Volodyk - Paolini3-Brisingr
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«Ma...»
«Sei stanco e anche con la mia magia corri il rischio di rovinare la spada se continui a lavorarci. Ora che la lama è pronta, posso occuparmi del resto senza infrangere il mio giuramento, perciò va' in casa mia. Troverai un letto al primo piano. Se hai fame, c'è del cibo nella dispensa.»
Eragon esitò, riluttante ad andarsene, poi annuì, si alzò barcollando dalla panca e si avviò a passi strascicati nella polvere. Quando passò accanto a Saphira, le accarezzò un'ala e le augurò la buonanotte, troppo esausto per dire altro. In risposta, lei gli arruffò i capelli con un caldo soffio d'aria e gli disse: Guarderò e ricorderò per te, piccolo mio.
Eragon si fermò sulla soglia della casa di Rhunön e si volse verso il patio ombreggiato; Maud e i due bambini elfi erano ancora lì. Alzò una mano per salutarli e Maud gli sorrise, scoprendo i denti aguzzi. Eragon si sentì formicolare la nuca quando i bambini lo guardarono: i loro grandi occhi obliqui emanavano un lieve bagliore nel buio. Quando capì che non si sarebbero mossi, Eragon chinò il capo e si affrettò a entrare in casa, desideroso di sdraiarsi su un soffice materasso.
UN VERO CAVALIERE
Svegliati, piccolo mio, disse Saphira. Il sole è sorto e Rhunön è impaziente.
Eragon si mise a sedere di scatto e insieme alle coperte si liberò dei sogni del suo sonno vigile. Aveva gambe e braccia ancora indolenzite per la fatica del giorno prima. S'infilò gli stivali, così eccitato da annaspare coi lacci, afferrò da terra il grembiule sudicio e scese a due a due gli scalini intagliati della casa a cupola di Rhunön.
Fuori, il cielo era illuminato dalle prime luci dell'alba, anche se il patio era ancora immerso nell'ombra. Eragon scorse Rhunön e Saphira vicino alla forgia e le raggiunse di corsa, ravviandosi i capelli con le dita.
Rhunön era in piedi, appoggiata al bordo della panca. Aveva borse scure sotto gli occhi e le rughe del volto più marcate.
La spada giaceva di fronte a lei, nascosta da una tela bianca.
«Ho fatto l'impossibile» disse, la voce rauca e incrinata. «Ho realizzato una spada quando avevo giurato che non l'avrei mai più fatto. C'è di più... l'ho fatta in meno di un giorno e con mani che non erano le mie. E malgrado questo, la spada non è né rozza né scadente. No! È la spada migliore che abbia mai forgiato. Avrei preferito usare meno magia durante il processo, ma questo è il mio unico rimorso, ed è ben poca cosa se paragonato alla perfezione del risultato. Ecco!»
Afferrando un angolo della tela, Rhunön la sollevò, rivelando la spada.
Eragon trasalì.
Aveva pensato che nella manciata d'ore in cui l'aveva lasciata sola Rhunön avesse avuto il tempo di fabbricare soltanto un'elsa dalla semplice guardia crociata, e magari un nudo fodero di legno. Invece Eragon vide sulla panca una spada magnifica quanto Zar'roc, Naegling o Tàmerlein, e ai suoi occhi era ancora più bella.
La lama era coperta da un lucido fodero dello stesso blu scuro delle squame del dorso di Saphira. Il colore era leggermente cangiante, come la luce screziata sul fondo di un limpido laghetto di foresta. Uno scampolo di acciaioluce brunito, a forma di foglia, ornava il puntale del fodero, mentre una ghiera decorata a viticci stilizzati ne circondava l'imboccatura. Anche la guardia crociata ricurva era fatta d'acciaioluce brunito, così come le quattro coste che sorreggevano il grande zaffiro del pomolo. L'impugnatura a una mano e mezza era di duro legno nero.
Sopraffatto da un senso di timore reverenziale, Eragon protese una mano verso la spada, poi si fermò e scoccò un'occhiata a Rhunön. «Posso?» le chiese.
L'elfa inclinò la testa. «Certo. È tua, Ammazzaspettri.»
Eragon prese la spada dalla panca. Il fodero e il legno dell'elsa erano freddi. Per alcuni minuti ammirò i dettagli del fodero, della guardia e del pomolo. Poi strinse la mano sull'elsa e sguainò la spada.
