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Dino Buzzati: Sessanta racconti

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Premio Strega 1958

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" Mi hanno detto di andare con loro " osò alla fine il ragazzo. " Mi hanno detto che c'è molto da fare. "

" Si capisce " approvò Planetta " saresti stupido a non andare. "

" Capo " domandò allora Pietro con voce vicina al pianto " perché non dirmi la verità, perché tutte quelle storie? "

" Che storie? " ribatté Planetta che faceva ogni sforzo per mantenere il suo solito tono allegro. " Che storie ti ho mai contato? Ti ho lasciato credere, ecco tutto. Non ti ho voluto disingannare. Ecco tutto, così per dire. "

" Non è vero " disse il ragazzo. " Tu mi hai tenuto qui con delle promesse e lo facevi solo per sfottermi. Domani, lo sai bene… "

" Che cosa domani? " chiese Planetta, ritornato nuovamente tranquillo. " Vuoi dire del Gran Convoglio? "

" Ecco, e io fesso a crederti " brontolò irritato il ragazzo. " Del resto, lo potevo ben capire, malato come sei, non so cosa avresti potuto… " Tacque per qualche secondo, poi concluse a bassa voce: " Domani allora me ne vado ".

Ma all'indomani fu Planetta ad alzarsi per primo. Si levò senza svegliare il ragazzo, si vestì in fretta e prese il fucile. Solo quando egli fu sulla soglia, Pietro si destò.

" Capo " gli domandò, chiamandolo così per l'abitudine " dove vai a quest'ora, si può sapere? "

" Si può sapere, sissignore " rispose Planetta sorridendo. " Vado ad aspettare il Gran Convoglio. "

Il ragazzo, senza rispondere, si voltò dall'altra parte del letto, come per dire che di quelle stupide storie era stufo.

Eppure non erano storie. Planetta, per mantenere la promessa, anche se fatta per scherzo, Planetta, ora che era rimasto solo, andò ad assalire il Gran Convoglio.

I compagni l'avevano abbastanza sfottuto. Che almeno fosse quel ragazzo a sapere chi era Gaspare Planetta. Ma no, neanche di quel ragazzo gliene importava. Lo faceva in fondo per sé, per sentirsi quello di prima, sia pure per l'ultima volta. Non ci sarebbe stato nessuno a vederlo, forse nessuno a saperlo mai, se rimaneva subito ucciso; ma questo non aveva importanza. Era una questione personale, con l'antico potente Planetta. Una specie di scommessa, per un'impresa disperata.

Pietro lasciò che Planetta se n'andasse. Ma più tardi gli nacque un dubbio: che Planetta andasse davvero all'assalto? Era un dubbio debole e assurdo, eppure Pietro si alzo e uscì alla ricerca. Parecchie volte Planetta gli aveva mostrato il posto buono per aspettare il Convoglio. Sarebbe andato là a vedere.

Il giorno era già nato, ma lunghe nubi temporalesche si stendevano attraverso il cielo. La luce era chiara e grigia. Ogni tanto qualche uccello cantava. Negli intervalli si udiva il silenzio.

Pietro corse giù per le boscaglie, verso il fondo della valle dove passava la strada maestra. Procedeva guardingo tra i cespugli in direzione di un gruppo di castagni, dove Planetta avrebbe dovuto trovarsi.

Planetta infatti c'era, appiattato dietro a un tronco e si era fatto un piccolo parapetto di erbe e rami, per esser sicuro che non lo potessero vedere. Era sopra una specie di gobba che dominava una brusca svolta della strada: un tratto in forte salita dove i cavalli erano costretti a rallentare. Perciò si sarebbe potuto sparare bene.

Il ragazzo guardò giù in fondo la pianura del sud, che si perdeva nell'infinito, tagliata in due dalla strada. Vide in fondo un polverone che si muoveva.

Il polverone che si muoveva, avanzando lungo la strada, era la polvere del Gran Convoglio.

Planetta stava collocando il fucile con la massima flemma quando udì qualcosa agitarsi vicino a lui. Si voltò e vide il ragazzo appiattato con il fucile proprio all'albero vicino.

