Volodyk - Paolini3-Brisingr
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«... dover fare affidamento...»
«Basta!» esclamò Roran, con un sorriso sofferente. «Basta, vi prego. Mi viene il mal di testa quando fate così.»
Eragon rimase a bocca aperta: fino a quel momento non si era reso conto che lui e Saphira stavano parlando a turno. Da una parte, quella novità gli fece piacere perché indicava un livello superiore di intesa: agivano come un'entità unica che li rendeva molto più potenti di quanto non fossero ciascuno per sé. Dall'altra però lo turbava, perché una simile affinità, per sua stessa natura, riduceva l'individualità di ciascuno.
Richiuse la bocca e ridacchiò. «Scusa. Ciò che mi preoccupa è questo: se Galbatorix è stato abbastanza previdente da prendere certe precauzioni, allora la forza delle armi potrebbe essere l'unico mezzo con cui uccidere i Ra'zac. Se le cose stanno così...»
«Allora domani vi sarei d'intralcio.»
«Sciocchezze. Magari sarai più lento dei Ra'zac, ma sono sicuro che darai loro motivo di temere la tua arma, Roran Fortemartello.» Il complimento fece piacere a Roran. «Il pericolo maggiore per te è se i Ra'zac o i Lethrblaka riescono a separarti da me e Saphira. Dobbiamo restare uniti per essere tutti più sicuri. Io e Saphira cercheremo di tenere occupati i Ra'zac e i Lethrblaka, ma qualcuno potrebbe sfuggirci. Quattro contro due è una proporzione che va bene solo quando fai parte dei quattro.»
A Saphira Eragon disse: Se avessi una spada, sono sicuro che riuscirei a uccidere i Ra'zac da solo, ma non so se posso battere due creature più veloci degli elfi armato solo di questo bastone.
Sei stato tu a insistere per portare solo quel ramo secco invece di un'arma come si deve, ribatté lei. Ricorda, ti avevo avvertito che non sarebbe bastato contro nemici pericolosi come i Ra'zac.
Eragon a malincuore le diede ragione. Se i miei incantesimi dovessero fallire, saremo molto più vulnerabili di quanto mi aspettassi... Domani potrebbe mettersi davvero male.
Continuando la conversazione a cui era stato ammesso, Roran disse: «La magia è una cosa complicata.» Il tronco su cui era seduto gemette quando raddrizzò la schiena per posare i gomiti sulle ginocchia.
«Già» convenne Eragon. «La parte più difficile è cercare di anticipare ogni possibile incantesimo. Io passo un sacco di tempo a chiedermi come fare a difendermi se verrò attaccato così e se un altro mago si aspetta che faccia cosà.»
«Saresti capace di rendermi forte e veloce come te?»
Eragon rifletté sulla proposta per qualche minuto prima di rispondere. «Non vedo come. L'energia necessaria dovrebbe venire da qualche fonte. Potremmo donartela io e Saphira, ma a quel punto perderemmo tanta forza e velocità quante ne otterresti tu.» Quello che non disse fu che avrebbe potuto assimilare energia anche dalle piante e dagli animali vicini, ma a un prezzo terribile: la morte degli esseri più piccoli da cui si estraeva la forza vitale. La tecnica era un segreto che Eragon non si sentiva di rivelare a cuor leggero. Non sarebbe stata comunque utile a Roran, perché intorno all'Helgrind non c'erano abbastanza piante o animali da poter nutrire il corpo di un uomo.
«Allora potresti insegnarmi a usare la magia?» Quando Eragon esitò, Roran aggiunse: «Non adesso, è chiaro. Non c'è tempo, e io non mi aspetto che uno possa diventare un mago da un giorno all'altro. Ma insomma, perché no? Siamo cugini. Abbiamo lo stesso sangue. E sarebbe un vantaggio preziosissimo.»
«Non so come una persona che non è un Cavaliere possa imparare a usare la magia» confessò Eragon. «Non è una cosa che ho studiato.» Si guardò intorno, raccolse da terra un sasso rotondo e piatto e lo lanciò a Roran, che lo prese al volo. «Tieni, prova con questo. Concentrati e cerca di sollevare il sasso in aria, dicendo "Stenr rïsa".»
«Stenr rïsa?»
«Esatto.»
