Volodyk - Paolini2-Eldest

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«Merletti?» balbettò Orrin.

«Esatto, sire.»

«Ma non puoi combattere Galbatorix con i merletti!»

«Perché no, sire?»

Orrin esitò un momento, poi ringhiò: «Perché... perché non è decoroso, ecco perché. Quale bardo si sognerebbe mai di comporre un poema epico sulle nostra gesta e scrivere di merletti?»

«Non combattiamo perché le nostre gesta siano lodate nei poemi epici.»

«Al diavolo i poemi epici! Come dovrei rispondere alla protesta della gilda? Vendendo i tuoi merletti a un prezzo così basso, tu danneggi la vita del mio popolo e pregiudichi la nostra economia. Non è giusto. Non è affatto giusto.» Con un sorriso sempre più accattivante e gentile, Nasuada usò il suo tono più mellifluo per rispondere: «Oh, mio caro sire. Se per le tue finanze è un fardello troppo grave, i Varden saranno più che disposti a offrirti un prestito per la generosità che ci hai dimostrato... a un equo tasso d'interesse, s'intende.»

Il Consiglio degli Anziani riuscì a stento a mantenere un contegno, ma alle spalle di Nasuada, Elva ridacchiò divertita.

Lama rossa, lama bianca

Nel momento stesso in cui il sole comparve oltre l'orizzonte di alberi, Eragon riportò il respiro alla normalità, accelerò i battiti cardiaci e aprì gli occhi, tornando alla piena coscienza. Non si era propriamente svegliato dal sonno, perché dalla sua trasformazione non dormiva più. Quando si sentiva stanco e si stendeva per riposare, entrava in una sorta di veglia sognante. Aveva molte visioni meravigliose e camminava fra le ombre grigie dei propri ricordi, pur restando consapevole di quanto lo circondava.

Guardò il sorgere del sole e pensò ad Arya; erano due giorni, dalla fine dell'Agaetì Blòdhren, che non faceva altro. La mattina dopo la celebrazione, era andato a cercarla nel Palazzo di Tialdari - con l'intenzione di scusarsi per il proprio comportamento - ma aveva scoperto che era già partita per il Surda. Quando la rivedrò? si domandava. Alla luce del giorno, si era reso conto di quanto la magia degli elfi e dei draghi gli avessero ottenebrato il senno durante l'Agaeti Blòdhren. Mi sarò anche comportato da sciocco, ma non è stata del tutto colpa mia. Era come se fossi ubriaco. Eppure era convinto di ogni parola che aveva detto ad Arya, anche se in circostanze normali non avrebbe rivelato così tanto di sé. Il rifiuto di lei lo aveva ferito nel profondo. Libero da incantesimi che gli annebbiavano la mente, era stato costretto ad ammettere che probabilmente l'elfa aveva ragione, che la differenza di età era un ostacolo troppo grande. Era una cosa difficile da accettare, e quando lo ebbe fatto, la consapevolezza non fece che accrescere la sua angoscia. Eragon aveva sentito l'espressione "cuore spezzato", ma fino ad allora l'aveva sempre considerata una descrizione astratta, non un vero sintomo fisico. Ora invece avvertiva un profondo dolore nel petto - come se avesse un muscolo dolente - e ciascun battito del cuore gli faceva male.

Il suo unico conforto era Saphira. In quei due giorni, lei non lo aveva mai criticato per quanto aveva fatto, né lo aveva lasciato da solo per più di qualche minuto; gli aveva offerto il sostegno della sua compagnia. Gli parlava a lungo, facendo del suo meglio per tirarlo fuori dal suo guscio di silenzio.

Per smettere di pensare ad Arya, Eragon prese il rompicapo ad anelli di Orik dal comodino e se lo rigirò fra le dita, meravigliandosi per la nuova acutezza dei suoi sensi. Percepiva ogni difetto del metallo. Mentre studiava il cerchio, avvertì uno schema nella disposizione delle fasce d'oro, un disegno che prima gli era sfuggito. Affidandosi all'istinto, manipolò le fasce nella sequenza suggerita dall'osservazione. Con sommo piacere, gli otto pezzi s'incastrarono formando un unico anello. Se lo infilò all'anulare della mano destra, ammirando come le fasce catturavano la luce. Prima non ci riuscivi, disse Saphira dalla pedana dove dormiva.

