âVeniva nel mondo
la luce vera,
quella che illumina ogni uomoâ 20.
Avvalendosi della simbologia, Giovanni presenta la ragione della gloria di Dio fin dal prologo del suo Vangelo:
âE il Logos si fece carne [sarx]
e venne ad abitare [âpose la sua tenda,â] in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito del Padre,
pieno di grazia e di verità .
Giovanni (si tratta di Giovanni il Battista, non dell'evangelista) gli rende testimonianza
e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto
e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno lâha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelatoâ 21.
Si noti che la parola greca originale sarx, carne, ben esprime la debolezza della condizione umana assunta dal Logos-Figlio pienamente, in cui si manifesta la Gloria di Dio Padre â e nellâunicità di Dio, del Figlio e dello Spirito â, una gloria che riesce a comprendere solo chi abbia fede, talmente essa appare scandalosa. Scrive san Paolo: âMentre i Giudei chiedono miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani. Ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei sia Greci, predichiamo Cristo, potenza e sapienza di Dioâ 22. La gloria di Dio si fonda dunque proprio sul suo abbassarsi qui sulla terra e servire gli altri esseri umani fino addirittura alla croce, dove sale (secondo lâevangelista Giovanni così come un re sul suo trono di gloria) e muore per testimoniare la verità e la giustizia châegli prédica come uomo Gesú: al preciso scopo di divinizzare in sé gli altri uomini. 23
Il linguaggio simbolico consente assai bene ai quattro evangelisti, e non solo a Giovanni, di passare dal Nazareno storico al Cristo presente e vivo nella Chiesa e, viceversa, di collegare la fede pasquale dei cristiani dâogni tempo a Gesú realmente vissuto, ucciso e risorto. Se gli autori dei Vangeli, peraltro tutti gran teologi contrariamente all'opinione superficiale di critici del Cristianesimo illuministi e positivisti, non stendono mere note storiche, tuttavia dalla storia non prescindono affatto. Secondo i credenti, si tratta di libri scritti alla luce dello Spirito divino nella fede della comunità cristiana, con lâintento, sul ricordo dei testimoni oculari, di provocare o rinforzare in chi ascolta la medesima fede, inducendolo sia alla morale cristiana, cioè alla viva sequela della concreto amore di Gesú di Nazareth per il prossimo durante la sua vita realmente avvenuta, sia, prima di tutto, allâaccoglienza di Cristo risorto e glorificato, coincidente con lâeterno Logos di Dio-Padre, la seconda Persona trinitaria. Troviamo dunque nei Vangeli, come in tutta la Bibbia, un doppio livello di significazione e sorge la necessità dâun doppio piano dâintelligenza da parte del lettore, intelligenza che non può non aver presente la storia, il che vale ovviamente non solo per la ricerca su Dio, ma anche quando lo sguardo s'indirizzi alle figure diaboliche della Bibbia.
Vediamo ora come sia nata l'idea veterotestamentaria di Satana l'accusatore o, per dirla altrimenti, di Satana pubblico ministero nel tribunale divino; e cominciamo col parlare dell'influenza persiana sulla religione giudaica.
Cenno allâinfluenza del Mazdeismo sul Giudaismo -Nascita nel popolo dâIsraele, sotto la soggezione persiana, dellâidea dâun ispettore e accusatore dei peccatori davanti al tribunale di Dio (satan)
Presso i Persiani, con Zoroastro, nasce o si definisce, verso il VI secolo a.C., unâidea religiosa non politeista e non semplicemente monoteista, ma nemmeno dualista anche se glâiddii nel Mazdeismo sono due, gemelli e di forma opposta, come allo specchio; i quali tuttavia originano dallo sdoppiamento d'un unico dio originario benigno, Ahura Mazda, scissosi in due, fin dai primordi, originando uno spirito divino del male, chiamato Angra Mainyu o Arimane, a fronte dello stesso dio del bene Ahura Mazda. Ciascuno dei due ha propria individuale volontà , ed essi sono in lotta sistematica. Essendo i due iddii riferibili a una comune matrice, si tratta d'una sorta di principio bifronte della Divinità , per cui si può parlare d'un credo monista anche se con la forte apparenza di un culto dualista.
Non si deve confondere col vero e proprio dualismo religioso che contempla un solo dio, non due dèi nemmeno qualora originati dalla scissione di un unico iddio originario come nel Mazdeismo. Da quel solo, unico dio promanano sia il bene e la gioia, sia il male e il dolore, come leggiamo ad esempio in biblici versetti minacciosi influenzati da idee dualiste scritti dai profeti Amos e Isaia e pure nel Libro Lamentazioni dâautore ignoto â anche se tradizionalmente ma erroneamente identificato nel profeta Geremia. Lo stesso sentire fa capolino e poi si rafforza in ambienti cristiani influenzati da apocrifi cristianeggianti, nonostante il messaggio gesuanico che Dio è solo Amore benigno. Da tali à mbiti l'idea si diffonde. Si giunge a un certo punto nell'intera Chiesa a immaginare lâeterno inferno come qualcosa di diverso da quella âseconda morteâ di cui dice il Nuovo Testamento, per la quale Dio non sostiene più in vita la persona dannata, secondo cui, cioè, non esiste più del tutto la medesima, né in corpo né in psiche-anima: in tali ambienti si ritiene che lâinferno sia uno stato di dolore vissuto dal dannato per sempre, prima solo spiritualmente e poi anche col corpo risorto: eternamente perché in eterno promanante da Dio. In tali contesti si arriva ad affermare con forza che lâanima è immortale, come se essa fosse puro spirito e avesse dunque, intrinsecamente, lâimmortalità per sempre una volta creata da Dio.
Nella Bibbia risulta diversamente: L'anima è sì creata da Dio - precisamente non la sola anima ma la persona intera, lâessere umano nel suo complesso in corpo e anima - ed è sì immateriale, ma in senso psichico e non spirituale.
Nella Chiesa dei primi secoli si crede che lo Spirito di Dio non solo crea ma continua a mantenere in vita la persona, eternamente, nel solo beato, mentre la vita viene meno nel dannato; e per l'appunto lâinferno è definito dalla Chiesa, fin dall'inizio - questo peraltro ancor oggi - come âprivazione di Dioâ, col suo conseguente âmale assoluto senzâalcun beneâ, vale a dire, al di là di inferni vissuti, senza più nemmeno il vivere e dunque il poter pensare â pensare anche a Dio stesso â né ricordare la propria passata esistenza: un glaciale, atroce fallimento totale della vita!
L'idea di un'anima immortale e spirituale umana che si danna e continua a vivere per sempre nel dolore alla fine prevale anche nella Chiesa e l'inferno diviene quello vissuto, di cui leggiamo ad esempio nella prima Cantica della Commedia dantesca, influenzata dalla composizione in versi di Jacomin (ovvero Giacomino) da Verona âDe Babilonia civitate infernali. De Jerusalem celestiâ e forse suggestionata dallâapocrifa âVisione di san Paoloâ, a sua volta mediata dai testi più antichi âPurgatorio di san Patrizioâ e âNavigazione di san Brandanoâ; nella detta "Visione di san Paolo", ai versetti dal 75 all'80 un angelo conduce lâapostolo Paolo a visitare, appunto, lâinferno.
I succitati dati sono stati tratti dallâintroduzione allâ"Apocalisse di Paolo" nel libro "Gli evangeli apocrifi", opera a cura di F. Amiot tradotta dal francese allâitaliano da Marco Inserillo e pubblicata dall'Editrice Massimo nel 2003.
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