Alessandro Manzoni - IL CONTE DI CARMAGNOLA

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tanto che alcun dei duci ai quali è sopra 40

prendesse a noia il suo superbo impero;

e il fascio ch’egli or nella mano ha stretto

si rallentasse alfin. Pur, se a giornata

venir si deve, non è questo il loco:

usciam di qui, scegliamo un campo noi, 45

tiriam quivi il nemico: ivi in un giorno,

senza svantaggio almanco, si decida.

IL CONTE DI CARMAGNOLA

MALATESTI

Due grandi schiere a fronte stanno; e grande

fia la battaglia: d’una tale appunto

abbisogna Filippo. A questi estremi 50

a poco a poco ei venne, e coi consigli

che or proponete: a trarnelo, fia d’uopo

appigliarci agli opposti. Il rischio vero

sta nell’indugio; e nel mutare il campo

rovina certa. Chi sapria dir quanto 55

di numero e di cor scemato ei fia,

pria che si ponga altrove? Ora egli è quale

bramar lo puote un capitan; con esso

tutto lice tentar.

IL CONTE DI CARMAGNOLA

SCENA II

SFORZA, FORTEBRACCIO, e detti.

MALATESTI

Ditelo, o Sforza,

e Fortebraccio; voi giungete in tempo: 60

ditelo voi, come trovaste il campo?

Che possiamo sperarne?

SFORZA

Ogni gran cosa.

Quando gli ordini udir, quando lor parve

che una battaglia si prepari, io vidi

un feroce tripudio: alla chiamata 65

esultando venièno, e col sorriso

si fean cenno a vicenda. E quando io corsi

entro le file, ad ogni schiera un grido

s’alzava; ognuno in me fissando il guardo

parea dicesse: o condottier, v’intendo. 70

FORTEBRACCIO

E tai son tutti: allor ch’io venni a’ miei,

tutti mi furo intorno. Un mi dicea:

quando udremo le trombe? Altri: noi siamo

stanchi d’esser beffati; e tutti ad una

la battaglia chiedean, come già certi 75

dell’ottenerla, e dubbi sol del quando.

Ebben, compagni, io rispondea, se il segno

presto s’udrà, mi date voi parola

di vincere con me? Gli elmi levati

sull’aste, un grido universal d’assenso 80

fu la risposta, ond’io gioisco ancora.

E a tai soldati ci venia proposto

d’intimar la ritratta? e che alle mani,

che già posate sulle spade aspettano

l’ordin di sguainarle e di ferire, 85

si comandasse di levar le tende?

Chi fronte avria di presentarsi ad essi

con tal ordine ormai?

PERGOLA

Dal parlar vostro

un novo modo di milizia imparo;

che i soldati comandino, e che i duci 90

ubbidiscano.

FORTEBRACCIO

O Pergola, i soldati

a cui capo son io, fur da quel Braccio

disciplinati, che per tutto ancora

con maraviglia e con terror si noma;

e non son usi a sostener gli scherni 95

dell’inimico.

PERGOLA

Ed io conduco genti

da me, qual ch’io mi sia, disciplinate;

e sono avvezze ad aspettar la voce

del condottiero, ed a fidarsi in lui.

MALATESTI

Dimentichiamo or noi che numerati 100

sono i momenti, e non ne resta alcuno

per le gare private?

IL CONTE DI CARMAGNOLA

SCENA III

TORELLO, e detti.

SFORZA

Ebben, Torello,

siete mutato di parer? Vedeste

l’animo ardente de’ soldati?

TORELLO

Il vidi;

udii le grida del furor, le grida 105

della fiducia e del coraggio; e il viso

rivolsi altrove, onde nessun dei prodi

vi leggesse il pensier che mal mio grado

vi si pingeva: era il pensier che false

son quelle gioie e brevi; era il pensiero 110

del valor che si perde. Io cavalcai

lungo tutta la fronte: io tesi il guardo,

quanto lunge potei; rividi quelle

macchie che sorgon qua e là dal suolo

uliginoso che la via fiancheggia: 115

là son gli agguati, il giurerei. Rividi

quel doppio cinto di muniti carri,

onde assiepato è del nemico il campo.