Roran guardò il sasso che teneva nel palmo con un'espressione concentrata che rammentò a Eragon i giorni del proprio addestramento con Brom. Provò una fitta di nostalgia ricordando quando il vecchio cantastorie lo allenava senza dargli tregua. Roran aggrottò le sopracciglia, serrò le labbra e ringhiò «Stenr rïsa!» con una tale potenza che Eragon pensò che il sasso sarebbe schizzato via dalla paura.
Non accadde nulla.
Con la fronte sempre più aggrottata, Roran ripeté il comando: «Stenr risa!»
Il sasso diede prova di una profonda mancanza di collaborazione.
«Be'» disse Eragon, «continua a provarci. È l'unico consiglio che posso darti. Ma...» e alzò un dito in segno di ammonimento «... se per caso ci riuscissi, vieni subito da me, o se io non sono nei dintorni, rivolgiti a un altro mago. Potresti uccidere te stesso o qualcun altro se prendi a fare esperimenti con la magia senza conoscerne le regole. E ricorda: se pronunci un incantesimo che richiede troppa energia, muori. Non fare niente che vada oltre le tue possibilità, non cercare di riportare in vita i morti, e non cercare di disfare niente.»
Roran annuì, lo sguardo ancora fisso sulla pietra.
«Magia a parte, mi sono appena ricordato che c'è qualcosa di molto più importante che devi imparare.»
«Ah, sì?»
«Sì. Devi essere capace di nascondere i tuoi pensieri alla Mano Nera, al Du Vrangr Gata, e agli altri come loro. Adesso possiedi molte informazioni che potrebbero nuocere ai Varden. È essenziale, quindi, che impari bene a celarle non appena saremo tornati. Finché non saprai difenderti dalle spie, né Nasuada né io né nessun altro potrà affidarti informazioni che potrebbero aiutare i nostri nemici.»
«Capisco. Ma perché hai incluso il Du Vrangr Gata in questa lista? È al servizio tuo e di Nasuada.»
«È vero, ma anche fra i nostri alleati ci sono molti che darebbero il braccio destro...» sorrise per la sottigliezza della frase «... pur di scoprire i nostri piani e i nostri segreti. E anche i tuoi, sappilo. Sei diventato qualcuno, Roran. In parte per le tue gesta, in parte perché siamo parenti.»
«Lo so. È strano essere riconosciuti da qualcuno che non hai mai visto prima.»
«Appunto.» Gli venne la tentazione di fare molte altre osservazioni pertinenti, ma si trattenne; l'argomento meritava di essere approfondito un'altra volta. «Ora che sai cosa significa sentirsi toccati da una mente estranea, dovresti imparare a espandere la tua e a toccare le altre.»
«Non sono sicuro di volerlo imparare.»
«Non importa: potresti anche non essere capace di farlo. Ma prima di scoprirlo, devi imparare a difenderti.»
Il cugino inarcò un sopracciglio. «Come?»
«Scegli qualcosa... un suono, un'immagine, un'emozione, qualsiasi cosa... e lascia che cresca nella tua mente fino a bloccare ogni altro pensiero.»
«Tutto qui?»
«Non è facile come credi. Avanti. Provaci. Quando ti senti pronto, fammelo sapere e io vedrò se ci riesci davvero.»
Passarono alcuni minuti. Poi, a un cenno delle dita di Roran, Eragon dilatò la propria coscienza verso il cugino, desideroso di scoprire fino a che punto era arrivato.
Il raggio mentale lanciato a piena potenza da Eragon andò a urtare contro il muro composto dai ricordi che Roran aveva di Katrina e si fermò. Non riusciva a trovare una breccia, nessun varco o cedimento, nessun modo per infiltrarsi nell'impenetrabile barriera che si trovava davanti. In quel momento l'intera identità di Roran era fondata sui suoi sentimenti per Katrina: le sue difese erano più forti di tutte quelle che Eragon aveva incontrato prima, perché la mente di Roran era priva di qualsiasi altra cosa che Eragon potesse afferrare o usare per ottenere il controllo sul cugino.
Poi Roran spostò la gamba sinistra e dal legno del tronco si levò un sonoro scricchiolio.
A quel punto, il muro contro cui Eragon aveva urtato si disintegrò in decine di frammenti, mentre un'orda di pensieri estranei distraeva Roran: Che cosa è stato... maledizione! Non farci caso... entrerà. Katrina, ricordati di Katrina. Ignora Eragon. La notte in cui ha accettato di sposarmi, il profumo dell'erba e dei suoi capelli... È lui? No! Concentrati! Non...
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