Guido Pagliarino - Diavolo E Demòni

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Un saggio divulgativo sulla formazione storica della figura di Satana e dei suoi demòni dalle religioni assiro-babilonese e mazdea al giudaismo e al cristianesimo, fin al demonismo contemporaneo, e sulla percezione nella società odierna del demònico tra ecclesiastici e credenti laici. Gli indemoniati.
Un saggio divulgativo sulla formazione storica della figura di Satana e dei suoi demòni dalle religioni assiro-babilonese e mazdea al giudaismo e al cristianesimo, fin al demonismo contemporaneo, e sulla percezione nella società odierna del demònico tra ecclesiastici e credenti laici. Gli indemoniati. Principali argomenti trattati: I simboli e i segni nella Bibbia come tramiti fra Dio e l’uomo; Cenno all’influenza del Mazdeismo sul Giudaismo; Nascita nel popolo d’Israele sotto la soggezione persiana dell'idea d’un ispettore e accusatore dei peccatori davanti al tribunale di Dio, cioè di un “satan”; Il Diavolo è Satana, ma non è il Demonio; Demòni; L’inquietante figura sulfurea dell’angelo sterminatore; Diavoli e Angeli; Il Diavolo, Lucifero e i demòni nella Chiesa odierna; Ossessioni, possessioni, infestazioni...

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Tuttavia, anche se la Risurrezione, come l’incarnazione, la vita e la morte di Gesú, è da intendere alla lettera pena il crollo del Cristianesimo, noi troviamo utile parlare di Dio eterno e infinito e della sua azione, indirettamente, col ricorso alla simbologia, tramite analogie e metafore afferrabili perché basate sulla nostra finita esperienza filtrata dalla nostra limitata psiche. Però, attenzione! se è vero che il linguaggio biblico ricorre al simbolo, quest’ultimo è da intendersi secondo il suo etimo, non nel significato corrente più generico. Simbolo deriva dal verbo greco syn-bállein = mettere assieme 11e nell’originario significato si riferisce all’uso nell’antica Grecia di spezzare irregolarmente un oggetto in due parti così che il possessore d’una di esse, vale a dire del simbolo, potesse in seguito farsi riconoscere dalla controparte col farla combaciare con l’altra. Nella Bibbia questo congiungere il significante simbolico e il concetto divino che s’intende significare e che riguarda una realtà (realtà non oggettivamente comprensibile dalla mente umana perché è infinita), consente, per com’è strutturata la psicologia dell’uomo, di capire di Dio quanto basta. Leggendo nel Vangelo secondo Giovanni della luce [di Cristo], si comprende non solo che non si tratta d’un’astrazione non partecipe della figura del Salvatore e che non si sta alludendo a una fonte materiale di luce, ma pure che si sta parlando di qualcosa di spiritualmente splendido, per via di similitudine trattandosi d’una realtà ineffabile per noi, creature dalle menti magnifiche ma pur sempre limitate.

A titolo d'esempio, andiamo all’Antico Testamento, precisamente al Salmo 36:

“È in te la sorgente della vita,

alla tua luce vediamo la tua luce” 12.

In questo versetto ricorrono due simboli biblici della Divinità , simboli che torneranno nel Vangelo di Giovanni: la sorgente d’acqua viva e la luce. Qui la fonte luminosa non ha fisicità , è astratta e indipendente da qualunque astro ed è presente ovunque come pura illuminazione spirituale. È lo splendore divino, è la luce del volto di Dio, come nel Vangelo sarà quella del volto di Cristo il Figlio, luce fatta d’un’essenza che non è materia, però non disgiunta dal creato ma presente spiritualmente in ogni suo aspetto. La proposizione, nella Genesi, “Dio disse: ‘Sia la luce’. E la luce fu” 13è la prima proferita dal Creatore, ed è per quella luce che il cosmo prende a esistere, vivo, compresi gli astri creati successivamente, ovviamente al di là della scienza che non è qui coinvolta al contrario della poesia: la luce spirituale viene solo da Dio, anzi è Dio stesso, e continua a mantenere l’esistente. Il Creatore esprime la sua essenza nel creato e immediatamente giudica buono quanto fa, già nel versetto successivo: “Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre” 14; vide, in altri termini, che l’espressione di sé nel creato era splendida cosa divina, luce del suo Essere proiettata nell’esistente. Poi la luce si fa fisica, Dio la divide dalle tenebre e fa il giorno e fa la notte; tuttavia la notte è metafora del peccato e dunque il simbolo è a sua volta presente: come poco dopo si saprà quando Adamo sarà tentato e peccherà , Dio intende concedere la libertà all’uomo che sta per creare, permettendogli di scegliere di fare la volontà divina, nella luce, o di porsi nelle tenebre tentando di sostituirsi a lui quale centro del mondo ed eliminandolo così dalla propria vita. Alla luce incorruttibile generata da sé che s’esprime nel primo giorno della Creazione, la Bibbia non farà più riferimento fino al Nuovo Testamento dove, nel richiamo a quei primi versetti della Genesi, la luce sarà uno dei simboli di Cristo. Leggiamo nel Vangelo di Giovanni, al capitolo 1 versetto 4:

“In Lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini” 15.