Se l’urto primo ei sostener non puote,

ha una ritratta ove sfuggirlo e uscirne 120

preparato al secondo. Un novo è questo

trovato di costui, per torre ai suoi

il pensier primo che s’affaccia ai vinti,

il pensier della fuga. Ad atterrarlo

due colpi è d’uopo: ei con un sol ne atterra. 125

Perché, non giova chiuder gli occhi al vero,

non son più quelle guerre, in cui pe’ figli

e per le donne e per la patria terra

e per le leggi che la fan sì cara,

combatteva il soldato; in cui pensava 130

il capitano a statuirgli un posto,

egli a morirvi. A mercenarie genti

noi comandiamo, in cui più di leggieri

trovi il furor che la costanza: e’ corrono

volonterosi alla vittoria incontro; 135

ma s’ella tarda, se son posti a lungo

tra la fuga e la morte, ah! dubbia è troppo

la scelta di costoro. E questo evento

più che tutt’altro antiveder ci è forza.

Vil tempo in cui tanto al comando cresce 140

difficoltà, quanto la gloria scema!

Io lo ripeto, non è questo un campo

di battaglia per noi.

MALATESTI

Dunque?

TORELLO

Si muti.

Non siam pari al nemico; andiamo in luogo

dove lo siam.

MALATESTI

Così Maclodio a lui 145

lascerem quasi in dono? I valorosi,

che vi son chiusi, non potran tenersi

più che due giorni.

TORELLO

Il so; ma non si tratta

né d’un presidio qui, né d’una terra;

trattasi dello Stato.

SFORZA

E di che mai 150

se non di terre si compon lo Stato?

E quelle che indugiando, ad una ad una

già lasciammo sfuggir, quante son elle?

Casal, Bina, Quinzano e... e se vi piace

noveratele voi, ché in tal pensiero 155

troppo caldo io mi sento. Il nobil manto,

che a noi fidato ha il Duca, a brano a brano

soffriam così che in nostra man si scemi,

e che a lui messo omai da noi non giunga

che una ritratta non gli annunzi. Intanto 160

superbisce il nemico, e ai nostri indugi

sfacciato insulta.

TORELLO

E questo è segno, o Sforza,

ch’ei brama una battaglia.

SFORZA

Oh, che puot’egli

bramar di più, che innanzi a sé cacciarne

con la spada nel fodero?

PERGOLA

Che puote 165

bramar di più? Dirovvel io: che noi

tutto arrischiam l’esercito in un campo

ov’egli ha preso ogni vantaggio. Or questo

poniamo in salvo; ché le terre è lieve

riprender con gli eserciti.

FORTEBRACCIO

Con quali? 170

Non, per mia fé, con quelli a cui s’insegna

a diloggiar quando il nemico appare,

a non mirarlo in faccia, a lasciar soli

nelle angosce i compagni; ma con genti

quali or le abbiam d’ira e di scorno accese, 175

impazienti di pugnar, con queste

si riparan le perdite, e si vince.

Che dobbiamo aspettar? Brandi arrotati,

perché lasciarli irrugginir?

SFORZA

Torello,

voi temete d’agguati? Anch’io dirovvi: 180

non son più quelle guerre, in cui minuti

drappelletti movean, con l’occhio teso

ogni macchia guatando, ogni rivolta.

Un’oste intera sopra un’oste intera

oggi rovescerassi: un tanto stuolo 185

si vince sì, ma non s’accerchia; ei spazza

innanzi a sé gl’intoppi, e fin ch’è unito,

dovunque sia, sul suo terreno è sempre.

FORTEBRACCIO

(a Pergola e Torello)

Siete convinti?

TORELLO

Sofferite...

MALATESTI

Io il sono.

Omai vano è più dir. Certo io mi tengo 190

che tutti andrete in operar d’accordo

più che non foste in divisar disgiunti.

Poi che un partito e l’altro ha il suo periglio,

scegliamo almen quel che più gloria ha seco.

Noi darem la battaglia: alla frontiera 195

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