" Capo " disse ansando il ragazzo " Planetta, vieni via. Sei diventato pazzo? "

" Zitto " rispose sorridendo Planetta " finora pazzo non lo sono. Torna via immediatamente. "

" Sei pazzo, ti dico, Planetta, tu aspetti che vengano i tuoi compagni, ma non verranno, me l'hanno detto, non se la sognano neppure. "

" Verranno perdio se verranno, è questione d'aspettare un poco. È un po' la loro mania di arrivare sempre in ritardo. " " Planetta " supplicò il ragazzo " fammi il piacere, vieni via. Ieri sera scherzavo, io non ti voglio lasciare. "

" Lo so, l'avevo capito " rise bonariamente Planetta. " Ma adesso basta, va via, ti dico, fa presto, che questo non è un posto per te. " " Planetta " insisté il ragazo. " Non vedi che è una pazzia? Non vedi quanti sono? Cosa vuoi fare da solo? "

" Perdio, vattene " gridò con voce repressa Planetta, finalmente andato in bestia. " Non ti accorgi che così mi rovini? "

In quel momento si cominciavano a distinguere, in fondo alla strada maestra, i cavalleggeri del Gran Convoglio, il carro, la bandiera.

" Vattene, per l'ultima volta " ripeté furioso Planetta. E il ragazzo finalmente si mosse, si ritrasse strisciando tra i cespugli, fino a che disparve.

Planetta udì allora lo scalpitìo dei cavalli, diede un'occhiata alle grandi nubi di piombo che stavano per crepare, vide tre quattro corvi nel cielo. Il Gran Convoglio ormai rallentava, iniziando la salita.

Planetta aveva il dito al grilletto, ed ecco si accorse che il ragazzo era tornato strisciando, appostandosi nuovamente dietro l'albero.

" Hai visto? " sussurrò Pietro " hai visto che non sono venuti? "

" Canaglia " mormorò Planetta, con un represso sorriso, senza muovere neppure la testa. " Canaglia, adesso sta fermo, è troppo tardi per muoversi, attento che incomincia il bello. "

Trecento, duecento metri, il Gran Convoglio si avvicinava. Già si distingueva il grande stemma in rilievo sui fianchi del prezioso carro, si udivano le voci dei cavalleggeri che discorrevano tra loro.

Ma qui il ragazzo ebbe finalmente paura. Capì che era una impresa pazza, da cui era impossibile venir fuori.

" Hai visto che non sono venuti? " sussurrò con accento disperato. " Per carità, non sparare. "

Ma Planetta non si commosse.

" Attento " mormorò allegramente, come se non avesse sentito. " Signori, qui si incomincia. "

Planetta aggiustò la mira, la sua formidabile mira, che non poteva sbagliare. Ma in quell'istante, dal fianco opposto della valle, risuonò secca una fucilata.

" Cacciatori! " commentò Planetta scherzoso, mentre si allargava una terribile eco " cacciatori! niente paura. Anzi, meglio, farà confusione. "

Ma non erano cacciatori. Gaspare Planetta sentì di fianco a sé un gemito. Voltò la faccia e vide il ragazzo che aveva lasciato il fucile e si abbandonava riverso per terra.

" Mi hanno beccato! " si lamentò " oh mamma! "

Non erano stati cacciatori a sparare, ma i cavalleggeri di scorta al Convoglio, incaricati di precedere il carriaggio, disperdendosi lungo i fianchi della valle, per sventare insidie. Erano tutti tiratori scelti, selezionati nelle gare. Avevano fucili di precisione.

Mentre scrutava il bosco, uno dei cavalleggeri aveva visto il ragazzo muoversi tra le piante. L'aveva visto poi stendersi a terra, aveva finalmente scorto anche il vecchio brigante.

Planetta lasciò andare una bestemmia. Si alzo con precauzione in ginocchio, per soccorrere il compagno. Crepitò una seconda fucilata.

La palla partì diritta, attraverso la piccola valle, sotto alle nubi tempestose, poi cominciò ad abbassarsi, secondo le leggi della traiettoria. Era stata spedita alla testa; entrò invece dentro al petto, passando vicino al cuore.

Planetta cadde di colpo. Si fece un grande silenzio, come egli non aveva mai udito. Il Gran Convoglio si era fermato. Il temporale non si decideva a venire. I corvi erano là nel cielo. Tutti stavano in attesa.

Il ragazzo voltò la testa e sorrise: " Avevi ragione " balbettò. " Sono venuti, i compagni. Li hai visti, capo? "

Planetta non riuscì a rispondere ma con un supremo sforzo volse lo sguardo dalla parte indicata.

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