Guido Pagliarino - Il Terrore Privato Il Terrore Politico

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Nell'anno 2000 il vecchio questore emerito D’Aiazzo, affiancatosi al commissario Sordi suo ex dipendente, investiga in funzione di consulente della Questura torinese su una serie di omicidi che si presentano sì come l'opera nichilista d'un sadico assassino seriale o quali sacrifici al diavolo d'una delle sette sulfuree della Torino macabro-stregata, ma potrebbero avere, anche o soltanto, cause legate a quel terrorismo che aveva imperversato in Italia fino a una ventina d'anni prima e si trascina ancora a fine millennio. Il mostro sopprime orrendamente le sue vittime conficcando loro l'arma del delitto in un orecchio fin ad arrivare al cervello con esito letale. L'indagine si snoda fra inquietanti sospetti, crisi di identità, annotazioni psicologiche, e raggiunge il suo acme risolutivo nello spiazzante svelamento finale, che ha come appendice la morte del medesimo questore, come conseguenza stessa della scoperta del colpevole.
Nell'anno 2000 il vecchio questore emerito Vittorio D’Aiazzo, affiancatosi al commissario Sordi suo ex dipendente, investiga in funzione di consulente della Questura torinese su una serie di omicidi che si presentano sì come l'opera nichilista d'un sadico assassino seriale o quali sacrifici al diavolo d'una delle sette sulfuree della Torino macabro-stregata, ma potrebbero avere, anche o soltanto, cause legate a quel terrorismo che aveva imperversato in Italia fino a una ventina d'anni prima e si trascina ancora a fine millennio. Il mostro sopprime orrendamente le sue vittime conficcando loro l'arma del delitto in un orecchio fin ad arrivare al cervello con esito letale. L'indagine tocca sia temi privati, procedendo entro una varia umanità non tutta moralmente limpida, sia temi politici, economici e sociali già tipici degli anni’70 dello scorso secolo, dei cosiddetti anni di piombo, in cui la violenza politica e quella privata finivano normalmente col confondersi nella scomparsa, o quasi, del concetto di persona e nel prevalere dei ruoli sociali; e l’inchiesta  di Vittorio D’Aiazzo si snoda tra i frutti maligni di quei semi perversi, fra inquietanti sospetti, crisi di identità, annotazioni psicologiche, e raggiunge il suo acme risolutivo nello spiazzante svelamento finale, che ha come appendice la morte del medesimo questore, come conseguenza stessa della scoperta del colpevole.

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Guido Pagliarino

Il T errore P rivato

I l T errore P olitico

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Copyright © 2017 Guido Pagliarino

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Guido Pagliarino

Il T errore P rivato, I l T errore P olitico

Romanzo

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D istribuit a da Tektime come libro e come e-book

Copyright © 201 7 Guido Pagliarino

Stesura del dattiloscritto tra il 2006 e il 2009

1a Edizione, in formato cartaceo e in diversi formati elettronici, Copyright © 2012-2013 Edizioni GDS

2a Edizione,in formato cartaceo stampato da Create Space e in e-book di vari formati, Copyright © 2016 Guido Pagliarino

Le copertine di tutte le edizioni sono state realizzate da Guido Pagliarino, Copyright © dell'autore

A parte le persone note alla cronaca e alla Storia, i personaggi, le vicende, i nomi e cognomi di persona, le denominazioni di enti e ditte e le loro sedi che appaiono nel romanzo sono immaginari. Eventuali riferimenti a persone reali fisiche o giuridiche e, in generale, alla realtà passata e presente sono involontari.

Indice

Guido Pagliarino Il Terrore Privato Il Terrore Politico Romanzo Guido Pagliarino Il Terrore Privato Il Terrore Politico Romanzo

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Capitolo 1 1

Capitolo 12

Capitolo 13

Capitolo 14

Capitolo 1 5

Capitolo 16

Capitolo 17

Capitolo 18

Capitolo 19

Capitolo 20

Capitolo 21

Capitolo 22

Capitolo 2 3

Capitolo 2 4

Capitolo 25

Capitolo 26

Capitolo 27

Capitolo 28

Guido Pagliarino

Il Terrore Privato

Il Terrore Politico

Romanzo

Capitolo 1

Il Mostro dell’Orecchio, come i media l'avrebbero presto soprannominato un po' grottescamente, aveva assassinato per la prima volta in una mattina di fine settembre del 2000, vittima una signora benestante, Maria Capuò coniugata Tron, casalinga cinquantaduenne moglie d’un medico ospedaliero, ammazzata nella loro villetta collinare torinese, in strada Mongreno, mentre il marito Amilcare era di turno e la collaboratrice familiare era uscita per commissioni. La coppia non aveva figli. Il cadavere era stato ritrovato al rientro dalla governante, una filippina regolarmente immigrata, riverso sul pavimento della camera da letto. Come l’autopsia avrebbe accertato, la vittima non era stata violentata né seviziata in alcun modo, ma uccisa sveltamente, anche se in modo atroce, con un colpo secco di punteruolo affondato in un orecchio, perforandole il cerebro. Nessun disordine nella casa.

