Alessandro Manzoni - IL CONTE DI CARMAGNOLA

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che ne decide. Eh! se Venezia in pace 320

riman, degg’io chiuso e celato ancora

in questo asilo rimaner, siccome

l’omicida nel tempio? E chi d’un regno

fece il destin, non potrà farsi il suo?

Non troverò tra tanti prenci, in questa 325

divisa Italia, un sol che la corona,

onde il vil capo di Filippo splende,

ardisca invidiar? che si ricordi

ch’io l’acquistai, che dalle man di dieci

tiranni io la strappai, ch’io la riposi 330

su quella fronte, ed or null’altro agogno

che ritorla all’ingrato, e farne un dono

a chi saprà del braccio mio valersi?

SCENA V

MARCO, e IL CONTE

IL CONTE

O dolce amico; ebben qual nova arrechi?

MARCO

La guerra è risoluta, e tu sei duce. 335

IL CONTE

Marco, ad impresa io non m’ accinsi mai

con maggior cor che a questa: una gran fede

poneste in me: ne sarò degno, il giuro.

Il giorno è questo che del viver mio

ferma il destin: poi che quest’alma terra 340

m’ha nel suo glorioso antico grembo

accolto, e dato di suo figlio il nome,

esserlo io vo’ per sempre; e questo brando

io consacro per sempre alla difesa

e alla grandezza sua.

MARCO

Dolce disegno! 345

non soffra il ciel che la fortuna il rompa...

o tu medesmo.

IL CONTE

Io? come?

MARCO

Al par di tutti

i generosi, che giovando altrui

nocquer sempre a sé stessi, e superate

tutte le vie delle più dure imprese, 350

caddero a un passo poi, che facilmente

l’ultimo de’ mortali avria varcato.

Credi ad un uom che t’ama: i più de’ nostri

ti sono amici; ma non tutti il sono.

Di più non dico, né mi lice; e forse 355

troppo già dissi. Ma la mia parola

nel fido orecchio dell’amico stia,

come nel tempio del mio cor, rinchiusa.

IL CONTE

Forse io l’ignoro? E forse ad uno ad uno

non so quai siano i miei nemici?

MARCO

E sai 360

chi te gli ha fatti? In pria l’esser tu tanto

maggior di loro, indi lo sprezzo aperto

che tu ne festi in ogni incontro. Alcuno

non ti nocque finor; ma chi non puote

nocer col tempo? Tu non pensi ad essi, 365

se non allor che in tuo cammin li trovi;

ma pensan essi a te, più che non credi.

Spregia il grande, ed obblia; ma il vil si gode

nell’odio. Or tu non irritarlo: cerca

di spegnerlo; tu il puoi forse. Consiglio 370

di vili arti ch’io stesso a sdegno avrei,

io non ti do, né tal da me l’aspetti.

Ma tra la noncuranza e la servile

cautela avvi una via; v’ha una prudenza

anche pei cor più nobili e più schivi; 375

v’ha un’arte d’acquistar l’alme volgari,

senza discender fino ad esse: e questa

nel senno tuo, quando tu vuoi, la trovi.

IL CONTE

Troppo è il tuo dir verace: il tuo consiglio

le mille volte a me medesmo io il diedi; 380

e sempre all’uopo ei mi fuggì di mente;

e sempre appresi a danno mio che dove

semina l’ira, il pentimento miete.

Dura scola ed inutile! Alfin stanco

di far leggi a me stesso, e trasgredirle, 385

tra me fermai che, s’egli è mio destino

ch’io sia sempre in tai nodi avviluppato

che mestier faccia a distrigarli appunto

quella virtù che più mi manca, s’ella

è pur virtù; se è mio destin che un giorno 390

io sia colto in tai nodi, e vi perisca;

meglio è senza riguardi andargli incontro.

Io ne appello a te stesso: i buoni mai

non fur senza nemici, e tu ne hai dunque.

E giurerei che un sol non è tra loro 395

cui tu degni, non dico accarezzarlo,

ma non dargli a veder che lo dispregi.

Rispondi.

