Dino Buzzati - Sessanta racconti
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- Название:Sessanta racconti
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- Издательство:Mondadori, collana Oscar classici moderni
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Lancellotti si sente sprofondare, barcolla, trova appena il fiato per chiedere: " Ma lei, lei, Modica, sapeva? ". " Io? " fa l'altro con un satanico sorriso. " Io? Ma io, le giuro, casco dalle nuvole! "
Da quando nella zona sono accadute tre rapine, Fritz Martella, possidente, è ossessionato dal terrore dei banditi. Non si fida più di nessuno, né dei familiari, né dei servi, né dei cani che pure fanno buona guardia. Dove nascondere i marenghi e i gioielli di famiglia? La casa non è luogo sicuro. Il cassettone, servito finora da forziere, è una garanzia ridicola. Dopo lunghi pensamenti, una notte, senza dir niente a nessuno, egli esce di casa con lo scrigno del tesoro ed una vanga, va nel bosco in riva al fiume, dove scava una profonda buca. E vi seppellisce la cassetta.
Ma, tornato a casa, medita: " Che imbecille. Come ho fatto a non pensare che la terra smossa può destar sospetti? Di là non passa quasi mai nessuno, è vero, ma chissà, se viene qualche cacciatore e nota i segni dello scavo? e se si incuriosisce? e se prova a scavare pure lui? "
Così rimuginando, si volta e si rivolta fra le coltri, senza riuscire a prender sonno. Intanto, sul far dell'alba, tre assassini, cercando un posto adatto per seppellire il cadavere dell'orefice aggredito e trucidato per la via, vanno al bosco in riva al fiume e non gli par neppure vero di trovare un lembo di terreno dove, chissà da chi e per cosa, le zolle sono già state smosse di recente. Qui in tutta fretta sotterrano la salma. La notte successiva, morso dall'inquietudine, il possidente, con la vanga in spalla, torna al bosco per riprendere lo scrigno: troverà bene poi un nascondiglio più sicuro.
Mentre scava, ode un trapestìo, si volta, una dozzina di armigeri si avanza al lume di lanterne. " Alto là! " gli intimano.
Il Martella resta impietrito con la vanga in mano.
" Che cosa fai tu a quest'ora? " chiede il capo delle guardie.
" Io? Io niente… io sono il proprietario… io scavo… io ho sepolto qui una mia cassetta… "
" Ah sì? " fa l'altro sogghignando. " E noi invece siamo in cerca di un morto, di un morto ammazzato! E poi cerchiamo gli assassini. "
" Che ne so io del morto? Io sono venuto qui, ripeto, a riprendere una cosa mia… " " Bene, benissimo! " il capo del drappello esclama. " Coraggio, allora, brav'uomo, scava, scava. Vediamo un po' quel che tiri fuori! "
Ora che lui è partito, e non si farà vivo più, scomparso, cancellato via dal quadrante della vita esattamente come se fosse morto, a lei, Irene, non resta che armarsi di tutto il coraggio che una donna può chiedere a Dio e sradicare tutti i rami per cui quello sfortunato amore si è attaccato alle sue viscere. È sempre stata una ragazza forte, Irene, questa volta non sarà da meno. È fatto! Meno tremendo di quanto lei pensasse; e meno lungo. Non sono passati neanche quattro mesi, ed eccola completamente liberata. Un poco più magra, più pallida, più diafana, però leggera, col languore soave della convalescenza, dentro cui già palpitano vaghe illusioni nuove. Oh è stata brava, eroica è stata, ha saputo essere crudele con se stessa, ha respinto con accanimento tutte le lusinghe dei ricordi, ai quali sarebbe stato pur dolce abbandonarsi. Distruggere tutto ciò che di lui restava nelle sue mani, fosse pure uno spillo, bruciare le lettere e le foto, buttare via i vestiti indossati quando c'era lui, sui quali forse gli sguardi suoi avevano lasciato una traccia impalpabile, sbarazzarsi dei libri che anch'egli aveva letto e la cui comune conoscenza stabiliva una complicità segreta, vendere il cane che ormai aveva imparato a riconoscerlo e gli correva incontro al cancello del giardino, abbandonare le amicizie che erano appartenute a entrambi, cambiare perfino casa perché al bordo di quel camino lui una sera si era appoggiato con un gomito, perché un mattino quella porta si era aperta, e dietro era apparso lui, perché il campanello della porta continuava a dare lo stesso suono di quando lui veniva, e in ogni stanza le sembrava così di riconoscere una sua misteriosa impronta. Ancora: abituarsi a pensare ad altre cose, gettarsi in un lavoro massacrante per cui di sera, quando il pericolo si ridestava più insidioso, un sonno di pietra la atterrasse, conoscere nuove persone, frequentare nuovi ambienti, cambiare anche il colore dei capelli.