Anche la lama era blu, ma di una tonalità più chiara, come quello delle squame della gola di Saphira. Il colore era iridescente, come quello di Zar'roc: ogni volta che Eragon muoveva la spada, il colore cambiava e scintillava di uno dei tanti toni di blu delle squame di Saphira. Si vedeva la trama all'interno dell'acciaioluce e le pallide fasce lungo i fili della lama erano ancora visibili.
Con una sola mano, Eragon tagliò l'aria con la spada, vibrando colpi da un lato e dall'altro, e rise nel sentirla leggera e veloce. Sembrava quasi viva. Poi l'afferrò con tutte e due le mani e fu contento di scoprire che stavano alla perfezione sull'elsa allungata. Provando un affondo, colpì un nemico immaginario, sicuro di avergli sferrato un colpo mortale.
«Avanti» disse Rhunön, e gli indicò tre sbarre di ferro piantate nel terreno, proprio davanti alla fucina. «Provala su quelle.»
Eragon si concentrò per un istante, poi fece un solo passo e, con un grido, menò un colpo di traverso che tagliò tutte e tre le sbarre. La lama emise una sola nota cristallina, che lentamente si spense. Quando Eragon esaminò il filo nel punto dove aveva colpito il ferro, vide che l'impatto non lo aveva nemmeno scalfito.
«Sei soddisfatto, Cavaliere dei Draghi?» chiese Rhunön.
«Più che soddisfatto, Rhunön-elda» rispose Eragon, e s'inchino davanti a lei. «Non so come ringraziarti per un simile dono.»
«Mi ringrazierai uccidendo Galbatorix. Se esiste una spada destinata ad abbattere quel folle di un re, è senza dubbio questa.»
«Farò del mio meglio, Rhunön-elda.»
L'elfa annuì, compiaciuta. «Be', finalmente hai una spada tua, com'era giusto che fosse. Adesso sì che sei un vero Cavaliere dei Draghi!»
«Già» disse Eragon e alzò la spada al cielo, ammirandola. «Ora sono un vero Cavaliere.»
«Prima di andartene, però, c'è un'ultima cosa che devi fare» disse Rhunön.
«Cosa?»
L'elfa indicò la spada. «Devi darle un nome, perché io possa incidere il giusto glifo sulla lama e sul fodero.»
Eragon si avvicinò a Saphira e disse: Che ne pensi?
Non sono io quella che deve portare la spada. Chiamala come ritieni meglio.
Sì, ma non hai qualche idea?
Lei abbassò la testa verso di lui e annusò la spada, poi disse: Dentegemmablu, ecco come la chiamerei. Oppure Artiglioblurosso.
Suonerebbe ridicolo alle orecchie degli umani.
Allora che ne dici di Tritacarne o Squarciabudella? O magari Guerrartiglio, oppure Brillaspina o Squartamembra? Potresti chiamarla Terrore o Dolore o Mordibraccia o Sempreaffilata. Oppure Squameondulate, per le linee nell'acciaio. Ti suggerisco anche Lingua di Morte e Acciaio Elfico e Metallo di Stella. Se ne vuoi altri...
L'improvvisa sfilza di suggerimenti sorprese Eragon. Sei brava con i nomi, disse.
Inventare nomi a caso è facile. Inventare il giusto nome, però, può mettere alla prova anche la pazienza di un elfo.
Che ne dici di Ammazzatiranni? chiese Eragon.
E se uccidiamo davvero Galbatorix? Poi? Non ci vuoi fare nient'altro, con la tua spada?
Uhm. Affiancando la spada alla zampa di Saphira, Eragon disse: Ha il tuo colore preciso: potrei chiamarla come te.
Un basso ringhio risuonò nel petto di Saphira. No.
Eragon trattenne un sorriso. Sicura? Immagina se fossimo in battaglia e...
Gli artigli della dragonessa affondarono nel terreno. No. Non sono un oggetto da brandire e da canzonare.
No, hai ragione. Scusa. Be', e se la chiamassi Speranza nell'antica lingua? Zar'roc significa "miseria", perciò non sarebbe giusto che io avessi una spada che già solo col nome combatte la miseria?
Un nobile sentimento, disse Saphira. Ma vuoi davvero dare speranza ai tuoi nemici? Vuoi colpire Galbatorix con la speranza?
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