Adesso vedo molte cose che prima mi erano nascoste.

Eragon andò nel camerino da bagno ed eseguì la consueta serie di abluzioni mattutine, compresa la rasatura del viso con un incantesimo. Malgrado fosse diventato molto simile a un elfo, la sua barba continuava a crescere. Orik li stava aspettando quando Eragon e Saphira arrivarono sul campo di addestramento. I suoi occhi scintillarono quando Eragon gli mostrò l'anulare con il rompicapo risolto. «Ci sei riuscito!»

«Mi ci è voluto più di quanto mi aspettassi» disse Eragon. «Sei qui per allenarti anche tu?»

«Eh. Mi sono già scontrato con l'ascia con un elfo che si è divertito a colpirmi in testa. No... sono venuto per guardarti combattere.»

«Mi hai già visto altre volte» sottolineò Eragon.

«Sì, ma è passato parecchio tempo dall'ultima.»

«Vuoi dire che sei curioso di vedere come sono cambiato.» Orik rispose con una scrollata di spalle. Vanir si avvicinava dall'altro lato del campo. «Sei pronto, Ammazzaspettri?» gridò. L'atteggiamento sprezzante dell'elfo si era ridotto dal loro ultimo duello prima dell'Agaetì Blòdhren, ma non di molto.

«Sono pronto.»

Eragon e Vanir si misero in posizione in un'area sgombra del campo. Svuotando la mente, Eragon afferrò ed estrasse Zar'roc il più rapidamente possibile. Con sua sorpresa, la spada gli diede la sensazione di non pesare più di un fuscello. Senza l'attesa resistenza, il braccio di Eragon scattò all'indietro come una molla, perdendo la spada che volò roteando per venti iarde prima di conficcarsi nel tronco di un pino.

«Non sai nemmeno tenere la spada in mano, Cavaliere?» lo canzonò Vanir.

«Ti chiedo scusa, Vanir-vodhr» rispose Eragon, sbalordito. Si massaggiò il gomito per alleviare il dolore all'articolazione. «Non ho saputo valutare la mia forza.»

«Vedi che non si ripeta.» Andando verso l'albero, Vanir afferrò l'elsa di Zar'roc e tentò di liberarla. L'arma rimase immobile. Le sopracciglia di Vanir si incresparono quando scrutò la lama rossa, come se sospettasse qualche trucco. Facendosi forza, l'elfo si curvò all'indietro e con uno schianto di legno strappò Zar'roc dal pino.

Eragon accettò l'arma dalle mani di Vanir e la soppesò, preoccupato da quanto era leggera. C'è qualcosa che non va, si disse.

«In guardia!»

Questa volta fu Vanir a iniziare il duello. Con un solo balzo, coprì la distanza che li separava e tentò un affondo contro la spalla destra di Eragon. Eragon ebbe l'impressione che l'elfo si muovesse più lentamente del solito, come se i suoi riflessi fossero scesi al livello di un umano. Fu facile per Eragon deviare la spada di Vanir, e azzurre scintille sprizzarono dal metallo delle lame.

Vanir arretrò con espressione attonita. Si volse e ripartì all'attacco, ma Eragon schivò la spada flettendo la schiena all'indietro, come un albero ondeggiante nel vento. In rapida successione, Vanir provò una ventina di colpi diversi, che Eragon schivò o parò usando sia il fodero di Zar'roc che la lama stessa per arrestare l'assalto.

Eragon si rese conto che lo spettrale drago dell'Agaetì Blòdhren non gli aveva soltanto alterato l'aspetto fisico, ma gli aveva anche conferito le capacità atletiche di un elfo. In forza e agilità, era pari al più vigoroso degli elfi. Animato da questa nuova consapevolezza, e desideroso di mettere alla prova i suoi limiti, Eragon balzò più in alto che potè. Zar'roc sfavillò rossa alla luce del sole, mentre lui volava verso il cielo, librandosi a oltre dieci piedi dal suolo, prima di fare una capriola a mezz'aria come un acrobata e atterrare alle spalle di Vanir, nella direzione opposta da cui era partito.

Eragon scoppiò in una risata trionfante. Non era più inerme davanti agli elfi, agli Spettri o altre creature magiche. Non avrebbe più subito il disprezzo degli elfi. Non avrebbe più dovuto contare su Saphira o Arya per affrontare nemici come Durza.

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