La Polizia era stata chiamata dal vedovo che, avvertito telefonicamente in ospedale dalla domestica, s’era precipitato a casa da cui aveva composto il 113.

Secondo i primi accertamenti l’omicida, dopo aver scavalcato il muretto che circondava il villino, poteva essersi introdotto nell’abitazione attraverso una delle finestre al piano terra, lasciate aperte in quel fine settembre che godeva ancora d'un clima estivo.

L’assassino, e sarebbe stata l’unica volta, s’era appropriato di gioielli custoditi in un cofanetto entro un comò nella stanza del delitto, per un valore, stimato dall’assicurazione, di trecento milioni di lire, vale a dire d’oltre centocinquantamila euro odierni.

I primi sospetti, considerando il furto, s’erano indirizzati verso la domestica, quanto meno quale possibile basista. La donna, su autorizzazione del dottor Marcello Trentinotti, sostituto procuratore della Repubblica deputato ad armonizzare le indagini sul caso, era stata fermata la mattina dopo, condotta in Questura e interrogata dal sostituto commissario Evaristo Sordi, incaricato delle indagini sul delitto dal competente direttore della Sezione Omicidi della Squadra Mobile, vice questore Giandomenico Pumpo. Il Sordi, come avrebbe relazionato al giudice, aveva rilasciato la donna verso sera per totale mancanza d’indizi.

Giorni dopo un nuovo delitto l’aveva discolpata del tutto, prospettando la diversa pista dell’assassino seriale.

Benché pensionato fin dal 1984, il mio caro e unico amico Vittorio D'Aiazzo, questore emerito, s’era voluto occupare del caso, di concerto con la Polizia in veste d'informale consulente, così come già aveva fatto, dopo il proprio pensionamento, per alcuni casi particolarmente interessanti. Il 30 aprile del 2001 Vittorio avrebbe compiuto ottantadue anni, ma l'età non gli aveva fatto perdere la verve. Non si trattava soltanto, per lui, d’un intrigante passatempo onde sentirsi ancor attivo, ma d’un “servizio di bene agli altri” come mi aveva detto una volta, “servizio che voglio continuare a svolgere per contribuire a rendere un po’ meno ingiusta quest’amorale società e, magari, un po’ meno infelice il mio prossimo”: era una delle sue maniere per obbedire a quel precetto d’amore che aveva cercato d’attuare, immagino, in tutta la sua vita e, di sicuro, da quando l’avevo conosciuto negli ormai lontani anni ’50 del sanguinario e insanguinato XX secolo che stava ormai per chiudersi senza promettere alcun miglioramento per il millennio veniente.

Ammiravo la fede esistenziale del mio amico, che ben poco aveva a che fare con la religione, se con tale parola s’intenda convenzionalmente la sudditanza e il servizio, colmo d’obblighi liturgici, a un Dio potentissimo e pretenzioso, immune dalle sofferenze umane: era una fede che s’esprimeva concretamente nel fare il bene agli altri, sull’esempio del martoriato suo Maestro evangelico che, secondo Vittorio, aveva espresso nel mondo l’amoroso sentire dello stesso Dio. “Ovviamente”, m’aveva detto una volta, “quando una persona percorre, per quanto può, la via dell’amore verso il prossimo, è impossibile che questa non continui anche dopo la morte, nell’Eterno Amore”. Purtroppo, diversamente dall’amico io non ero e non sono credente; dico purtroppo perché, non essendo più giovane, penso spesso, più che nel passato, alla morte con la sua putrefazione e, se solo il niente c’è dopo l’ultimo respiro, all’inutilità tragica della vita. Tuttavia era stato proprio tal pessimistico sentire a condurmi, sin da giovanetto, a quello stesso desiderio di giustizia che animava il mio amico, anche se per me si trattava d’una giustizia che poteva essere solo terrena; e convinto com’ero che nella tragedia cosmica in cui avevo parte, fosse almeno indispensabile la piena solidarietà fra gli umani secondo l’etica, per me intramontabile, che ha in onore ogni persona, provavo sdegno altissimo verso coloro che accorciavano coscienti il bene della vita altrui, di già tanto breve, e verso i violenti in genere che tormentavano i pochi anni concessi sulla terra agli umani; e mi trovavo del tutto d’accordo con Vittorio quando mi diceva che, sin dagli anni ’60 del XX secolo, il vivere civile s’era vie più abbrutito nell’affievolimento e infine nella perdita, in molti, dei tradizionali ideali filosofico-sociali o religiosi, onde la vita di quelle stesse persone s’era resa puro esercizio del proprio egoismo, secondo quella che il mio amico chiamava la regola del faccio quanto mi pare se mi sembra conveniente.

Vittorio aveva fatto rapida carriera fin ai primi anni '70, promosso vice questore in età ancor giovane, poi più nulla, ingiustamente; solo nel giorno del collocamento a riposo era asceso automaticamente, come previsto dai regolamenti, al superiore livello, e alla pensione, di questore.

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