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Dino Buzzati: Sessanta racconti

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Premio Strega 1958

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Ed oggi, ad Harar, finalmente l'ho incontrato di nuovo. Io sono qui che scrivo, nella casa di un amico piuttosto isolata, il ronzìo del Petromax mi ha riempito la testa, i pensieri vanno su e giù come le onde, forse la stanchezza, forse l'aria presa in macchina. No, non è più paura, come avvenne presso la laguna di Porto Said, è invece come sentirsi deboli, inferiori a ciò che ci aspetta.

L'ho rivisto oggi, mentre perlustravo i labirinti della città indigena. Già camminavo da mezz'ora per quei budelli, tutti uguali e diversi, e c'era luce bellissima dopo un temporale. Mi divertivo a gettare un'occhiata nei rari pertugi, dove si aprono cortiletti da fiaba, chiusi come in minuscoli fortilizi tra muri rossi di sassi e di fango. I viottoli erano per lo più deserti, le case (per cosÌ dire) silenziose, alle volte veniva in mente che fosse una città morta, sterminata dalla peste, e che non ci fosse più via d'uscita; la notte ci avrebbe colti alla ricerca affannosa della liberazione.

Facevo questi pensieri quando lui mi riapparve. Per una combinazione la stradicciola ripida per dove scendevo non era tortuosa come le altre ma abbastanza diritta, cosicché se ne poteva scorgere un'ottantina di metri. Lui camminava tra i sassi, barcollando più che mai come un orso e volgendo la schiena si allontanava, estremamente significativo: non proprio tragico e nemmeno grottesco, non saprei proprio come dire. Ma era lui, sempre l'uomo di Porto Said, il messaggero di favolosi regni, che non mi potrà più lasciare.

Corsi giù tra i sassi scoscesi, con la maggiore lestezza possibile. Questa volta finalmente non mi sarebbe sfuggito, due muri rossi e uniformi rinserravano la stradicciola e non vi erano porte. Corsi fino a che il vicolo faceva un'ansa e mi aspettavo, alla svolta, di trovarmi l'uomo a non più di tre metri. Invece non c'era. Come le altre volte egli era svanito nel nulla.

L'ho rivisto più tardi, sempre uguale, che si allontanava ancora per uno di quei budelli, non verso il mare ma verso l'interno. Non gli sono più corso dietro. Sono rimasto fermo a guardarlo, con una vaga tristezza, finché è sparito in un vicolo laterale. Che cosa voleva da me? Dove voleva condurmi? Non so chi tu sia, se uomo, fantasma, o miraggio, ma temo che ti sia sbagliato. Non sono, ho paura, colui che tu cerchi. La faccenda non è molto chiara ma mi pare di avere capito che tu vorresti condurmi più in là, ogni volta più in là, sempre più nel centro, fino alle frontiere del tuo incognito regno.

Lo capisco e sarebbe anche bello. Tu sei paziente, tu mi aspetti ai bivi solitari per insegnarmi la strada, tu sei veramente discreto, tu fai perfino mostra di fuggirmi, con diplomazia tutta orientale, e non osi neppure rivelare il tuo volto. Tu vuoi soltanto farmi capire – mi sembra – che il tuo monarca mi aspetta in mezzo al deserto, nel palazzo bianco e meraviglioso, vigilato da leoni, dove cantano fontane incantate. Sarebbe bello solo vorrei proprio. Ma la mia anima è deprecabilmente timida, invano la redarguisco, le sue ali tremano, i suoi dentini diafani battono appena la si conduce verso la soglia delle grandi avventure. Così sono fatto, purtroppo, e ho davvero paura che il tuo re sprechi il suo tempo ad aspettarmi nel palazzo bianco in mezzo al deserto, dove probabilmente sarei felice. No, no, in nome del Cielo. Sia come sia, o messaggero, porta la notizia che io vengo, non occorre neanche che tu ti faccia vedere ancora. Questa sera mi sento veramente bene, sebbene i pensieri ondeggino un poco, e ho preso la decisione di partire (Ma sarò poi capace? Non farà storie poi la mia anima al momento buono non si metterà a tremare, non nasconderà la testa tra le pavide ali dicendo di non andare più avanti?).

