Volodyk - Paolini2-Eldest
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«Lo detesti?»
Si volse di scatto, sorpreso, e vide la sagoma di Brigit che si stagliava sulla soglia. La donna si strinse lo scialle intorno alle spalle e avanzò.
«Chi?» chiese lui, sapendolo perfettamente.
«Eragon. Lo detesti?»
Roran guardò il cielo che si andava oscurando. «Non lo so. Lo odio perché è stato la causa della morte di mio padre, ma è pur sempre sangue del mio sangue, e per questo gli voglio bene... Suppongo che se non avessi bisogno di lui per salvare Katrina, non vorrei più averci a che fare per un bel pezzo.»
«Come io ho bisogno di te e ti odio, Fortemartello.»
Lui le rivolse un sorriso amaro. «Già, siamo uniti a filo doppio, io e te. Tu devi aiutarmi a trovare Eragon per vendicarti sui Ra'zac della morte di Quimby.»
«E per vendicarmi di te in seguito.»
«Anche questo.» Roran guardò i suoi occhi inflessibili per un istante, riconoscendo il legame che li univa. Provava uno strano conforto nel sapere che condividevano la stessa urgenza, lo stesso fuoco rabbioso che li spronava ad andare avanti dove gli altri esitavano. In lei vedeva uno spirito affine.
Tornando sui suoi passi, Roran si fermò davanti alla sala da pranzo ad ascoltare la cadenza della voce di Jeod. Incuriosito, avvicinò l'occhio allo spiraglio dei cardini. Jeod era di fronte a una donna snella e bionda, che Roran intuì essere Helen.
«Se quanto dici è vero, come puoi pretendere che mi fidi di te?»
«Non lo pretendo» rispose Jeod.
«Eppure mi chiedi di fuggire con te.»
«Una volta mi proponesti di lasciare la tua famiglia e di viaggiare con me senza meta. Mi implorasti di portarti via da Teirm.»
«Una volta. All'epoca pensavo che fossi terribilmente affascinante, con quella tua spada e la tua cicatrice.» «Ce le ho ancora» mormorò lui. «Ho fatto molti errori con te, Helen; soltanto adesso me ne rendo conto. Ma ti amo ancora e non voglio che ti accada nulla di male. Per me non c'è futuro qui. Se resto, provocherò soltanto sofferenze alla tua famiglia. Tu puoi tornare da tuo padre, o venire con me. Fa' quello che ti rende più felice. Tuttavia ti supplico di darmi una seconda opportunità, di avere il coraggio di lasciare questo posto e di liberarti dagli amari ricordi della nostra vita qui. Possiamo ricominciare daccapo nel Surda.»
Lei rimase in silenzio per lungo tempo. «Il giovane che è stato qui è davvero un Cavaliere?»
«Sì. Soffiano i venti del cambiamento, Helen. I Varden sono sul piede di guerra, i nani si stanno ammassando, e perfino gli elfi si muovono nei loro antichi eremi. La guerra è prossima, e se siamo fortunati, anche la caduta di Galbatorix.» «Sei una persona importante fra i Varden?»
«Mi tengono in una certa considerazione per il ruolo che
ho svolto nel rubare l'uovo di Saphira.»
«Allora ti offriranno una posizione di rilievo nel Surda?»
«Immagino di sì.» Le posò le mani sulle spalle, e lei non si sottrasse.
«Jeod, Jeod» mormorò lei, «non mettermi fretta. Non posso decidere così all'istante.»
«Ci penserai, allora?»
Helen rabbrividì. «Sì, ci penserò.»
Roran sentì una fitta di dolore al cuore.
Katrina.
Quella sera a cena, Roran notò che lo sguardo di Helen si posava spesso su di lui, come per studiarlo, prendergli le misure; e confrontarlo, ne era certo, con Eragon.
Dopo mangiato, Roran fece cenno a Mandel di seguirlo, e lo condusse nel cortile alle spalle della casa. «Cosa c'è, Fortemartello?» chiese Mandel.
«Desidero parlarti in privato.»
«Di cosa?»
Roran fece scorrere le dita sulla testa affilata del martello. Si accorse che si sentiva come Garrow, quando suo padre gli dava una lezione di responsabilità; Roran poteva addirittura sentire le stesse frasi che gli premevano in gola. Così avanza la nuova generazione sulla vecchia, pensò. «Ti sei fatto amico certi marinai, ultimamente.» «Non sono nostri nemici» obiettò Mandel.