Cristo è visto come la luce in quanto Salvatore dal peccato e dalla morte; è il Logos, cioè l’Idea, cioè il Progetto di Dio di Slavezza per l’essere umano fin dapprima della Creazione.

Si può notare per inciso che il termine Lògos viene normalmente tradotto in italiano con le parole Verbo oppure Parola, perdendo una parte essenziale del significato; infatti con parola s’intende già l'espressione e non si richiama il precedente Progetto, l'Idea divina di Salvezza dell'umanità .

La stessa figura d'Adamo ha valenza simbolica, il suo nome H a - adam significa L'uomo nel senso di l'essere umano (homo) maschio (vir) e femmina (mulier) d'ogni tempo (nella Genesi è scritto: “Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò 16) e il peccato adamitico è l'archetipo del peccato di ciascuna donna e di ciascun uomo d'ogni tempo: ogni peccato è sempre frutto di cattivo orgoglio, così come quello originale, è scelta arbitraria contro la legge morale divina, è volersi far miseramente dio onnipotente al posto del vero Dio onnipotente.

Il ben noto divieto edenico di Dio all'Uomo maschio e femmina di mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male si può fraintendere, se non si conosca il significato siimbolico dell'espressione "bene e male" e del verbo "conoscere"; si può pensare, cioè, a una condanna della scienza e della filosofia,a un peccato "prometeico" che potrebbe, persino, essere visto da certuni non come peccato ma come un merito dell'essere umano, proprio come l'impresa di Prometeo contro un egoista Zeus che non voleva cedere il fuoco ai miseri uomini; invece no, la ricerca era tenuta in alto onore anche dagli antichi ebrei e, in particolare, proprio nel colto ambiente del secondo Tempio nel cui à mbito veniva scritta la Genesi nel VI secolo avanti Cristo: secondo il linguaggio simbolico antico ebraico "bene e male" indica tutto il Creato di Dio e "conoscenza" significa possesso (non solo carnale, ma in senso generale); dunque il vero divieto divino è quello di voler impossessarsi del Creato come se fosse proprio, cioè di volersi sostituire a Dio ignorandolo; in altri termini ancora, il divieto è quello di farsi Dio al posto del vero e unico Creatore. Il frutto simbolico di quell'albero altretanto simbolico è il peccato di superbia di volersi fare simili a Dio, proprio secondo la tentazione del serpente diabolico che dice: "...sarete simili a Dio". Leggiamo i versetti dall'1 al 7 del capitolo 3 della Genesi:

"Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture".

Il credente pensa che la capacità d’intuire l’inesprimibile grazie a simboli venga da Dio, come più in generale l’arte e quella stessa poesia che ricorre nella Bibbia. Nella Chiesa del I secolo, in cui il Nuovo Testamento si forma per la riflessione teologica sul fatto di Cristo Salvatore realmente risorto, predicato dagli apostoli e dai discepoli, s’uniscono, cioè sono simboli, il Gesú personaggio storico, coi suoi discorsi, i suoi segni, i fatti essenziali della sua vita, e il Cristo glorioso che la Chiesa post-pasquale interpreta e presenta alla luce della sua risurrezione; e ogni autore neotestamentario spiega tutta la storia dell’uomo alla luce di Gesú Cristo, come ad esempio Giovanni, o qualcuno della sua chiesa, nell’Apocalisse 17, totalmente allegorica ma storica sotto l’allegoria; ogni autore evangelico inoltre, parla della storia della predicazione, passione, morte e risurrezione di Gesú, come Giovanni nell’ironico, teologico quarto Vangelo, il più ricco di simboli fra i quattro ma relativamente al quale non si deve assolutamente opporre simbolo a storia, in nessun caso pensare ad astratte allegorie: non si tratta d’una narrazione fantastica ed è imprescindibile l’accettazione non solo dell’esistenza fisica di Gesú di Nazareth, ma pure del suo coincidere sostanzialmente con la figura evangelica che Giovanni descrive, pena la mancata comprensione del messaggio dell’autore, fra l’altro stimato dagli studiosi per il suo realismo. In altre parole, la storia di Gesú è sì trasfigurata simbolicamente, ma essa è presente e reale e non si tratta affatto di solitaria teologia, né men che mai d’un Gesú solo apparente e non vero uomo come nella gnosi cristianeggiante 18: Giovanni non crea simboli ma li presenta alla luce della reale esistenza di Gesú trasfigurata dall’annuncio messianico che si trova nell’Antico Testamento, in cui gli stessi simboli già sono presenti; il simbolismo di Giovanni si capisce bene se lo si riferisce espressamente alla figura di Gesú Logos del Padre, Messia annunciato dall’Antica Scrittura, che assume la carne verso il 6 ‘a.C.’ 19della storia umana:

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