dietro una tenda, videro Saphira e rallentarono. «Horst!» esclamò Eragon, e corse verso il fabbro per abbracciarlo forte. «Che bello rivederti!»

Horst guardò Eragon a bocca aperta, poi un ampio sorriso gli illuminò il volto. «Che mi venga un colpo se anch'io non sono contento di rivederti, Eragon. Ti sei raffinato, da quando sei partito.»

«Vuoi dire da quando sono fuggito.»

Incontrare i vecchi compaesani fu una strana esperienza per Eragon. Le traversie avevano così alterato alcuni di loro che quasi non li riconosceva. E lo trattavano in maniera diversa, con un misto di rispetto e timore reverenziale. Gli sembrava di vivere un sogno, dove tutto quello che è familiare diventa remoto. Rimase turbato da come si sentiva fuori posto fra di loro.

Quando Eragon arrivò davanti a Jeod, si fermò. «Hai saputo di Brom?»

«Ajihad mi mandò un messaggio, ma vorrei sapere com'è andata da te.»

Eragon annuì con aria grave. «Non appena ne avremo l'occasione, siederemo insieme e parleremo a lungo.» Poi Jeod si avvicinò a Saphira e s'inchinò. «È una vita che aspetto di vedere un drago, e adesso in una sola giornata ne ho visti due. Sono davvero fortunato. Tuttavia sei tu il drago che volevo conoscere.»

Chinando il collo, Saphira sfiorò Jeod sulla fronte. L'uomo rabbrividì al contatto. Ringrazialo da parte mia per aver contribuito a salvarmi da Galbatorix. Altrimenti sarei ancora a languire nella stanza del tesoro del re. Era amico di Brom, e quindi è nostro amico.

Dopo che Eragon ebbe ripetuto le sue parole, Jeod disse: «Atra esterni ono thelduin, Saphira Bjartskular» sorprendendoli con la sua conoscenza dell'antica lingua.

«Dove eri finito?» chiese Horst a Roran. «Ti abbiamo cercato in lungo e in largo dopo che sei corso a caccia di quei due stregoni.»

«Non importa. Tornate alla nave e fate sbarcare tutti; i Varden ci daranno vitto e alloggio. Stanotte dormiremo sulla terraferma!» Gli uomini esultarono.

Eragon guardò con interesse come Roran impartiva ordini. Quando alla fine Jeod e i compaesani si furono allontanati, Eragon disse: «Si fidano di te. Perfino Horst ti obbedisce. Parli a nome di tutta Carvahall, adesso?» «Sì.»

Le tenebre avanzavano cupe sulle Pianure Ardenti quando giunsero alla piccola tenda a due posti che i Varden avevano assegnato a Eragon. Poiché Saphira non poteva nemmeno

infilare la testa nell'apertura, si accovacciò sul terreno lì fuori e si preparò a fare la guardia.

Non appena avrò recuperato le forze, mi occuperò delle tue ferite, le promise Eragon.

Lo so. Non restare alzato fino a tardi, stanotte.

All'interno della tenda, Eragon trovò una lanterna a olio che accese con l'acciarino e la pietra focaia. Poteva vederci benissimo al buio, ma Roran aveva bisogno della luce.

Si sedettero l'uno di fronte all'altro: Eragon sulla branda accostata a un lato della tenda, Roran su uno sgabello che trovò in un angolo. Eragon non sapeva come cominciare, così rimase in silenzio, fissando la fiamma tremula della lanterna.

Nessuno dei due si muoveva.

Dopo interminabili minuti, Roran disse: «Dimmi com'è morto mio padre.»

«Nostro padre.» Eragon rimase calmo quando l'espressione di Roran si indurì. Con voce gentile, disse: «Ho diritto di chiamarlo padre quanto te. Guarda nel tuo cuore; lo sai che è vero.»

«D'accordo. Nostro padre. Com'è morto?»

Eragon aveva raccontato l'episodio diverse volte, ma in questa occasione non nascose nulla. Invece del solito elenco di eventi, descrisse quello che aveva pensato e provato da quando aveva scoperto l'uovo di Saphira, nel tentativo di far capire a Roran perché aveva fatto quello che aveva fatto. Non era mai stato così in ansia prima. «Ho sbagliato a tenere nascosta Saphira al resto della famiglia» concluse Eragon, «ma temevo che avreste insistito perché la uccidessi, e non mi rendevo conto del pericolo in cui ci metteva tutti. Se lo avessi fatto... Dopo che Garrow morì, decisi di andarmene per rintracciare i Ra'zac, e per evitare di mettere ancora Carvahall in pericolo.» Gli sfuggì una risata amara. «Non ha funzionato, ma se fossi rimasto, i soldati sarebbero arrivati prima. E allora chi può sapere che cosa sarebbe successo? Forse sarebbe arrivato lo stesso Galbatorix a far visita alla Valle Palancar. Io posso essere la ragione per cui Garrow... papà... è morto, ma non è mai stata mia intenzione, come non avrei mai voluto che tu o gli altri abitanti di Carvahall soffriste per le mie scelte...» Fece un gesto di disperata impotenza. «Ho fatto meglio che ho potuto, Roran.»

«E il resto? Brom che era un Cavaliere, il salvataggio di Arya a Gil'ead, l'uccisione di uno Spettro nella capitale dei nani... è tutto successo davvero?»

«Sì.» A grandi linee, Eragon tracciò il quadro completo di quanto gli era capitato da quando era fuggito con Brom, compreso il suo soggiorno a Ellesméra e la sua trasformazione durante l'Agaeti Blòdhren.

Chinandosi in avanti, Roran appoggiò i gomiti sulle ginocchia, si strinse le mani e fissò il terreno fra i piedi. Era impossibile per Eragon decifrare le sue emozioni senza toccargli la mente, cosa che decise di non fare perché sapeva che sarebbe stato un terribile errore invadere l'intimità di Roran.

Roran rimase in silenzio così a lungo che Eragon cominciò a chiedersi se avrebbe mai parlato. Poi: «Hai commesso degli errori, ma non più grandi dei miei. Garrow è morto perché hai tenuto nascosta Saphira. Molti sono morti perché mi sono rifiutato di consegnarmi all'Impero... Siamo ugualmente colpevoli.» Alzò lo sguardo, poi lentamente tese la mano destra. «Fratello?»

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