«Chiunque è nostro nemico, a questo punto. Clovis e i suoi uomini potrebbero tradirci in un batter d'occhio. Non sarebbe un problema, comunque, se frequentarli non ti avesse distolto dai tuoi dovéri.» Mandel s'irrigidì e le guance gli si arrossarono, ma non si svilì agli occhi di Roran negando l'accusa. Compiaciuto, Roran gli chiese: «Qual è la cosa più importante che possiamo fare adesso, Mandel?»
«Proteggere le nostre famiglie.» «Giusto. E cos'altro?»
Mandel esitò, turbato, poi confessò: «Non lo so.»
«Aiutarci l'uno con l'altro. È l'unico modo che abbiamo per sopravvivere. Sono rimasto molto deluso nell'apprendere che ti sei giocato a dadi il cibo con quei marinai, perché questo mette a repentaglio tutto il villaggio. Impiegheresti meglio il tuo tempo andando a caccia, invece che giocando a dadi o imparando a tirare coltelli. Morto tuo padre, la responsabilità di tua madre e dei tuoi fratelli ricade su di te. Dipendono da te. Sono stato chiaro?» «Chiarissimo» rispose Mandel con voce strozzata.
«Mi prometti che questo non accadrà più?»
«Mai più!»
«Bene. Sappi che non ti ho portato qui soltanto per rimproverarti. In te vedo una promessa, ed è per questo che ti assegnerò un compito che non affiderei a nessun altro, se non a me stesso.»
«Sissignore!»
«Domattina devi tornare all'accampamento e consegnare un messaggio a Horst. Jeod è convinto che l'Impero abbia messo delle spie a sorvegliare questa casa, perciò è di vitale importanza che ti assicuri di non essere seguito. Aspetta di essere lontano dalla città, poi semina chiunque ti segua nella campagna. Uccidilo, se necessario. Quando troverai Horst, digli...» Mentre Roran gli spiegava le sue istruzioni, osservò l'espressione di Mandel mutare dalla sorpresa al terrore, e infine tingersi di timore reverenziale.
«E se Clovis si oppone?» chiese Mandel.
«In quel caso, durante la notte spezza i timoni delle chiatte perché non possano più governarle. È un vile espediente, ma sarebbe un disastro se Clovis o qualcuno dei suoi uomini arrivasse a Teirm prima di te.»
«Non permetterò che accada» giurò Mandel.
Roran sorrise. «Bene.» Soddisfatto di aver risolto la questione del comportamento di Mandel e sicuro che il giovanotto avrebbe fatto di tutto per consegnare il messaggio a Horst, Roran rientrò e augurò la buonanotte al padrone di casa, prima di andare a dormire.
Con l'eccezione di Mandel, Roran e i suoi compagni rimasero confinati nella residenza di Jeod per tutto il giorno seguente, approfittandone per riposare, affilare le armi e ripassare la strategia.
Dall'alba al tramonto, qualche volta scorsero Helen che si affaccendava da una stanza all'altra, molto più spesso il maggiordomo Rolf con i suoi denti scintillanti simili a perle lustrate, ma nemmeno una volta Jeod, perché il mercante si era recato in città per incontrare, fingendo che fosse per caso, i pochi uomini di mare di cui si fidava per la spedizione. Al suo ritorno, disse a Roran: «Possiamo contare su altri
cinque marinai. Spero solo che bastino.» Jeod rimase nel suo studio per il resto della serata, a redigere vari documenti legali e a occuparsi dei suoi affari.
Tre ore prima dell'alba, Roran, Loring, Brigit, Gertrude e Nolfavrell si alzarono e ricacciando indietro prodigiosi sbadigli si riunirono nell'ingresso, dove indossarono lunghi mantelli col cappuccio per nascondere il viso. Uno stocco pendeva al fianco di Jeod quando si unì a loro, e Roran pensò che la spada sottile in qualche modo completava l'uomo snello dalle gambe lunghe, come per ricordare a Jeod chi era in realtà.
Jeod accese una lanterna a olio e la levò davanti a sé. «Siamo pronti?» disse. I cinque annuirono. Jeod aprì la porta e gli altri uscirono in fila sulla strada deserta. Dietro di loro, Jeod indugiò nell'ingresso, scoccando un'occhiata struggente alle scale, ma Helen non comparve. Con un brivido, Jeod lasciò la sua casa e chiuse la porta. Roran gli mise una mano sul braccio. «Quel che è fatto è fatto.»
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