5. EPPURE BATTONO ALLA PORTA

La signora Maria Gron entrò nella sala al pianterreno della villa col cestino del lavoro. Diede uno sguardo attorno, per constatare che tutto procedesse secondo le norme familiari, depose il cestino su un tavolo, si avvicinò a un vaso pieno di rose, annusando gentilmente. Nella sala c'erano suo marito Stefano, il figlio Federico detto Fedri, entrambi seduti al caminetto, la figlia Giorgina che leggeva, il vecchio amico di casa Eugenio Martora, medico, intento a fumare un sigaro. " Sono tutte fanées, tutte andate " mormorò parlando a se stessa e passò una mano, carezzando, sui fiori. Parecchi petali si staccarono e caddero.

Dalla poltrona dove stava seduta leggendo, Giorgina chiamò: " Mamma! ".

Era già notte e come al solito le imposte degli alti finestroni erano state sprangate. Pure dall'esterno giungeva un ininterrotto scroscio di pioggia. In fondo alla sala, verso il vestibolo d'ingresso, un solenne tendaggio rosso chiudeva la larga apertura ad arco: a quell'ora, per la poca luce che vi giungeva, esso sembrava nero.

" Mamma! " disse Giorgina. " Sai quei due cani di pietra in fondo al viale delle querce, nel parco? "

" E come ti saltano in mente i cani di pietra, cara? " rispose la mamma con cortese indifferenza, riprendendo il cestino del lavoro e sedendosi al consueto posto, presso un paralume.

" Questa mattina " spiegò la graziosa ragazza " mentre tornavo in auto, li ho visti sul carro di un contadino, proprio vicino al ponte. "

Nel silenzio della sala, la voce esile della Giorgina spiccò grandemente. La signora Gron, che stava scorrendo un giornale, piegò le labbra a un sorriso di precauzione e guardò di sfuggita il marito, come se sperasse che lui non avesse ascoltato.

" Questa è bella! " esclamò il dottor Martora. " Non ci manca che i contadini vadano in giro a rubare le statue. Collezionisti d'arte, adesso! "

" E allora? " chiese il padre, invitando la figliola a continuare.

" Allora ho detto a Berto di fermare e di andare a chiedere… "

La signora Gron, contrasse lievemente il naso; faceva sempre così quando uno toccava argomenti ingrati e bisognava correre ai ripari. La faccenda delle due statue nascondeva qualcosa e lei aveva capito; qualcosa di spiacevole che bisognava quindi tacere.

" Ma sì, ma sì, sono stata io a dire di portarli via " e lei così tentava di liquidar la questione " li trovo così antipatici. "

Dal caminetto giunse la voce del padre, una voce profonda e oscillante, forse per la vecchiaia, forse per inquietudine: " Ma come? ma come? Ma perché li hai fatti portar via, cara? Erano due statue antiche, due pezzi di scavo… "

" Mi sono spiegata male " fece la signora accentuando la gentilezza (" che stupida sono stata " pensava intanto " non potevo trovare qualcosa di meglio? "). " L'avevo detto, sì, di toglierli, ma in termini vaghi, più che altro per scherzo L'avevo detto, naturalmente… "

" Ma stammi a sentire, mammina " insisté la ragazza. " Berto ha domandato al contadino e lui ha detto che aveva trovato il cane giù sulla riva del fiume… " Si fermò perché le era parso che la pioggia fosse cessata. Invece, fattosi silenzio, si udì ancora lo scroscio immobile, fondo, che opprimeva gli animi (benché nessuno se ne accorgesse).

" Perché " il cane "? " domandò il giovane Federico, senza nemmeno voltare la testa. " Non avevi detto che c'erano tutti e due? "

" Oh Dio, come sei pedante " ribatté Giorgina ridendo " io ne ho visto uno, ma probabilmente c'era anche l'altro. "

Federico disse: " Non vedo, non vedo il perché ". E anche il dottor Martora rise. " Dimmi, Giorgina " chiese allora la signora Gron, approfittando subito della pausa. " Che libro leggi? È l'ultimo romanzo del Massin, quello che mi dicevi? Vorrei leggerlo anch'io quando l'avrai finito. Se non te lo si dice prima, tu lo presti immediatamente alle amiche. Non si trova più niente dopo. Oh, a me piace Massin, così personale, così strano… La Frida oggi mi ha promesso… "

Il marito però interruppe: " Giorgina " chiese alla figlia " tu allora che cosa hai fatto? Ti sarai fatta almeno dare il nome! Scusa sai, Maria " aggiunse alludendo all'interruzione.

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