MARCO

È ver: se v’ha mortal di cui

la sorte invidii, è sol colui che nacque

in luoghi e in tempi ov’uom potesse aperto 400

mostrar l’animo in fronte, e a quelle prove

solo trovarsi ove più forza è d’uopo

che accorgimento: quindi, ove convenga

simular, non ti faccia maraviglia

che poco esperto io sia. Pensa per altro 405

quanto più m’è concesso impunemente

fallire in ciò che a te; che poche vie

al pugnal d’un nemico offre il mio petto;

che me contra i privati odii assecura

la pubblica ragion; ch’io vesto il saio 410

stesso di quei che han la mia sorte in mano.

Ma tu stranier, tu condottiero al soldo

di togati signor, tu cui lo Stato

dà tante spade per salvarlo, e niuna

per salvar te... fa che gli amici tuoi 415

odan sol le tue lodi; e non dar loro

la trista cura di scolparti. Pensa

che felici non son, se tu nol sei.

Che dirò più? Vuoi che una corda io tocchi,

che ancor più addentro nel tuo cor risoni? 420

Pensa alla moglie tua, pensa alla figlia

a cui tu se’ sola speranza: il cielo

dié loro un’alma per sentir la gioia,

un’alma che sospira i dì sereni,

ma che nulla può far per conquistarli. 425

Tu il puoi per esse; e lo vorrai. Non dire

che il tuo destin ti porta; allor che il forte

ha detto: io voglio, ei sente esser più assai

signor di sé che non pensava in prima.

IL CONTE

Tu hai ragione. Il ciel si prende al certo 430

qualche cura di me, poiché m’ha dato

un tale amico. Ascolta; il buon successo

potrà, spero, placar chi mi disama:

tutto in letizia finirà. Tu intanto

se cosa odi di me che ti dispiaccia, 435

l’indole mia ne incolpa, un improvviso

impeto primo, ma non mai l’obblio

di tue parole.

MARCO

Or la mia gioia è intera.

Va, vinci, e torna. Oh come atteso e caro

verrà quel messo che la gloria tua 440

con la salute della patria annunzi!

FINE DELL’ATTO PRIMO

ATTO SECONDO

SCENA I

Parte, del campo ducale con tende.

MALATESTI e PERGOLA

PERGOLA

Sì, condottier; come ordinaste, in pronto

son le mie bande. A voi commise il Duca

l’arbitrio della guerra: io v’ho ubbidito,

ma con dolor; ve ne scongiuro ancora,

non diam battaglia.

MALATESTI

Anzian d’anni e di fama, 5

o Pergola, qui siete; io sento il peso

del vostro voto; ma cangiar non posso

il mio. Voi lo vedete; il Carmagnola

ci provoca ogni dì: quasi ad insulto

sugli occhi nostri alfin Maclodio ha stretto: 10

e due partiti ci rimangon soli;

o lui cacciarne, o abbandonar la terra,

che saria danno e scorno.

PERGOLA

A pochi è dato,

a pochi egregi il dubitar di novo,

quando han già detto: ell’è così. S’io parlo 15

è che tale vi tengo. Italia forse

mai da’ barbari in poi non vide a fronte

due sì possenti eserciti: ma il nostro

l’ultimo sforzo è di Filippo. In ogni

fatto di guerra entra fortuna, e sempre 20

vuol la sua parte: chi nol sa? Ma quando

ne va il tutto, o Signore, allor non vuolsi

dargliene più ch’ella non chiede; e questo

esercito con cui tutto possiamo

salvar, ma che perduto in una volta 25

mai più rifar non si potria, non dèssi

come un dado gittarlo ad occhi chiusi,

avventurarlo in un sì piccol campo,

e in un campo mal noto, e quel che è peggio

noto al nemico. Ei qui ci trasse: un torto 30

argin divide le due schiere: a destra

e a sinistra paludi, in esse sparsi

i suoi drappelli; e noi fuori de’ nostri

alloggiamenti non teniamo un palmo

pur di terren. Credete ad un che l’arti 35

conosce di costui, che ha combattuto

al fianco suo: qui c’è un’insidia. Forse

la miglior via di guerreggiar quest’uomo

saria tenerlo a bada, aspettar tempo,

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