Tutto questo lei è riuscita a fare, con impegno disperato non lasciando sguarnito un angolo, una fessura, da cui il ricordo potesse farsi strada. L'ha fatto. Ed è guarita. Ora è mattino, con un bel vestito azzurro che la sarta le ha appena mandato, Irene sta per uscire di casa. Fuori c'è il sole. Lei si sente sana, giovane, tutta lavata dentro, fresca come quando aveva sedici anni. Felice addirittura? Quasi.
Ma da una vicina casa viene una breve onda di suono. Qualcuno ha la radio accesa o fa andare il grammofono e una finestra è stata aperta. Aperta e poi subito chiusa.
è bastato. Sei sette note, non di più, la sigla di un vecchio motivo, la sua canzone. Su, coraggiosa Irene, non perderti per così poco, corri al lavoro, non fermarti, ridi! Ma un vuoto orrendo le si è già formato entro nel petto, ha già scavato una voragine. Per mesi e mesi l'amore, questa strana condanna, aveva finto di dormire, lasciando che Irene s'illudesse. Ora una inezia è stata sufficiente a scatenarlo. Fuori passano le macchine, la gente vive, nessuno sa di una donna che, abbandonata sul pavimento a ridosso della porta di casa come una bambina castigata, sciupandosi il bel vestito nuovo, perdutamente piange. Lui è lontano, non tornerà mai più, e tutto è stato inutile.
46. IL TIRANNO MALATO
All'ora solita cioè alle 19 meno un quarto nell'area cosidetta fabbricabile fra via Marocco e via Casserdoni, il volpino Leo vide avanzare il mastino Tronk tenuto per la catena dal professore suo padrone.
Il bestione aveva le orecchie dritte come sempre e scrutava il ristrettissimo orizzonte di quel sudicio prato fra le case. Egli era l'imperatore del luogo, il tiranno. Eppure il vecchio volpino pieno di risentimenti subito notò che non era il Tronk di un tempo, neppure quello di un mese prima, neppure il formidabile cagnaccio che aveva visto tre o quattro giorni fa.
Era un niente, il modo forse di appoggiare le zampe, o una specie di appannamento dello sguardo, o una incurvatura della schiena, o l'opacità del pelo o più probabilmente un'ombra – l'ombra grigia che è il segno terribile! – la quale gli colava già dagli occhi fino al bordo cadente delle labbra.
Nessuno certo, neppure il professore, si era accorto di questi segni piccolissimi. Piccolissimi? Il vecchio volpino che oramai ne aveva viste a questo mondo, capì, e ne ebbe un palpito di perfida gioia. " Ah ci sei finalmente " pensò. " Ci sei? " Il mastino non gli faceva più paura.
Si trovavano in uno di quegli spazi vuoti aperti dai bombardamenti aerei della guerra decorsa, verso la periferia, fra stabilimenti, depositi, baracche, magazzini. (Ma a breve distanza si ergevano i superbi palazzi delle grandi società immobiliari, a settanta-ottanta metri sopra il livello dell'operaio del gas intento a sistemare la tubazione in avaria e del violinista stanco in azione fra i tavolini del Caffè Birreria Esperia là sotto i portici, all'angolo.) Demoliti i moncherini superstiti dei muri, a ricordare le case già esistite non restavano qua e là che dei tratti di terreno coperti di piastrelle, il segno della portineria forse, o cucina a pianterreno o forse anche camera da letto di casa popolare (dove un tempo di notte palpitarono speranze e sogni e forse un bambino nacque e nelle mattine d'aprile, nonostante l'ombra tetra del cortile, di là usciva un canto ingenuo e appassionato di giovanetta; e alla sera, sotto una lampadina rossastra, gente si odiò o si volle bene). Per il resto, lo spazio era rimasto sgombro e sùbito, per la commovente bontà della natura così pronta a sorridere se appena le lasciamo un po' di spazio, si era andato ricoprendo di verde, erba, piantine selvatiche, cespugli, a similitudine delle beate valli lontane di cui si favoleggia. Tratti di prato vero, coi loro fiorellini, avevano perfino tentato di formarsi, dove stanchi noi distenderci, le braccia incrociate dietro il capo, a guardare le nuvole che passano, così libere e bianche, sopra le soperchéerie degli uomini.
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